Visto che anche dalle nostre parti c’è chi diffonde informazioni sbagliate o fuorvianti, abbiamo cercato di mettere in ordine quello che sappiamo
"Denazificazione" dell’Ucraina, lotta ai "neonazisti" di Kiev, intervento inevitabile contro il "genocidio" della popolazione russofona nel Donbass. Queste e altri le principali parole chiave intorno alle quali ruota la narrazione utilizzata da Mosca per giustificare l’invasione in Ucraina, quella che al Cremlino definiscono "operazione militare speciale" e che per qualche irriducibile filoputiniano nostrano è "l’entrata della Russia in Ucraina". Una massiccia operazione di propaganda, quella della Russia, iniziata ben prima delle operazioni militari e sostenuta non solo dai media di Stato russi, ma anche e soprattutto da un’estesa rete di siti web e account social fasulli e/o anonimi pronti a rilanciare e diffondere capillarmente la parola del Cremlino. Secondo Newsguard, l’organizzazione di giornalisti che si propone di combattere la disinformazione, sarebbero ben 116 i siti che hanno finora diffuso false informazioni e propaganda filorussa. Fra questi i tre più noti e influenti siti finanziati dal Cremlino, ovvero Russia Today, Sputnik News e l’agenzia di stampa Tass, già banditi in tutta Europa sia dagli Stati sia dalle piattaforme a cui si appoggiano per la pubblicazione di contenuti. Altri, invece, proseguono nella loro opera di diffusione delle fake news, alcune delle quali sono state sbufalate da Newsguard.
Si parte da lontano, dal 2014, anno in cui, secondo il racconto del Cremlino, in Ucraina ci sarebbe stato un colpo di Stato ai danni del governo di Viktor Yanukovich orchestrato dalla Ue, dagli Usa e dalla Nato. Nei fatti, all’epoca ciò che si è verificato è stata una massiccia sollevazione popolare contro la sospensione degli accordi di libero scambio con l’Unione europea decisa dal governo, proteste note poi come "Euromaidan". I movimenti di piazza hanno portato a un accordo fra l’opposizione pro-Ue e il governo ucraino, con la mediazione di Germania, Francia e Polonia, a cui sono seguite la fuga di Yanukovich e la sua successiva rimozione all’unanimità da parte del Parlamento ucraino. Da allora in Ucraina si sono svolte elezioni presidenziali nel 2014, vinte dal filoeuropeista Petro Poroshenko, e nel 2019 con la vittoria dell’attuale presidente Zelensky. Di una regia da parte dell’Occidente dietro alle proteste popolari di piazza finalizzate a un colpo di Stato, a oggi, non esiste alcuna prova.
Quanto all’accusa di "genocidio" ai danni della popolazione russofona nel Donbass, innegabili sono le violenze e gli scontri fra esercito ucraino e corpi paramilitari (fra cui il famigerato Battaglione Azov) da una parte, e separatisti filorussi dall’altra, che hanno insanguinato la regione dal 2014. Ma, come riporta Newsguard, né la Corte penale internazionale (Cpi), né l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani né l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Ocse) hanno trovato prove di un genocidio. E se è vero che, secondo un rapporto della Cpi, le violenze compiute nel 2013 e nel 2014, e presumibilmente attribuibili alle forze ucraine, potrebbero essere definite un "attacco contro una popolazione civile", nel suddetto rapporto è evidenziato che, in base alle informazioni disponibili, non è possibile trarre la conclusione che si sia trattato di un attacco "sistematico o diffuso".
E la "denazificazione" di cui parla il presidente russo Vladimir Putin? Fino a qualche giorno fa, il leader del Cremlino ha ribadito il Leitmotiv dei "neonazisti al comando dell’Ucraina", suggerendo che il governo di Kiev sia sostanzialmente ispirato all’ideologia nazista. In realtà, le uniche presenze di questo tipo sono riconducibili a singole milizie come il Battaglione Azov e Pravy Sektor, attive negli scontri di Euromaidan e nelle violenze ai danni dei civili nel Donbass. Quanto al presunto "nazismo" del governo ucraino, giova ricordare che il presidente Zelensky – ebreo russofono – è membro di Sluha Narodu ("Servitore del Popolo"), un partito di ispirazione liberale ed europeista, associato all’Alde, l’Alleanza dei Liberali e dei Democratici per l’Europa. L’estrema destra a livello politico in Ucraina è rappresentata dal partito nazionalista Svoboda che ha ottenuto alle elezioni presidenziali del 2019 solo l’1,6% dei voti e il 2,2% in quelle per il Parlamento, dove occupa al momento un solo seggio. A titolo di paragone, il Partito Liberal-Democratico di Russia, formazione ultranazionalista di estrema destra guidata da Vladimir Žirinovskij, vanta quasi l’8% dei voti alle ultime elezioni e 40 seggi al parlamento russo. La penetrazione ideologica nazista in Russia è d’altronde evidente sia sul piano ideologico – con consiglieri quali Alexander Dugin al fianco di Putin – sia su quello militare: il famigerato "battaglione Wagner", la milizia di mercenari da tempo indicata come lo strumento non ufficiale di Mosca per gli interventi in Africa, è accusato di essere attualmente in Ucraina e di aver tentato almeno quattro volte di uccidere il presidente ucraino Zelensky.
C’è poi l’argomento principe a sostegno dell’invasione russa, ovvero il famigerato "espansionismo della Nato a est". Intanto è doveroso precisare che la Nato è un organismo con adesione su base volontaria: si espande, insomma, nella misura in cui un singolo Stato chiede e ottiene l’adesione; facoltà, piaccia o meno al Cremlino, che ogni Stato ha il diritto di esercitare. In ogni caso l’adesione dell’Ucraina alla Nato non era in agenda prima della guerra e non potrà esserlo ora, visto che i Paesi in conflitto non possono aderirvi.
Un tema correlato è quello delle ‘promesse non mantenute’ circa la non espansione della Nato a est a partire dal 1991. Le rassicurazioni informali americane – espresse a livello di semplici colloqui, a volte anche privati – non sono mai state formalizzate in un trattato. Anche gli accordi per la riunificazione tedesca prevedevano piena sovranità e libertà di aderire alla Nato. A essere invece messo per iscritto nel Founding Act del 1997 è stato l’impegno di entrambe le parti a rispettare "la sovranità, l’indipendenza e l’integrità territoriale di tutti gli Stati e il loro diritto intrinseco di scegliere i mezzi per garantire la propria sicurezza, l’inviolabilità delle frontiere e il diritto all’autodeterminazione dei popoli". È da precisare che il medesimo trattato impegnava la Nato a non dispiegare armamenti nucleari nei Paesi di nuova adesione, impegno il cui mantenimento da parte dell’Alleanza è da chiarire. Fino a qualche anno fa lo stesso Putin era disposto a collaborare con la Nato per una zona di sicurezza comune, come dimostra l’accordo di Pratica di Mare del 2002 che ha dato vita al Consiglio Nato-Russia, ancora formalmente attivo. Per quanto riguarda specificamente la questione Ucraina, il Memorandum di Budapest del 1994 permise addirittura alla Russia di recuperare le sue armi nucleari dispiegate sul territorio ucraino, in cambio del rispetto della sua inviolabilità (promessa non mantenuta, questa sì, con l’invasione del 2014 e quella odierna).
Né, tanto meno, ha riscontro l’accusa russa alla Nato circa la presenza di basi in territorio ucraino, a Odessa. La Costituzione ucraina all’art. 17 recita: "La collocazione di basi militari straniere sul territorio ucraino non è permessa". Inoltre, come ricorda sempre Newsguard, sulla mappa interattiva sul sito della Nato non risulta alcuna base in Ucraina. Anche qui, dunque, siamo di fronte a notizie prive di qualsiasi evidenza e prova a supporto.
Parlando di espansionismo, di fatto al momento ad aver annesso un territorio al di fuori dei propri confini sottraendolo a uno Stato sovrano è stata proprio la Russia con la Crimea. Annessione che, contrariamente a quanto sostiene il Cremlino, non è si è svolta legalmente per svariate ragioni evidenziate dall’Assemblea generale dell’Onu e dal Consiglio d’Europa. Primo, perché al referendum al riguardo, contrariamente a quanto prevede la Costituzione ucraina circa le modifiche al suo territorio, non è stata concessa la partecipazione a tutti gli elettori del Paese. Secondo, perché la scelta era fra l’annessione della Crimea alla Russia o il ritorno alla Costituzione del 1992 che concedeva alla penisola una larga autonomia: nessuna possibilità, dunque, di scegliere per il mantenimento dello status quo come parte dell’Ucraina. Infine, il diritto internazionale non riconosce un referendum tenuto nel contesto di un’occupazione o aggressione armata. A supporto di ciò vengono citate le dichiarazioni di Igor Strelkov, noto anche come Igor Grinkin, ex militare delle forze di sicurezza interne russe ed ex comandante delle milizie dell’autoproclamata Repubblica popolare di Donetsk: in un’intervista del 2015, Strelkov ha dichiarato che i membri del parlamento della Crimea sono stati radunati a forza dai militari e costretti a votare.
Infondata è pure l’idea che l’Ucraina moderna sia una creazione dei bolscevichi, i quali hanno sì costituito la Repubblica socialista di Ucraina nel 1922, ma riconquistando un’entità statale preesistente, nata con il trattato di Brest-Litovsk seppur sotto controllo tedesco. Nel corso dei circa dieci secoli di storia a partire dal Rus’ di Kiev, l’impero medievale di origine norrena che comprendeva parte dell’Ucraina e della Russia occidentale, sono numerose le vicende di spartizione territoriale del territorio ucraino fra Impero Russo, Impero Austro-Ungarico e altre entità come il Granducato di Polonia. Sostanzialmente infondata è invece l’affermazione putiniana che l’indipendenza dell’Ucraina sia stata una "concessione senza termini e condizioni" da parte dell’Unione Sovietica: a decidere per l’indipendenza è stato in realtà il popolo ucraino con un regolare referendum nel 1991, con una partecipazione dell’84% dei votanti e una percentuale di oltre il 92% dei voti a favore del distacco dall’Urss.
Non entriamo nel vastissimo territorio della guerra di fake news che si combatte sui media e i social circa attacchi ai civili attribuiti a una parte o all’altra, fatta spesso di immagini e video presi fuori contesto e non attinenti ai fatti a cui vengono attribuiti: operazione che non può essere escluso sia compiuta anche da parte ucraina nelle circostanze attuali. Al di là dell’attualità spiccia, a essere distorta sotto il profilo dell’aderenza ai fatti è la narrazione russa nel suo complesso a sostegno dell’invasione ucraina. Un contesto di propaganda che va oltre la singola notizia, ma parte da lontano, andando a creare una vera e propria "verità alternativa" sulla quale poi i singoli episodi si innestano. Ed è questo, di fatto, a rendere questa disinformazione peculiare: perché un conto è attribuire a una o all’altra parte la responsabilità di un singolo episodio, un altro è creare ad arte un’intera epopea con eroi (la Russia liberatrice), antagonisti e loro "sgherri" (la Nato malvagia e i "neonazisti" ucraini) e principesse da salvare (l’Ucraina assoggettata ai "neonazisti" e i filorussi vittime del "genocidio" da parte dei suddetti). Ciò che, come insegna il linguista russo Vladimir Propp, è la struttura tipica non già di una narrazione realistica, ma di un tipo ben preciso di racconto probabilmente caro al Cremlino: la favola.