A colloquio con l’esperto Stephen Herzog (Ethz-Harvard) sui rischi di escalation legati alla guerra in Ucraina
Che si tema un tragico incidente presso una centrale o un missile piantato nel cuore dell’Europa, una cosa è evidente: il termometro della paura nucleare è tornato a registrare una febbre. Da una parte ci sono stati gli scontri presso i reattori di Zaporizhia, dall’altra la consapevolezza del fatto che Nato e Russia tornano a guardarsi in cagnesco come ai tempi delle vecchie cortine. Ma fino a che punto dovremmo preoccuparci? Ne parliamo con Stephen Herzog, ricercatore senior ed esperto nucleare presso il Politecnico di Zurigo e membro del ‘Progetto per la gestione dell’atomo’ di Harvard.
Anche volendo evitare inutili allarmismi, dopo l’allerta di Vladimir Putin l’opzione della guerra nucleare in Europa sembra meno fantascientifica di quanto non apparisse fino a poche settimane fa. Ma davvero rischiamo scenari da ‘Dottor Stranamore’?
Prima di questa crisi, buona parte dell’opinione pubblica globale pareva essersi dimenticata del mondo in cui viviamo e di una realtà che perdura dai tempi della Guerra fredda: tutte le principali città europee nei Paesi Nato possono essere colpite da missili nucleari russi nel giro di 20 minuti. La geografia europea e gli effetti delle armi nucleari implicano conseguenze gravi anche per le città che si trovano in Paesi neutrali come la Svizzera. Anche i centri urbani Usa possono essere distrutti in mezz’ora dalle quasi seimila testate che la Russia può lanciare dalla terraferma o dal mare. Ovviamente è vero anche il contrario: la Russia ha la stessa vulnerabilità e corre gli stessi rischi. È uno scenario triste che faremmo meglio a tenere in considerazione anche al di fuori della crisi ucraina, mettendo più spesso al centro del dibattito pubblico le modalità di confronto con le minacce nucleari e la gestione della de-escalation di eventuali conflitti.
L’idea che sta dietro al sistema nucleare internazionale è la ‘deterrenza’: superpotenze l’una contro l’altra armate ‘congelano’ l’Europa in una situazione di pace, visto che l’alternativa è l’annichilimento reciproco. In Ucraina non ha funzionato, però.
La deterrenza nucleare aumenta il prezzo da pagare per uno scontro militare, portandolo fino all’autodistruzione: in questo senso può servire a frenare certe ambizioni geopolitiche. Tuttavia non riesce sempre a sventare conflitti ‘periferici’, specie in Paesi che restano al di fuori delle alleanze militari e dello scudo nucleare come l’Ucraina.
Lì Putin ha individuato una vulnerabilità strategica?
La scommessa di Putin è basata sulle differenze nel cosiddetto ‘balance of resolve’, l’equilibrio tra la determinazione dell’una e dell’altra parte: ha ritenuto che il controllo del destino dell’Ucraina come Stato stesse più a cuore a Mosca che alla Nato, e dunque ha previsto di potervisi ritagliare spazio di manovra. Tuttavia, vediamo che ora il conflitto ha finito rapidamente per coinvolgere tutto l’Occidente, le sue nazioni, le sue armi, la sua intelligence militare e il suo peso economico.
Questo potrebbe cambiare gli equilibri, ma significa anche che i Paesi occidentali potrebbero infilarsi sempre di più nel conflitto. Dove sta la linea rossa oltrepassata la quale qualcuno potrebbe premere il bottone nucleare?
È molto difficile indovinare dove stia quella linea secondo il Cremlino. Non credo che una partecipazione ‘minore’ al conflitto ucraino – ad esempio con truppe di peacekeeping o perfino la creazione di una no-fly zone – scatenerebbe una reazione del tipo ‘bombardiamo Washington’. Però si tratta di calcoli assai rischiosi: non sappiamo a che punto Putin potrebbe utilizzare almeno qualche testata nucleare tattica a corto raggio, magari per raggiungere parità di forze sul campo di battaglia. E poi ci sono gli incidenti e gli errori di valutazione, sempre possibili nella ‘nebbia della guerra’. Intanto, man mano che i video di violenze contro i civili ucraini raggiungono il pubblico europeo, le pressioni per un intervento occidentale più risoluto aumentano: sarà imperativo stabilire al più presto cosa l’occidente intende fare – e cosa no – per raggiungere la pace ed evitare un conflitto totale con la Russia.
C’è un ‘accerchiamento nucleare’ Nato ai danni di Mosca?
La Russia può in effetti percepire l’allargamento della Nato come un accerchiamento: ne limita di fatto la libertà di manovra e l’influenza diplomatica in Europa dell’Est. Va però notato che le armi nucleari non si trovano dispiegate in Paesi come Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia. L’intelligence ‘open source’ indica che le 150 testate nucleari presenti in Europa si trovano più a ovest, in Paesi come il Belgio, la Germania, i Paesi Bassi, l’Italia, oltre alla Turchia. Si tratta poi di cosiddette bombe ‘stupide’, che si possono lanciare solo da un aereo e sono prive di guida laser: in un certo senso contribuiscono alla coesione della Nato più a livello simbolico che nella pianificazione di qualsivoglia missione militare. Dall’altra parte vediamo che la Russia ha effettuato esercitazioni nucleari anche a Kaliningrad, l’enclave russa al confine con Polonia e Lituania, e ora Mosca può contare anche sulla Bielorussia per dispiegare le sue armi nucleari e puntarle verso le nazioni europee.
Kaliningrad si trova a poco più di 500 chilometri da Berlino, per cui si potrebbe parlare quantomeno di accerchiamento reciproco. Ma secondo alcuni è la richiesta Ucraina di aderire alla Nato ad aver scatenato l’intervento russo.
Non mi pare che vi sia una relazione diretta tra le due cose. L’Ucraina non ha alcuna possibilità di diventare Paese Nato nel breve termine. Questo valeva anche prima di ritrovarsi in guerra, cosa che già di per sé esclude questa opzione: normalmente, per diventare un membro Nato si devono poter esibire molti anni di alternanza pacifica tra governi democratici, il pieno rispetto delle libertà individuali e la piena applicazione dello Stato di diritto. L’Ucraina è una democrazia troppo giovane – con troppa corruzione e problemi a livello di diritto – per soddisfare questi criteri. Ciò non significa naturalmente che la volontà di renderla ‘neutrale’ in via preventiva non sia parte del calcolo di Putin; tuttavia, non credo che un’eventuale adesione tra chissà quanti anni possa spiegare l’invasione. Putin ha sempre detto chiaramente che intende ricostruire la grandeur russa: ciò cui stiamo assistendo potrebbe essere l’inizio della costruzione di questa sorta di eredità putiniana.
In passato, però, per l’ingresso nella Nato si sono fatte eccezioni.
Certo, abbiamo visto un’interpretazione piuttosto elastica dei criteri d’ingresso per Paesi quali la Bulgaria, la Romania, la Turchia e non solo. Ma è comunque difficile ipotizzare l’ingresso dell‘Ucraina nell’alleanza atlantica prima che risolva i suoi problemi ed esca da questa enorme disputa territoriale.
Sempre a proposito di Nato, secondo alcuni avrebbe dovuto garantire la pace all’Europa e invece le ha portato la guerra. Cosa ne pensa?
È difficile indovinare in via controfattuale cosa sarebbe successo nel caso in cui non ci fosse stata. Quello che posso notare è che difficilmente quanto accade in Ucraina ed è accaduto in Georgia potrebbe succedere a Paesi membri come Estonia, Lettonia, Lituania. Per quanto la Russia possa sentirsene minacciata, possiamo dire che l’assenza della Nato potrebbe condurre a un’instabilità anche maggiore. Mosca può interferire con i membri Nato attraverso attività informatiche o cercando di immischiarsi nelle loro elezioni, ma non sembra voler rischiare un confronto militare diretto.
La Svizzera si è allineata alle sanzioni dell’Unione europea. Alcuni sostengono che si tratti di una violazione della neutralità, sebbene la sua interpretazione più ‘letterale’ prescriva solo di non entrare nei combattimenti. In realtà il dibattito riguarda anche l’immagine che il Paese ha di sé: una piccola nazione nel bel mezzo dell’Europa occidentale può davvero ritenersi neutrale?
Io penso che la neutralità svizzera sia reale, ma ovviamente dev’essere letta nel contesto del suo posizionamento geografico, con tutto quel che esso implica in termini di pericoli militari e partecipazione all’equilibrio tra potenze. È chiaro che la Svizzera non è fuori dall’Europa, come ci mostra già la crisi dei rifugiati insieme agli altri effetti indiretti del conflitto ucraino. Se ad esempio – e parliamo di un’ipotesi molto remota – venissero utilizzate armi nucleari in qualsiasi altra parte d’Europa, la neutralità svizzera non la proteggerebbe dall’enorme impatto della radioattività sulla salute pubblica, l’ambiente e l’economia.
Ma non ci stiamo ‘schierando’ troppo?
Anche in passato la Svizzera si è allineata alle sanzioni verso Paesi come la Corea del Nord. Se poi nella comunità internazionale si afferma un consenso diffuso circa le violazioni del diritto internazionale commesse da un Paese in guerra, la scelta di non adottare le sanzioni potrebbe essere vista come un modo per stare dalla parte dell’aggressore. Più avanti la Svizzera potrebbe comunque sfruttare la sua neutralità per giocare un ruolo di mediatrice tra le parti. Dopotutto, ci sarà pure una ragione per la quale svariate fasi del negoziato sul controllo degli armamenti nucleari hanno avuto luogo a Ginevra.
Sempre a proposito di minacce nucleari, a spaventare l’opinione pubblica sono stati anche gli scontri presso la centrale di Zaporizhia, che ci hanno fatto vedere ancora una volta i rischi di un tremendo incidente. Quanto dobbiamo temere una sorta di ‘ipotesi Chernobyl’?
Non penso affatto che la Russia voglia attaccare di proposito le quattro centrali nucleari presenti in Ucraina: le conseguenze sarebbero disastrose, forse perfino più gravi di quelle dell’incidente di Chernobyl, e investirebbero tanto l’intera Europa quanto la stessa Russia. Va anche detto che la Russia si è sempre detta d’accordo con le linee guida dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica, che prescrive di escludere le centrali dagli obiettivi militari. Inoltre, controllare un impianto come quello di Zaporizhia, che soddisfa il 25% del fabbisogno energetico ucraino, potrebbe risultare più strategico di distruggerlo se lo scopo è quello di infliggere alla popolazione ulteriori sofferenze: ‘spegnere l’interruttore’ avrebbe un effetto importante sul morale collettivo. Però gli incidenti sono sempre possibili, e gli effetti di un attacco alle strutture vicine alle centrali – come abbiamo visto al centro di addestramento di Zaporizhia – potrebbero essere disastrosi.
Cosa potrebbe accadere?
Dopo il disastro di Chernobyl i reattori – a Zaporizhia sono sei – sono protetti da un edificio di contenimento in cemento. Il problema è che queste strutture servono a evitare la diffusione di radiazioni dall’interno all’esterno in caso di incidente al nucleo, o al massimo proteggerlo da piccoli terremoti ed esplosioni all’esterno; ma in nessun caso possono resistere ai colpi di carri armati, artiglieria pesante e missili. Oltre ai reattori ci sono poi le strutture esterne all’edificio di contenimento: le piscine nelle quali si conserva l’uranio già utilizzato, le infrastrutture che garantiscono l’alimentazione elettrica. Se colpite, potremmo assistere anche in questo caso a un disastro: quello di Fukushima fu dovuto proprio a un’interruzione dell’alimentazione che garantiva il raffreddamento del nucleo. Ecco perché anche volendo escludere un attacco deliberato, il rischio di un incidente è motivo di grandi preoccupazioni.