Secondo lo storico russo Konstantin Jerusalimski il revanscismo del capo del Cremlino poggia su grossolani errori storici
«Gli eventi in corso rappresentano la fine di un’epoca! Questa non è più la Russia che abbiamo conosciuto dopo il 1991, il Paese risorto dalle ceneri dell’Unione Sovietica. È qualcos’altro!». Allievo dell’accademico Sigurd Ottovich Schmidt, il professor Konstantin Jerusalimski è noto anche in Occidente per aver contestato pubblicamente l’estate scorsa le tesi storiche su un unico popolo tra russi e ucraini, espresse in un controverso articolo dal presidente Vladimir Putin, definendo tali concezioni un «errore da scuola media» e «assurdità». Il capo del Cremlino – ha evidenziato l’autorevole cinquecentista – «vorrebbe» che storicamente i due popoli «fossero uniti dalla religione ortodossa, per di più sotto l’egida del Patriarcato di Mosca». E invece ancora nel 18esimo e 19esimo secoli «il cristianesimo non era l’unica confessione in alcune regioni dell’Ucraina e nella maggior parte della Russia». In queste aree, per di più, non solo si parlavano lingue differenti ma erano abitate da etnie diverse. Jerusalimski si è distinto poi nel 2016 per essere stato anche uno degli autori della clamorosa relazione con denuncia dei plagi e degli errori nella tesi di dottorato di Vladimir Medinsky, già per otto anni ministro federale della Cultura, etichettato negli ambienti liberali russi come uno dei «propagandisti» dell’odierna versione mistificata della Storia patria, oggi capo della delegazione del Cremlino ai colloqui, finora infruttuosi, con l’Ucraina.
«Il problema del rapporto tra le terre ‘ucraine’ (di confine) e la Moscovia – sostiene lo specialista russo – nacque con le guerre russo-lituane alla fine del 15esimo secolo con Ivan III, ostilità proseguite nei due secoli successivi fino al 1686. Tutti questi discorsi sui territori ‘originali’ dello Stato russo e sulle sue pretese storiche vengono da quei tempi. Ma, attenzione, vi erano regioni che, ancora all’epoca dei Torbidi all’inizio del 17esimo secolo, erano avversarie del potere di Mosca. L’influenza ‘ucraina’ e quella dei cosacchi del Don hanno comunque determinato discussioni su come unirsi, integrarsi, non sulla base di una dottrina imperialista russa e hanno contribuito tra l’altro anche alla concezione delle tre nazioni slave orientali: ossia Rus’ grande (russi), Rus’ piccola (ucraini) e Rus’ bianca (bielorussi). Oggi il problema della storia russa è collegato strettamente con quanto fanno al momento i militari e le autorità politiche russe. Ma se si parla di Donbass e di Crimea non esiste un diritto storico che giustifichi certe azioni».
Perché il presidente Putin non ritiene l’Ucraina un Paese in quanto tale? Per il capo del Cremlino essa è una realtà fittizia, costruita artificiosamente nei decenni ai danni degli Stati vicini, in particolare della Russia. Da dove salta fuori questa idea e su cosa si fonda?
Le fonti del pensiero di Putin sull’Ucraina sono da ricercarsi nel modo di ragionare della nomenklatura sovietica e precisamente nella concezione di ‘amicizia dei popoli sovietici’. Questo primo insieme si va a scontrare con l’inimicizia, nata negli anni 60, nei confronti della Nato e dei Paesi avversari nell’epoca della Guerra Fredda. A questi due elementi, appena elencati, vanno poi aggiunte le nostalgie revansciste di quanti non hanno accettato il crollo dell’Unione Sovietica. Il trattato di Belovezh (che sciolse l’Urss) nel dicembre ’91 e il memorandum di Budapest (che garantì la sovranità e le frontiere ucraine in cambio della cessione delle armi nucleari da parte di Kiev) nel ’94 sono considerati illegali e hanno offeso l’erede dell’Urss, ossia la Russia, che vuole rivedere gli esiti di tali decisioni, se necessario anche in maniera unilaterale. Ecco la ragione di quanto sta avvenendo in Ucraina. Questa situazione di non rispetto della sovranità e dei diritti acquisiti riguarda tutta l’ex Urss. Pertanto anche le altre repubbliche post sovietiche devono prendere in considerazione questo modo di pensare dell’attuale dirigenza del Cremlino, poiché tale aspetto riguarda anche loro. Tali modi di vedere, è bene precisare, non hanno alcunché in comune con le questioni storiche e con la giurisprudenza internazionale.
In che ambiente vive il presidente Putin? A quale epoca appartiene?
Putin vive nel suo mondo, in un mega-impero cosmico. Lui e la sua gente fanno affidamento sul complesso militare-industriale. Rispetto all’epoca sovietica questi signori non hanno un’ideologia, ma sono sostenitori della destabilizzazione, poiché non sono in grado di contrastare la democrazia e il liberalismo. A giudicare dai discorsi di Putin si può giungere alla conclusione che lui voglia una destabilizzazione globale e miri a minare le istituzioni, utilizzando i flussi finanziari. La Russia è pertanto diventata una forte dittatura destabilizzante con delle somiglianze con la Germania orientale del dopoguerra. Putin è un pensatore post sovietico, il cui ispiratore è ‘l’homo sovieticus’, giunto dall’epoca staliniana. Ha il solito amore per l’epoca di Ivan il terribile e di Pietro il grande. Si crede difensore dei valori della liberazione dal fascismo e si offende quando ciò non viene capito. Manipola certe concezioni e fornisce nuove interpretazioni del passato, ma non si rende conto che spesso scivola verso una pesante retorica. E dimostra in realtà di avere attorno gente mediocre e cattivi speechwriters.
Come si può uscire dalla presente situazione? E cosa può fare chi non è d’accordo con l’attuale corso?
Questa situazione ha già provocato un sacco di vittime: in Ucraina i civili e la vita pacifica; in Russia ora l’economia, ma da tempo anche il diritto e la libertà, l’istruzione, la sfera umanitaria, le prospettive future. A livello internazionale l’immagine del mio Paese è crollata. Oggi ad avere problemi non sono solo i politici, ma anche la gente comune, ad esempio con le comunicazioni. Questi problemi sono soltanto iniziati e si aggraveranno col passare del tempo. Le conseguenze saranno terribili. Da noi serve prepararsi: il terrore politico interno è già cominciato. Una nuova ondata di migranti, tra i quali anche non pochi putinisti, è riapparsa. Vengono usate tattiche oppressive da secolo scorso e il futuro che ci attende è spaventoso. Occhio, lottare contro quella gente con i soliti metodi non porta a niente. L’abbiamo visto negli ultimi venti anni. È importante, però, ribadire che siamo adesso nel mezzo delle turbolenze e noi ci distanziamo da quella gente. Noi non siamo loro e non vogliamo essere trascinati nel loro mondo.