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Ortodossi russi e turchi, separati in Ucraina

I due patriarchi hanno assunto atteggiamenti opposti sull’invasione. Intanto Erdogan cerca di mediare tra Mosca e Kiev

Il Patriarca Ecumenico Bartolomeo di Costantinopoli
(Keystone)
12 aprile 2022
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"Il Patriarca Ecumenico condanna l’invasione non provocata della Russia in Ucraina ed esprime la sua solidarietà al popolo ucraino che soffre". Abituata a prendere raramente posizioni esplicite su questioni politiche, la Chiesa cristiano ortodossa in Turchia ha espresso nettamente la sua opinione sulle operazioni militari di Mosca già a poche ore dall’attacco dell’esercito del presidente russo Vladimir Putin, il 24 febbraio. La dura condanna del Patriarca Ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo segue in realtà una crisi già aperta da tempo con il Patriarca Kiril di Mosca che quattro anni fa ebbe il suo apice e segnò una rottura profonda tra le due Chiese che, con l’avanzare del conflitto, pare sempre più insanabile. Ed è proprio l’Ucraina la questione su cui si è consumato tra il 2018 e il 2019 lo scontro tra Costantinopoli e Mosca.

Primus inter pares

Nonostante gli ortodossi siano un’esigua minoranza – qualche migliaio di persone su una popolazione di 85 milioni di abitanti – in un Paese principalmente musulmano come la Turchia, il Patriarcato Ecumenico, che ha sede nella Chiesa di San Giorgio sulle rive del Corno d’Oro a Istanbul, è considerato l’istituzione più prestigiosa dell’interno mondo ortodosso. Ridotti a poche migliaia a causa delle politiche nazionaliste messe in atto nei primi anni della repubblica turca, fondata nel 1923, i cristiani di rito greco-ortodosso in Turchia possono essere considerati, del resto, gli eredi dell’Impero bizantino. I turchi li chiamano ‘rum’, in riferimento all’Impero Romano d’Oriente fondato da Costantino, mentre il Patriarca ecumenico è riconosciuto come primus inter pares, primo tra eguali rispetto ai patriarchi che guidano le altre Chiese ortodosse nel mondo. Tradizionalmente, il Patriarca di Costantinopoli è l’unico che può conferire autocefalia ad altre Chiese, ovvero lo statuto giuridico e canonico per avere un’amministrazione propria. Il 6 gennaio 2019, Bartolomeo concesse l’autocefalia alla Chiesa ortodossa in Ucraina, scatenando l’ira del Patriarca Kiril di Mosca, avverso alla decisione, che da quel momento ha smesso di commemorare il Patriarca di Costantinopoli, come tradizionalmente fanno tutte le Chiese ortodosse, durante i rituali religiosi.

La separazione è oggi più evidente che mai con il Patriarca Bartolomeo che condanna esplicitamente l’azione militare russa, al contrario benedetta dal Patriarca Kiril. Nonostante l’aura prestigiosa riconosciuta dal mondo cristiano alla Chiesa ortodossa in Turchia, per Ankara il Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli non ha uno statuto legale proprio ed è riconosciuto come una fondazione che sottostà alle leggi della repubblica di Turchia. Quando Bartolomeo nel 2019 concesse l’autocefalia alla Chiesa di Kiev, vista dal Patriarca russo Kiril come un affronto, l’amministrazione guidata dal presidente Recep Tayyip Erdogan non fece comunque nulla per ostacolare quella scelta.

Con la Siria nel mezzo

La crisi tra le Chiese di Mosca e Costantinopoli si consumava mentre il capo di Stato turco cercava di trovare un accordo con Putin rispetto al conflitto in Siria, dove Ankara e Mosca si trovavano, e si trovano tuttora, su fronti opposti. Solo qualche anno prima, nel 2015, la Turchia aveva abbattuto un jet russo che secondo Ankara si sarebbe trovato nella spazio aereo turco, nelle vicinanze del confine siriano. La crisi che seguì portò la Russia a bloccare parzialmente l’importazione di verdura dalla Turchia e a limitare il turismo di milioni di russi nelle località turche, cooperazioni commerciali di enorme valore per Ankara. Dopo il tentato golpe in Turchia nel 2016, i rapporti tra Erdogan e Putin si ristabilirono e a fine anno le truppe turche entrarono all’interno di alcune aree siriane oltre il confine, di quasi 900 km, che separa i due Paesi. Ankara entrò in guerra non solo contro le forze curde e i militanti dell’Isis, ma soprattutto a sostegno dei gruppi di oppositori al presidente siriano Bashar al Assad, alleato di Putin che in Siria è presente con il suo esercito.

Prove di détente

Sebbene avversari sul campo, nel 2017 Ankara e Mosca, insieme a Teheran, avevano inaugurato un tavolo negoziale sulla Siria, nella capitale del Kazakhstan Astana (oggi Nur Sultan, ndr.). Tra il 2018 e il 2019, gli sforzi diplomatici avevano portato a rilevanti sviluppi sul campo, con la creazione di una sorta di zona cuscinetto supervisionata dalle forze turche, tra le truppe di Assad e i militanti oppositori del presidente siriano. Da allora la situazione in alcune occasioni è però degenerata, come ad esempio nel febbraio 2020, quando 34 soldati turchi morirono in seguito a un bombardamento aereo nella zona.

Il rapporto stretto, ma anche molto delicato con la Russia di Putin, con cui la Turchia si trova avversaria anche in Libia, rappresenta uno dei rischi maggiori per la posizione di mediazione tra Mosca e Kiev che Ankara ha assunto nell’attuale conflitto che si combatte in Ucraina. Erdogan non ha usato mezzi termini nel condannare subito l’operazione russa in Ucraina definendola "inaccettabile". Già prima dell’inizio delle ostilità, il capo di Stato turco aveva ribadito frequentemente l’importanza del ruolo della Turchia all’interno della Nato e qualche settimana fa Erdogan ha fatto sapere che Ankara non si oppone all’entrata dell’Ucraina nell’Unione europea.

Il presidente turco vanta un rapporto strettissimo con l’omologo ucraino Volodymyr Zelensky che, da quando è stato eletto nel 2019, si è recato in visita ufficiale in Turchia quattro volte per incontrarlo, mentre l’ultimo incontro tra i due risale a sole poche settimane dall’esplosione della guerra, quando il 3 febbraio Erdogan si è recato a Kiev promettendo di rafforzare le relazioni tra i due Paesi. Lo scorso anno, la Turchia è diventata il quinto tra i maggior partner commerciali dell’Ucraina con un interscambio economico di 5 miliardi di dollari che ha segnato un aumento del 50% rispetto al 2020. Tra i beni più importanti nella cooperazione economica tra i due Paesi, ci sono i noti droni militari di produzione turca Bayraktar Tbt 2. Dal 2019 Kiev ne ha acquistati almeno 20 e, secondo varie ricostruzioni giornalistiche, le armi turche sarebbero state utilizzate in Donbass già alla fine dello scorso anno provocando forte fastidio da parte di Mosca. Per quanto Ankara abbia fatto sapere che la vendita di droni all’Ucraina riguarda una transazione tra un Paese straniero e un’azienda privata turca, la Baykar, che li produce, è una compagnia legata alla famiglia Erdogan, dal momento che uno dei suoi principali dirigenti, Selçuk Bayraktar, è il genero del capo di Stato turco.

Equidistanza forzata

Nonostante la vicinanza manifestata dalla Turchia all’Ucraina, dopo l’inizio della guerra Ankara non ha seguito i Paesi europei nel chiudere lo spazio aereo ai voli russi e non ha nemmeno imposto sanzioni contro Mosca. Funzionari del governo hanno fatto sapere che la Turchia non intende punire economicamente la Russia per proteggere la cooperazione con Mosca su agricoltura, turismo – lo scorso anno, nonostante le restrizioni per il Covid, oltre 4 milioni di russi hanno visitato la Turchia – ed energia. La dipendenza della Turchia dal gas russo è molto forte e solo un mese e mezzo prima dello scoppio della guerra, Ankara ha firmato un nuovo accordo con il colosso energetico russo Gazprom per la fornitura di 5,75 miliardi di metri cubi di gas all’anno fino al 2025. Il gas russo arriva in Turchia tramite il gasdotto Blue Stream, inaugurato nel 2005, e attraverso il TurkStream, che dal 2020 trasporta energia dalla Russia alla regione occidentale turca della Tracia per poi portare il gas in Europa a partire dalla Bulgaria. La cooperazione energetica tra Ankara e Mosca riguarda anche il nucleare, con la costruzione della prima centrale atomica in Turchia, ad Akkuyu, per cui è prevista nel 2023 la messa in funzione della prima unità.

È in questo contesto, di equidistanza quasi forzata, che il presidente turco ha preso la decisione di volere mediare tra Mosca e Kiev, un approccio che la Turchia ha dimostrato di volere portare avanti già prima del conflitto. Nelle settimane che hanno preceduto lo scoppio della guerra, Erdogan aveva cercato, pur senza riuscirci, di organizzare un incontro tra Putin e Zelensky a Istanbul o ad Ankara. Il capo di Stato turco ha rilanciato l’idea più volte, sostenendo che ci sarebbe un atteggiamento positivo sull’incontro sia da parte russa che ucraina. Con l’aggravarsi del conflitto giorno per giorno, il vertice pare però sempre più lontano o comunque difficile da organizzare in questo momento. Nel frattempo, Ankara è comunque riuscita a portare i ministri degli Esteri di Russia e Ucraina, Serghei Lavrov e Dmytro Kuleba, al primo faccia a faccia dall’inizio della guerra. L’incontro si è tenuto il 10 marzo ad Antalya, perla turistica del Mediterraneo nel sud della Turchia, prima dell’inizio di un forum diplomatico a cui, tra gli altri, hanno partecipato anche il Segretario generale della Nato Jens Stoltenberg e l’Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue Josep Borrell.

Nonostante l’incontro tra Lavrov e Kuleba non abbia prodotto particolari sviluppi sul campo, il fatto stesso che i due ministri si siano incontrati è stato celebrato a più voci dall’Unione europea e dal presidente americano Joe Biden. Per la Turchia si è trattata di una "vittoria della diplomazia", come ha fatto sapere Erdogan, e a fine marzo Ankara è tornata protagonista delle mediazione riuscendo a organizzare colloqui tra delegazioni di Mosca e Kiev a Istanbul. Il principale rischio della posizione di mediazione potrebbe essere direttamente relativo alla dimensione a cui arriverà il conflitto e se lo scontro assumerà dimensioni gravi la Turchia potrebbe trovarsi nella difficile posizione di scegliere di sostenere l’uno o l’altro fronte. Nello stesso tempo, l’approccio di mediazione voluto da Erdogan si è dimostrato per ora di successo ed è stato celebrato da Europa e Stati Uniti. Dopo anni di relazioni estremamente complicate tra Ankara e i suoi alleati Nato, già questa è una vittoria.