Estero

La guerra in Ucraina e i 5 veri errori dell’Occidente

Tanti passi falsi: dipendenza energetica, miopia diplomatica, ingordigia. E anche la Nato ha fatto sbagli, ma accettare i Paesi dell’Est non è tra questi

Lenin, Obama e Putin formato matrioska (Keystone)
22 marzo 2022
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L’Ucraina non è ancora morta. Può sembrare una frase a effetto, ma è il primo verso dell’inno nazionale ucraino. Per i cittadini ucraini, ‘L’Ucraina non è ancora morta, né la gloria né la libertà’ suona come ‘Quando la bionda aurora il mattino c’indora’ per gli svizzeri, o ‘Fratelli d’Italia, l’Italia s’è desta’ per gli italiani.

Vladimir Putin, è dimostrato, voleva distruggere e ricostruire l’Ucraina in tre giorni, come il tempio di Gerusalemme, a sua immagine e somiglianza. Invece, dopo tre settimane, l’Ucraina non è ancora morta.

Sui media, in lingua italiana più che altrove, compaiono commentatori di ogni genere secondo i quali la guerra sarebbe colpa dell’Occidente, della Nato, cioè colpa nostra. Lo fanno esponendo teorie che non trovano alcun riscontro nei fatti e nei documenti.

Non rispondo nel dettaglio a queste tesi infondate. Significherebbe dare ulteriore notorietà ad esse e agli illusionisti che le sostengono. Preferisco analizzare alcuni errori che noi occidentali abbiamo davvero commesso verso la Russia.


Una mappa del gasdotto Nord Stream 2 su un container (Keystone)

La dipendenza energetica

Oggi, dipendere dal gas russo e, in misura minore, dal petrolio, limita la nostra possibilità di sanzionare Mosca per costringerla a fermare la guerra. Tra fine anni Settanta e inizio degli anni Ottanta, l’Unione Sovietica cominciò a estendere verso l’Europa i gasdotti che portavano gas dalla Siberia, costruiti a segmenti successivi in decenni di lavori. La Germania occidentale intendeva collegarsi al gasdotto sovietico che arrivava in centro Europa, attraverso l’allora Cecoslovacchia. A inizio gennaio 1982, il presidente degli Stati uniti Ronald Reagan venne in visita ufficiale in Europa.

Erano i mesi in cui in Polonia la popolazione si sollevava contro il regime comunista. Poche settimane prima, il generale Wojciech Jaruzelski aveva imposto la legge marziale. Gli Stati uniti proponevano di sanzionare Mosca, che non voleva rivolte contro i regimi dell’Est e appoggiava la repressione in Polonia.

Il presidente Reagan voleva convincere il cancelliere Schmidt a rinunciare ad allacciare la Germania al gasdotto sovietico; Schmidt voleva il gas sovietico e non voleva sanzioni contro Mosca, perché il progetto, oltre al gas, portava commesse milionarie per le imprese tedesche. Chi, in quei giorni, assistette all’incontro fra Reagan, Schmidt e altri dirigenti del tempo, racconta che il cancelliere tedesco evitava ostentatamente lo sguardo del presidente americano, voltandosi verso la finestra, ogni volta che Reagan lo guardava per avvertirlo dei pericoli della sua politica energetica. Questi fatti accaddero quarant’anni fa: già allora, gli Stati uniti ammonivano l’Europa contro la dipendenza energetica da un regime autoritario.

Ho citato l’esempio della Germania. Chi segue le cose italiane troverà senza fatica atti che hanno favorito la dipendenza della Penisola dalla Russia con decisioni politiche o economiche. In futuro, le politiche energetiche dovranno essere studiate in modo da non causare dipendenze politiche da regimi malfidati.

La dipendenza economica

Nell’entusiasmo suscitato dalla caduta del Muro di Berlino, molte imprese europee si lanciarono sul mercato della Russia. Senza farsi domande su quel Paese, svilupparono relazioni economiche sempre più strette. Il Cremlino, oggi, sfrutta queste relazioni per imporre all’Occidente la sua visione del mondo e alimentare le sue guerre. La guerra in Ucraina tocca oggi il suo vertice di crudeltà, ma è cominciata nel 2014. In questi anni, nessuno ha messo in discussione i rapporti economici, anzi. Le associazioni imprenditoriali hanno protestato a gran voce, ogni volta che i governi proponevano sanzioni contro la Russia. Non è possibile commerciare con un Paese, senza essere informati sul suo sistema politico e sulla sua evoluzione. I rapporti economici rafforzano le dittature, non le fanno cadere.


L’incontro Putin-Biden lo scorso anno a Ginevra (Keystone)

L’accettazione della Storia falsificata

Da almeno dieci anni, in Russia è in corso un processo di riscrittura della Storia. Con articoli, saggi, documentari e prodotti multimediali, la propaganda del Cremlino sta ribaltando la Storia, distorcendo le fonti per giustificare l’imperialismo russo. Questa rilettura si è diffusa anche nelle accademie e nei media occidentali, che non si sono preoccupati di smascherarne la falsità.

Cito un esempio per tutti: l’ormai celebre favola della promessa di non allargamento a est della Nato. Secondo la Russia, durante i negoziati per la riunificazione della Germania, nel 1990, gli Stati Uniti avrebbero promesso all’Unione Sovietica di non far aderire alla Nato i Paesi dell’Est Europa. Di questa promessa non vi è traccia nei documenti; in quel momento storico un accordo simile non era possibile, perché il Patto di Varsavia esisteva ancora e nessuno prevedeva lo scioglimento dell’Unione Sovietica.

Persino Michail Gorbacev, allora a capo del Cremlino, ha scritto e dichiarato più volte che non si parlò mai di allargamento della Nato. Di adesione alla Nato dei Paesi dell’Est si cominciò a parlare anni dopo, quando l’Unione Sovietica non c’era più e il Patto di Varsavia si era sciolto. Ciliegina sulla torta: una promessa di non allargamento della Nato fra Stati Uniti e Urss non avrebbe avuto alcun valore giuridico: due Stati non possono decidere il futuro di altri.

Conclusione: la promessa di non allargamento a est della Nato è una bufala clamorosa. Eppure, il regime di Vladimir Putin giustifica la sua guerra in Ucraina come reazione al tradimento della Nato, che non avrebbe rispettato la promessa di non accettare l’adesione di Stati dell’Est Europa, ma la promessa non esiste.

La riscrittura della Storia fatta dalla Russia di Putin riguarda anche altri momenti chiave del passato recente: il patto Molotov-Ribbentrop del 1939, le vicende della Seconda guerra mondiale, lo stalinismo, la relazione fra i russi, gli ucraini e gli altri popoli non russi dell’Impero zarista, la storia dell’Unione Sovietica.

Oggi, questa storia falsificata della Russia e dell’Europa serve a giustificare la guerra in Ucraina. Trova intellettuali e un’opinione pubblica occidentale disposti a crederci. Bisogna smettere di diffondere tesi storiche e politiche infondate: distinguere il vero dal falso è possibile, i fatti non si possono contraddire sempre.

Gli errori in Iraq, Siria e Afghanistan

Nel marzo del 2003 gli Stati Uniti e alcuni Stati occidentali invadono l’Iraq. Il presidente George Bush figlio giustifica l’attacco come guerra preventiva, dinanzi al pericolo del regime di Saddam Hussein. Secondo gli Stati Uniti, il dittatore iracheno nasconde armi di distruzione di massa che minacciano l’intera umanità. Si capisce poi che in Iraq non ci sono tali armi e che la guerra degli Stati Uniti serve a un disegno di egemonia regionale.


L’incontro Putin-Biden lo scorso anno a Ginevra (Keystone)

La guerra di Vladimir Putin in Ucraina è lo specchio di quella di Bush in Iraq. Oggi, Vladimir Putin motiva l’attacco come autodifesa preventiva rispetto a un inesistente "pericolo nazista" costituito dall’Ucraina come Stato indipendente. In realtà, conduce anch’egli una guerra di egemonia neo-imperiale, come l’allora presidente Usa. La guerra in Iraq segnò un pericoloso precedente. Oggi, Vladimir Putin si serve di quel precedente per sostenere la legittimità dell’invasione dell’Ucraina.

Nel 2012, il presidente degli Stati Uniti Barack Obama promette che gli Usa interverranno in Siria, se il regime di Bashar al-Asad utilizzerà armi chimiche, nel contesto della guerra in corso nel Paese. Il regime siriano impiega le armi chimiche, ma Usa e Occidente non intervengono. La loro inerzia dimostra al mondo che non sono disposti a battersi per la difesa di un principio del diritto internazionale, il divieto di uso di armi chimiche.

Nell’estate del 2021, gli Stati Uniti abbandonano al suo destino l’Afghanistan. Non si consultano con gli alleati europei, che protestano: l’Occidente era in Afghanistan per una battaglia di valori, ma mostra di non interessarsene più e addirittura litiga su come uscirne.

Un mese dopo, il 15 settembre, gli Stati Uniti provocano un’altra rottura con gli alleati europei. Decidono da soli di promuovere Aukus, un’alleanza rivolta alla difesa verso le minacce dell’Asia-Pacifico. L’atto provoca reazioni in Europa e particolarmente in Francia, perché comporta la disdetta di una fornitura di sommergibili nucleari all’Australia. L’amministrazione di Joe Biden dimostra che il suo nuovo orientamento verso l’Asia prevale sul rischio di uno scontro con i partner europei.

A fine estate 2021 la Nato e l’Occidente si presentano più deboli e divisi di sempre. È nei fatti che la Russia ha cominciato ad ammassare truppe al confine con l’Ucraina proprio a inizio autunno 2021, quando anche il presidente russo ha preso atto che la Nato era più confusa e meno pericolosa che mai.

L’Occidente non ha stimolato la guerra in Ucraina minacciando la Russia: si è mostrato debole e diviso al punto da far credere al Cremlino che una guerra di aggressione sarebbe rimasta impunita.

Dobbiamo ricordare due principi: il primo, che le alleanze funzionano se si presentano unite, oltre che esserlo; il secondo, che non si devono creare precedenti di violazione del diritto internazionale, per biechi interessi di parte. Prima o poi, qualcuno citerà quei precedenti per giustificare le proprie violazioni. Sembra elementare, ma ce ne siamo dimenticati.

L’errore di voltarsi dall’altra parte

Il progetto del regime di Vladimir Putin sull’Ucraina e sull’Europa non è un segreto. Per prevedere i fatti di oggi bastava studiare le fonti in cui vengono descritti a chiare lettere. Dal 2007 a oggi vi sono stati ricercatori, studiosi e analisti che hanno capito dove si sarebbe arrivati. Il loro grido è rimasto inascoltato, mentre nelle facoltà universitarie, sulle pagine dei giornali e nella politica passava chi sosteneva la propaganda di Vladimir Putin.


Un murale per le strade di Roma con protagonista Putin e la sua voglia d’Ucraina (Keystone)

È ancora più grave, però, che la condotta della Russia sia passata inosservata nei ministeri occidentali, nelle Commissioni affari esteri dei parlamenti, dai governi e dai funzionari che dovrebbero consigliarli. Cosa facevano, mentre Vladimir Putin, alla luce del sole, piantava i paletti per realizzare il suo progetto? Servono più capacità di analisi e più competenza, nella politica e nei media.

Questa breve lista di errori dell’Occidente, che hanno causato o favorito la guerra in Ucraina, non pretende di essere completa. Più si studiano le condotte di Europa e Stati uniti negli ultimi trenta, quarant’anni, più si riconosce che l’Occidente ha sbagliato per debolezza, incoerenza e ingenuità, non certo per aggressività.

Gli errori del presente

Oltre agli errori del passato, vi sono almeno due errori del presente, che possiamo smettere di fare. Il primo è credere che il regime di Putin si fermerà all’Ucraina, se riuscirà a sottometterla. Il progetto politico della Russia è scritto nero su bianco: ricostituire l’egemonia della Russia sull’Europa dell’est, sul Caucaso e sull’Asia centrale, per poi esercitare la sua influenza politica sino all’Atlantico.

Il secondo errore è credere che l’Ucraina perderà in ogni caso la guerra. Non è possibile fare previsioni, ma lo scenario assomiglia sempre più a quello della guerra sovietica in Afghanistan: Mosca sottovalutò la resistenza locale, si ritrovò senza uomini per combattere e finì in rotta. Vi sono ragioni per le quali la Russia potrebbe vincere, in Ucraina, ma ve ne sono almeno altrettante per le quali potrebbe perdere. È falso dire oggi che gli ucraini dovrebbero arrendersi alla prepotenza dei russi, perché continuare la resistenza costerebbe vite senza prospettive di vittoria. Non illudiamoci che la diplomazia possa risolvere questa guerra in questo momento.

Se anche dovesse perdere la guerra, non vi è ragione per la quale l’Ucraina debba perdere la dignità, consegnandosi all’invasore. Vladimir Putin pensava di vincere la guerra in tre giorni. Dopo tre settimane di combattimenti, l’Ucraina non è ancora morta.

Luca Lovisolo è traduttore e ricercatore indipendente in diritto e relazioni internazionali. Una versione più estesa di questo contributo è disponibile sul suo sito: www.lucalovisolo.ch