Il progetto pilota dell’amministrazione cantonale è in fase di implementazione. Il Ticino è il secondo Cantone a dare questa possibilità
Nell’aprile dello scorso anno il Gran Consiglio incaricò il governo di varare un progetto pilota per permettere all’amministrazione cantonale di accettare, oltre ai franchi, anche i bitcoin come mezzo di pagamento per regolare il costo di alcuni servizi erogati dallo Stato, in particolare tasse amministrative. Il Ticino è quindi il secondo Cantone, dopo quello di Zugo, a prendere in considerazione le criptovalute come mezzo di pagamento. Da alcuni anni anche la Città di Chiasso accetta criptovalute per saldare debiti fiscali fino a un massimo di mille franchi. In realtà, a differenza di Zugo e Chiasso, l’amministrazione cantonale non accetta bitcoin per pagare le imposte. A Zugo invece questa possibilità è data fino a un importo massimo di 100mila franchi.
A nove mesi dall’accettazione di questa possibilità il progetto pilota è in corso d’implementazione. «Stiamo adattando il portale di servizi online per permettere il pagamento in bitcoin», ci fanno sapere dalla Divisione delle risorse del Dipartimento delle finanze e dell’economia (Dfe). «Ipotizziamo di partire con questa sperimentazione a partire da metà anno», ci spiegano.
In realtà non sarebbe direttamente l’amministrazione a ricevere bitcoin, ma una società esterna che incassa criptovaluta e riversa l’equivalente in franchi allo Stato. Il rischio cambio incombe quindi sulla società terza. E il tasso di cambio tra bitcoin e franchi, se così lo possiamo chiamare, è molto volatile. Nell’ultimo anno il valore di un bitcoin è passato dagli oltre 58mila franchi del 15 aprile 2021 ai 40mila circa di ieri, adagiandosi a poco più di 26mila lo scorso 22 giugno. Diciamo che il mondo cripto non è il massimo della stabilità valutaria. Ma il segnale che la politica aveva voluto dare accettando la mozione del deputato Udc Paolo Pamini, firmata dai rappresentanti di Lega, Plr e Ppd (a eccezione della sinistra tutta), era quella di promuovere la tecnologia blockchain su cui si basano i protocolli delle criptovalute in generale a beneficio dello sviluppo della FinTech, la finanza tecnologica, anche in Ticino.
Bitcoin è una moneta elettronica creata nel 2009 che, “a differenza della maggior parte delle valute tradizionali, non fa uso di un ente centrale: esso utilizza un database distribuito tra i nodi della rete che tengono traccia delle transazioni, ma sfrutta la crittografia per gestire gli aspetti funzionali, come la generazione di nuova moneta e l’attribuzione della proprietà dei bitcoin”, si leggeva nella mozione.
Negli ultimi 13 anni sono nate migliaia di criptovalute che si basano su algoritmi simili a quelli di Bitcoin. Algoritmi che nel frattempo hanno conosciuto un’evoluzione tale che la scarsità di calcolo su cui si basano queste monete è diventata abbondanza sfruttata da chi vuole fare soldi facili. Un esempio è dato da Shiba Inu (SHB) una delle ultime nate nel mondo cripto con capitalizzazione pari a 16,4 miliardi di franchi che l’ha portata al 14° posto tra quelle più diffuse. A titolo di paragone Bitcoin, la regina delle cripto, ha una capitalizzazione di oltre 768 miliardi di franchi. Ebbene, Shiba Inu è un cosiddetto meme coin, ovvero uno scherzo dichiarato. Nonostante ciò ha rastrellato miliardi di dollari e milioni di adepti sinceramente convinti della sua bontà in tutto il mondo. La stessa cosa è successa a Dogecoin (DOGE), la criptovaluta preferita dal fondatore della Tesla Elon Musk con la quale si è divertito – con dichiarazioni avventate e impunite perché quotata su mercati non regolamentati – a spingerla sull’ottovolante.
«Gli investimenti in criptovalute, siano essi espressi in bitcoin o in una delle migliaia di altri strumenti digitali esistenti (la piattaforma coinbase.com ne conta più di 5mila, ndr), fanno parte della sostanza privata del contribuente e come tali dovranno essere dichiarati nella dichiarazione d’imposta al pari di altri elementi della sostanza mobiliare come i titoli o altri collocamenti di capitale», ci spiega il direttore della Divisione delle contribuzioni del Dipartimento delle finanze e dell’economia (Dfe) Giordano Macchi. È quindi patrimonio e come tale è soggetto all’imposta sulla sostanza se supera un determinato importo. «Come detto andrebbe indicati nel modulo 2 della dichiarazione d’imposta alla rubrica ‘Elenco dei titoli e di altri collocamenti di capitale’ o, in alternativa, nella rubrica ‘Numerario, biglietti di banca, oro e altri metalli preziosi del modulo 1». C’è però il problema del tasso di cambio, non essendo questi strumenti quotati in un mercato regolamentato. «Per il Bitcoin, al pari di altre valute estere, il tasso di cambio è consultabile sul listino dei corsi ufficiali dell’Amministrazione federale delle contribuzioni (www.ictax.admin.ch). Il simbolo è il BTC. Per le altre criptovalute – continua Giordano Macchi – fanno stato le conversioni espresse generalmente nelle principali valute (dollari Usa o Euro) al momento della fine del periodo fiscale o dell’assoggettamento, attraverso le quali si può poi calcolare il valore in franchi svizzeri». «Se gli istituti bancari – precisa il direttore delle Contribuzioni – non prevedono rubriche valutarie in criptovalute, e quindi si usano altre piattaforme o app, come pezza giustificativa il contribuente è tenuto a produrre un’autocertificazione. È sufficiente la stampa della videata della piattaforma internet dove il contribuente visualizza il suo avere in criptovalute».
Questo nel caso in cui il contribuente sia un lavoratore dipendente e i bitcoin fanno parte del suo risparmio personale. «In realtà questa situazione riguarda la maggioranza dei detentori di criptovalute che hanno investito poche migliaia di franchi in questi strumenti. Il discorso cambia per quanto riguarda le cripto appartenenti alla sostanza commerciale del contribuente, detenute a fronte del pagamento di vendite di merce o prestazioni di servizio», continua Macchi. Siamo nel campo dell’esercizio di un’impresa o di ogni altra attività lucrativa indipendente. «In questa ipotesi fanno stato i principi di valutazione e di prestazione regolare dei conti (articolo 957 e seguenti del Codice delle obbligazioni). La valutazione delle stesse avviene pertanto al valore contabile fiscale». «Non essendoci, come detto, però banche che prevedono rubriche in criptovalute, come pezza giustificativa il contribuente è tenuto a produrre un’autocertificazione. Anche in questo caso è sufficiente la stampa della videata della piattaforma web».
Per quanto riguarda l’imposta sul reddito, la compravendita di criptovalute è assimilabile a transazioni di valute tradizionali, appartenenti alla sostanza privata del contribuente. «Per le persone fisiche, gli utili e le perdite che ne derivano rappresentano quindi, di principio, degli utili in conto capitale (capital gain, ndr) non imponibili o delle perdite non deducibili. In pratica aumentano o diminuiscono la sostanza netta, ma non incidono sul reddito», conferma Macchi. C’è però un ma. «Come per i titoli tradizionali, anche le negoziazioni frequenti in criptovalute possono configurare il cosiddetto ‘quasi commercio di titoli’ e soggiace quindi all’imposta sul reddito. Come soggiacciono all’imposta sul reddito tutte le remunerazioni di qualsiasi tipo (redditi da lavoro, bonus, interessi o simili). Queste ‘entrate’ sono da considerare fiscalmente come redditi in valuta estera, da convertire in franchi svizzeri al cambio del giorno o al cambio medio». Se invece è un imprenditore, la valutazione di queste operazioni avviene al valore contabile fiscale. «In questo caso, eventuali utili in conto capitale sono imponibili, mentre le perdite sono fiscalmente deducibili».