A Berlino migliaia di profughi. La macchina degli aiuti non è pronta, ma la gente sì: traduttori, vestiti, giochi e cibo da un ex rifugiato siriano
Prima di mangiare il panino apre la scatoletta per il suo cane. Spezzetta il contenuto con la linguetta in alluminio e l’appoggia davanti allo yorkshire terrier. Lì accanto c’è tutto quello che le è rimasto: un trolley rosa. "Sono scappata con mia mamma, mia sorella e il cane. Mio padre e il mio fidanzato sono rimasti in Ucraina". Anastasia ha 19 anni, indossa un cappotto chiaro e un cappello di lana ricamato.
È arrivata alla stazione centrale di Berlino da meno di un’ora. "Ne abbiamo parlato tanto, ma non riusciamo a decidere se restare qui o andare altrove. Forse a Düsseldorf, dove abbiamo degli amici". Viene da Kharkiv, la seconda città ucraina per dimensioni e popolazione, oggi il posto più pericoloso di tutto il Paese. "Siamo in viaggio da tre giorni, è stato difficile e molto triste. Ma in tanti sono ancora lì, non possono nemmeno fuggire". Anastasia racconta degli amici che sono bloccati in Donbass. "Il fronte avanza e indietreggia ogni giorno, se esci di casa nel momento sbagliato ti ritrovi in mezzo ai soldati russi".
A poche centinaia di metri dal Bundestag c’è la stazione centrale di Berlino: una grande struttura di acciaio e vetro. Sottoterra ci sono le linee della metro, dove tutto scorre nel consueto tran tran cittadino, ma al primo piano appaiono cartelli e bandiere ucraine. Un’intera ala della stazione è transennata con nastro da cantiere, qui i profughi possono riposarsi e decidere se ripartire o restare in città. Non ci sono letti, panchine o sedie. Tutto è ancora in divenire. Fa freddo, a mezzogiorno la temperatura supera di poco lo zero. Ma la macchina degli aiuti si è messa in moto, da sola, in autogestione.
Le lacrime subito dopo l’arrivo (Keystone)
Un gilet catarifrangente con un pezzo di nastro di carta, sopra ci sono scritte con un pennarello nero le lingue che parla Alisa: ucraino, russo, inglese e tedesco. "Sono ucraina. Ho vissuto 30 anni, tutta la mia vita, a Kiev e nel 2020 mi sono trasferita qui a Berlino". Alisa è una delle centinaia di volontari che si sono presentati spontaneamente in stazione. Non c’è un’associazione o un partito politico a coordinare il tutto. "Quando ho capito che in migliaia stavano arrivando ho deciso di venire a dare una mano. Tradurre, spiegare come funzionano le cose qui, magari anche solo ascoltare le loro storie. In molti avrebbero preferito stare a casa loro anche sotto le bombe, ma non possono. Hanno figli piccoli e farebbero di tutto per metterli al sicuro".
Nella hall al secondo piano la Croce Rossa ha allestito una piccola tenda per consulti medici. Attorno i volontari hanno messo tavoli da campeggio colmi di beni di prima necessità. Vestiti, pannolini, panini, un pentolone di zuppa calda, gli assorbenti. Ci sono anche due scatoloni pieni di giocattoli e qualche libro di fiabe in cirillico. Lì accanto sta in piedi Brigitta, 36 anni, nata in Turingia, ma berlinese d’adozione. Nel marsupio porta il figlio di pochi mesi e in mano tiene un cartello in inglese "camera libera per quattro settimane, mamma con uno o due figli". Ma non è l’unica, c’è un’altra mezza dozzina di persone che sono venute in stazione da sole e che torneranno a casa con una famiglia da aiutare.
"Ieri sono passato da qui e ho visto molti rifugiati. Quindi oggi ho deciso di venire a dare una mano". Filip è nato in Russia, a San Pietroburgo. Ha studiato all’estero ed è arrivato in Germania per seguire la campagna elettorale dello scorso settembre, fa il consulente di comunicazione politica. "Ci saranno molti altri rifugiati dall’Ucraina. Sembra che la guerra durerà a lungo, troppo a lungo. L’esercito russo sta creando una forte pressione, spingono la gente ad andare via. In molti vorranno venire qui in Germania, specialmente a Berlino".
La risposta tedesca parte dalle ferrovie. La Deutsche Bahn ha messo a disposizione biglietti gratuiti per tutti i profughi, dalla capitale possono raggiungere tutte le principali città tedesche.
Offerte di ospitalità (Keystone)
Nel 2015 la cancelliera Angela Merkel era in carica da dieci anni quando disse "Wir schaffen das" (ce la possiamo fare) aprendo le porte a oltre un milione di profughi in fuga dal Medio Oriente. Fu una scommessa, importante. Oggi il 49% di quei richiedenti asilo ha un lavoro a tempo indeterminato, la percentuale tedesca è del 75. Tre profughi su quattro nell’arco di cinque anni hanno lasciato i centri di accoglienza e si sono trasferiti in un alloggio privato. Secondo il sito di analisi Politico.eu lo Stato tedesco ha speso circa 87miliardi di euro in accoglienza, cifra che raccoglierà in tasse dai nuovi lavoratori in pochi anni.
Oggi Merkel si è ritirata dalla vita politica, ha anche rifiutato il ruolo di negoziatrice con Vladimir Putin. Il nuovo cancelliere, il socialdemocratico Olaf Scholz, non ha dieci anni di esperienza alla guida del governo federale, ma solo dieci settimane.
Lo scorso settembre l’agenzia per il lavoro tedesca, a ridosso della crisi afghana, lanciò un messaggio che rimase lettera morta: la Germania ha bisogno di 400mila nuovi lavoratori all’anno "non è una questione di asilo politico, ma di mercato del lavoro". Secondo le Nazioni Unite oltre un milione di persone ha già lasciato l’Ucraina e il flusso non sembra voler rallentare. Per molti la Germania è la meta elettiva: non c’è bisogno di visto, un’economia forte e capace di assorbire velocemente l’offerta di lavoro, un buon sistema di aiuto per le famiglie e soprattutto non è troppo lontana dal proprio Paese.
In stazione tra i volontari c’è anche Yulia. È arrivata a Berlino in aereo lunedì mattina. Ha viaggiato con suo figlio di otto anni. "Siamo tornati a vivere a Kiev lo scorso anno. Mio marito lavorava in un’azienda di purificazione dell’acqua in Inghilterra". L’uomo, un ingegnere trentatreenne, non ha potuto lasciare il Paese "è rimasto a combattere, ad aiutare gli altri. In questi giorni si occupa di coordinare l’arrivo del cibo in capitale". Yulia e suo figlio sono ospiti a casa di amici, attivisti della rete Refugees Welcome. "Adesso dobbiamo lottare anche qui". Quando hanno deciso di lasciare il Paese hanno scelto la strada più lunga: in auto fino in Moldavia, poi in Romania da dove hanno preso un volo per la Germania. I suoi genitori stanno arrivando in treno. Forse tra un paio di giorni.
Un uomo mostra i genitori in Ucraina (Keystone)
"Ho attraversato l’Egeo con mia moglie, mio padre e i miei due figli maggiori. La paura di quel viaggio non va via, nemmeno dopo anni". Nel 2015 Baker ha lasciato Aleppo, in Siria, portando via quello che aveva di più caro e si è incamminato lungo la rotta balcanica. Da allora hanno avuto altri due figli "adesso sono quattro, tutti maschi e già quasi tedeschi". Baker è arrivato ad Hauptbahnhof con un carrello carico, pasti caldi preparati nel suo ristorante. "Abbiamo aperto quattro anni fa, il ristorante si chiama Adam come il mio ultimo figlio". Lascia il cibo in mano ai volontari, ce n’erano oltre cento nel primo pomeriggio di ieri, e va verso la banchina del treno. Il convoglio in arrivo dalla Polonia, il terzo della giornata, è pieno. Sorriso e mani tese per prendere le valigie, Baker è pronto ad accogliere.
I pasti preparati per i profughi (Keystone)