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Fucilare e poi interrogare (da Lubitsch ai social)

Chissà se Tuto Rossi si è ispirato a ‘To Be or Not to Be’ quando ha deciso di usare la sua bacheca Facebook per gettar fango su un disabile senzatetto

(Wikipedia)

Chissà se Tuto Rossi si è ispirato a ‘To Be or Not to Be’, l’esilarante pellicola del 1942 firmata da Ernst Lubitsch e ambientata nella Varsavia occupata dai nazisti? Ce lo siamo chiesti l’altro giorno vedendo quanto l’avvocato bellinzonese aveva postato su Facebook. Lungi da noi l’idea che si sia deliberatamente immedesimato nel colonnello Ehrhardt. Ma ne ha a modo suo ricalcato forma mentis e, mutatis mutandis, le gesta, quando il goffo comandante della Gestapo, colto da un’irrefrenabile stizza e con voce infarinata di astio ordina ai suoi di fucilare e in seguito interrogare il partigiano appena catturato. L’inversione di sequenza logica è grottesca: la rabbia travolge la ragione, il sarcasmo evidenzia la tragicomica violenza dell’oppressore sull’oppresso.

La fucilazione metaforica, l’esecuzione capitale fast track, in corsia preferenziale, senza inutili interrogatori e verifiche, il consigliere comunale Udc l’ha decretata contro un mendicante senzatetto, un disabile, snidato a Bellinzona, che nel video girato dallo stesso avvocato si alza brevemente in piedi dalla sua sedia a rotelle. La sentenza è inappellabile: un falso invalido, un infido nomade che viene qui a truffare la nostra gente, e che dietro l’angolo nasconde la classica Mercedes, emblema della doppiezza e dell’opulenza dei rom. Inutile chiedere, interrogare. Senza por tempo di mezzo i follower hanno rovesciato l’immancabile fiume di fango antistranieri, la colata xenofoba che travolge tutti gli argini, pietas, dubbi, umanità. Con qualche eccezione: una manciata di indignati oltre a un manipolo di reazioni sarcastiche.

E poi arriva lei, Neva Spreng, la giovane dal volto solare immortalata nella sua bacheca di Facebook su una sedia a rotelle, che in molti hanno piacevolmente scoperto grazie allo sconcertante post di Tuto Rossi: con squisita femminile eleganza e fermezza, gli ricorda che non tutti i disabili sono paraplegici e che hanno bisogno di umanità, comprensione; le ferite di chi è deriso e insultato sono profonde, dolorose. L’autore del post rinsavisce un po’: la delazione è rimossa, mancano ancora solo le scuse. Intanto Claudio, con la sua faccia da straniero, girovago disadattato, emarginato e affetto da disabilità motoria, è stato salvato dal linciaggio mediatico e dal freddo polare (dormiva all’addiaccio in un consunto sacco a pelo) grazie alla comunità di Emmaus che gli ha offerto un tetto e pasti caldi.

Il caso di cui stiamo parlando è solo una delle infinite tracimazioni sui social. Messaggi dettati in fretta e furia sullo sfondo del frenetico onanistico ticchettio delle tastiere nell’attesa spasmodica del raggiungimento dell’estasi (che si materializza nell’agognata pioggia di like), sono l’espressione di una cultura dell’immediatezza, banale e perniciosa, che sacrifica la riflessione, il rispetto della verità, l’empatia. Giudizi sommari, pregiudizi e porcherie buttati lì per titillare il branco. La velocità fa la differenza tra una carezza e una sberla, sosteneva uno psicanalista. Neva Spreng, con la sua luminosa pacatezza e la sua serena difesa del diseredato, ci ricorda il valore rivoluzionario del rispetto e dell’ascolto, premessa da cui non si può prescindere per dialogare anche grazie ai social (e malgrado i social).

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