Dopo le dimissioni del presidente e dell’Ad di Credit Suisse si è discusso del crescente ricorso delle banche svizzere a top manager stranieri
Dopo le dimissioni del presidente di Credit Suisse, António Horta-Osório, che erano state precedute, pochi mesi prima, da quelle dell’amministratore delegato, Tidjane Thiam, entrambi costretti a lasciare a causa di scandali, qualche mugugno si è levato, tra l’opinione pubblica, per il crescente ricorso delle banche svizzere a top manager stranieri. Thiam è franco-ivoriano e Horta-Osório portoghese. Come dire che si stava meglio ai tempi dei mitici “gnomi”, quando nella Bahnhofstrasse di Zurigo a reggere le fila della piazza finanziaria elvetica erano dirigenti rigorosamente rossocrociati. Il più delle volte con la divisa da ufficiale dell’esercito ben stirata, nell’armadio. Un’epoca ormai tramontata, insieme al segreto bancario. Tanto che capita di imbattersi in banchieri svizzeri le cui trasgressioni fanno sorridere quelle costate il posto a Thiam e a Horta-Osório. È il caso del 65enne grigionese Pierin Vincenz, per 10 anni amministratore delegato di Raiffeisen, che da domani verrà processato a Zurigo insieme a 6 coimputati per una raffica di reati uno più grave dell’altro.
Vincenz, il cui processo è stato paragonato a quello per il fallimento di Swissair, è accusato di frode commerciale, appropriazione indebita, falso e concorrenza sleale. Ha già scontato 3 mesi di detenzione preventiva e rischia una condanna fino a 6 anni. La sua vicenda giudiziaria è finita sui giornali di mezzo mondo dopo che è venuto alla luce l’utilizzo disinvolto che ha fatto della carta di credito della banca. Con la quale pagava le frequenti incursioni negli strip club, nei night, tra cui il Cecil di Paradiso, e nei ristoranti stellati, oltre alle vacanze in luoghi alla moda. Per non parlare delle frequentazioni di prostitute, con una delle quali, una ragazza moldava, ebbe una lite violentissima nella stanza di un grande hotel di Zurigo, provocando danni per 4’000 franchi. Eppure questo banchiere, che nei 10 anni in cui ha guidato Raiffeisen ne ha fatto il terzo istituto più importante della Svizzera, era considerato alla stregua di un guru della finanza. Piaceva il suo essere una voce fuori dal coro, la sua denuncia degli stipendi e dei bonus milionari dei top manager. Poi, quando la sua stella è tramontata in modo rovinoso e sono stati scoperti i suoi altarini, si è saputo che durante il suo mandato aveva incassato una quarantina di milioni. Il reato più grave che gli viene imputato riguarda un giochetto finanziario messo in piedi con un suo collaboratore, quello di acquistare partecipazioni in società che Vincenz sapeva sarebbero poi diventate proprietà di Raiffeisen. Fatto sta che la sua parabola ricorda quella di un altro banchiere strariverito, Konrad Hummler, alla guida di Wegelin, la più antica banca elvetica, che mandò a picco violando le leggi fiscali statunitensi. Guarda caso la Wegelin è poi entrata nell’orbita di Raiffeisen. La saga dei banchieri svizzeri che non hanno fatto onore al leggendario understatement degli “gnomi” non si può non chiudere con Marcel Ospel. Il numero uno di Ubs, che portò sull’orlo del crac, evitato solo grazie ai soldi dei contribuenti. Ma gli svizzeri, pure quelli del suo stesso status sociale, non gliel’hanno perdonato, tanto che per un bel po’ è stato trattato come un paria al circolo del golf.