I compiti essenziali dello Stato sono in continua evoluzione, nello spazio e nel tempo: il nostro dovere, come cittadini e politici, è di continuare a riflettere su questa dinamica, a ogni gradino della nostra scala miracolosa – che è il federalismo.
Interrogandosi sul ruolo e la dimensione dello Stato, un autentico liberale radicale esercita il suo spirito critico: l’abito mentale che non dobbiamo mai smettere di indossare. In questo esercizio risaliamo infatti alla sorgente del liberalismo, nato storicamente per chiarire – e rivendicare – la centralità dell’individuo, la sua unicità e le sue libertà inalienabili.
Se pensiamo alla Storia del nostro Cantone, troviamo la firma del Plr su moltissimi progetti di sviluppo dello Stato: generazioni di uomini e donne, che hanno lavorato nella giusta convinzione che l’emancipazione dell’individuo passa anche dalla forza delle istituzioni. D’altra parte, a fine ’800 lo Stato era embrionale e il progresso da affrontare era vertiginoso.
Da allora ai giorni nostri, tuttavia, lo Stato ha esteso massicciamente il proprio campo di influenza sulle nostre vite – e questa non è un’opinione. Se prendiamo la produzione legislativa come riferimento, la tendenza è indiscutibile. Edilizia, ristorazione, commercio, agricoltura, pianificazione, sviluppo regionale, turismo, innovazione eccetera – non c’è ambito che non sia coperto da prescrizioni dettagliate, a tratti asfissianti. Certo, il mercato – compagno di viaggio insostituibile del liberalismo – produce storture che vanno raddrizzate: tuttavia, i difetti dell’economia liberale non devono servire da pretesto per un espansionismo indiscriminato del potere pubblico e dei suoi costi.
La prospettiva storica, quindi, è decisiva: man mano che lo Stato si è rafforzato e che il suo perimetro di intervento si è esteso – spinto negli ultimi tempi da formazioni politiche specializzatesi nello statalismo – si è trasformato anche il ruolo e la posizione di un partito come il Plr, che resta fedele al principio di mettere sempre in discussione il rapporto fra individuo e Stato. Lo abbiamo fatto anche durante la pandemia, sostenendo dapprima l’intervento delle istituzioni, tra i più efficaci nel panorama europeo (e oltre), e poi mettendolo in discussione – quando l’economia sussidiata a oltranza cominciava a generare più problemi di quelli che risolveva.
Questa è la premessa per dire che il decreto posto in votazione cantonale il 15 maggio – che chiede di raggiungere conti in salute entro la fine del 2025 – non è un’offesa allo Stato. Serve a dare concretezza alla spesso fumosa idea di «sostenibilità», applicandola alla gestione delle risorse collettive. È anche un gesto di responsabilità verso le nuove generazioni: così come non possiamo consegnare loro un ambiente invivibile, non possiamo certo lasciare in eredità un debito pubblico abnorme, in continuo aumento. Un debito che – come ogni debito – non è mai «a costo zero», perché pesa sulla progettualità: lo dimostrano bene tutte le economie mediterranee, che non hanno mai conosciuto una gestione liberale della macchina centrale.
Al di là delle iperboli e della demagogia, questo decreto non comprende piani di smantellamento, né un’ondata di privatizzazioni né tantomeno una «macelleria sociale». Non c’è nemmeno un gran bisogno di difenderlo dall’accusa di essere espressione del «menostatismo»: si tratta semplicemente di evitare la crescita incontrollata della spesa, e di farlo con spirito critico e onestà – senza cedere alla scorciatoia dell’aumento delle imposte, in un Cantone che in Svizzera è già tra i più tassati.
Il Plr, da sempre e per sempre, parla nei suoi programmi di salute dei conti, di Stato sociale ed efficiente, amico dell’azione individuale e delle imprese. E quando qualcuno al di fuori del nostro Partito sostiene una convinzione simile alla nostra, siamo sempre pronti ad aiutare.
La scelta che abbiamo fatto è quindi chiarissima, fedele al nostro spirito interclassista e solidale – soprattutto verso i ticinesi del futuro. Continueremo a vestire l’abito liberale radicale dell’analisi e dello spirito critico per affrontare i prossimi anni, evitando le ambiguità di chi cerca (invano) di non scontentare nessun pubblico elettorale.