Raccomandati? Baciati dal genio? Con la morte di Hugo Maradona, meteora di Napoli e Ascoli, ripercorriamo flop e successi: da Digão a Miky e Brian Laudrup
Diego Armando Maradona raccontava a tutti di avere un fratello più forte di lui. Ovviamente non era vero: Hugo arrivò a Napoli nel 1987, comprato per 300 mila dollari dall’Argentinos Junior e girato in prestito all’Ascoli l’anno successivo. Il giorno della presentazione, il presidente Costantino Rozzi disse trionfalmente: “Maradona è un giocatore di classe superiore, potenzialmente simile al fratello Diego”. Non andò come sperato: Hugo giocò appena 13 partite con zero gol, rispedito al mittente a fine stagione senza particolari rimpianti, anzi. In Italia si guadagnò l’etichetta un po’ ingenerosa di bidone, ma dopotutto con quel cognome è sempre stato o tutto o niente. Successivamente giocò in Spagna col Rayo Vallecano (una promozione in Liga) prima di iniziare un giro del mondo che lo portò a trovare il suo posto in Giappone, dove restò per sei anni. Il 28 dicembre è morto nella sua casa di Monte di Procida, vicino Napoli, dove aveva allenato alcune formazioni giovanili e amatoriali.
Nessuno più di lui ha rappresentato l’ideale “fratello di” nel mondo del calcio, ma non è stato certo l’unico caso. Sono così tanti i fratelli calciatori che viene da chiedersi se non ci sia qualcosa dietro (la genetica? La competizione? Chi lo sa). L’Hugo italiano è stato forse Eddy Baggio: somiglianza impressionante col fratello Roberto, ma non la stessa grazia verso il gioco del pallone. Eppure Eddy la sua onesta carriera tra Serie B e C se la fece con meriti (giocò anche con Max Vieri, fratello minore di Christian). La parentesi migliore fu ad Ascoli (sic) dove segnò 17 gol nelle prime 18 partite di campionato, tanto da attirare l’interesse dell’Arsenal e il soprannome di Baggino. Interrogato intorno a questa improvvisa esplosione, Eddy disse che a spronarlo era la voglia di mettere a tacere chi gli dava del raccomandato: «Molti miei colleghi mi guardavano con occhi strani. Sostenevano che ottenessi gli ingaggi perché mi chiamo Baggio. Mi sono detto che non c’era altro modo per smentirli che far parlare di me, senza riferimenti a Roby».
Del raccomandato l’ha preso anche – e spesso – il fratello più piccolo di Kakà, Digão. Forse convinti che almeno un po’ di talento in famiglia si fosse trasmesso per magia, il Milan se lo portò a casa l’anno dopo Ricardo, per farne il Kakà della difesa. Andò malissimo: Digão fece molta panchina e in una delle sole tre presenze con la maglia del Milan si distinse per due svarioni difensivi che costarono i due gol in una sconfitta per 2-1 col Catania in Coppa Italia. Destino simile, ma in qualche modo ribaltato, per Antonio Donnarumma. Arrivato al Milan come terzo portiere per placare i capricci del fratello. Gianluigi al momento del rinnovo (e con un contratto fuori scala) si mise in luce in un Derby di Coppa Italia dove parò tutto quello che c’era da parare. Partito per Parigi il fratello, Antonio si è rifugiato al Padova non più gradito ai tifosi per il cognome dietro la schiena. La carriera nel mondo del calcio l’ha provata, senza grande successo, anche Enock Barwuah, fratello di Mario Balotelli. Racconta che per i campi della provincia italiana gli capitava di beccarsi non solo gli insulti rivolti a lui, ma anche quelli per il fratello, mai troppo amato. Fratelli sfigati in tutti i sensi.
Non sempre però lo scarto di talento tra fratelli è così evidente e pacifico. A Milano hanno giocato anche i fratelli Baresi, Beppe e Franco. A dividerli fu in gioventù un provino con l’Inter, passato dal primo ma non dal secondo, poi andato a difendere i colori rossoneri. I due tra gli anni 80 e 90 si divisero la città – capitano dell’Inter uno, capitano del Milan l’altro – ma anche la Nazionale: Franco fece parte delle spedizioni Mondiali del 1982 (senza però mai giocare), 1990 e 1994, dove recuperò a tempo di record da un infortunio al menisco per giocare una finale splendida e perdente, mentre Giuseppe c’era nel 1986, nel momento in cui sembrava poter essere lui il più bravo della famiglia. Con Arrigo Sacchi però Franco è diventato una leggenda, uno dei difensori più forti e vincenti della storia, oscurando in qualche modo la carriera più che dignitosa di Giuseppe, sempre messo in secondo piano. L’invidia tra fratelli esiste? Baresi II vi direbbe di no. Chi ha un fratello capace di eccellere sa però qual è la vera risposta.
Altro caso di fratelli in cui è facile scegliere il più forte, ma facendo un torto all’altro sono i Laudrup. Michael fu uno dei giocatori più eleganti della storia del calcio, capace di vincere tutto con le maglie di Juventus, Barcellona e Real Madrid; il fratello Brian si dovette accontentare, si fa per dire, di un paio di stagioni al Bayern Monaco, una alla Fiorentina e di un passaggio sfortunato nel Milan degli invincibili di Fabio Capello (con cui vinse Campionato e Coppa dei Campioni, ma da comprimario). Brian ebbe il suo riscatto, sempre se vedete la rivalità tra fratelli come l’eterna lotta tra Caino e Abele, a Euro ’92. La Danimarca fu ripescata a 11 giorni dall’inizio del torneo, causa esclusione della Jugoslavia, e il Ct cercò di convincere i due fratelli, che si erano autoesclusi dalla Nazionale a causa di un doppio cambio mai digerito, a far parte della spedizione. Ci riuscì con Brian ma non con Michael, che non si fece convincere neanche dal tentativo finale del fratello. Risultato? Brian diventa uno degli eroi della vittoria danese, una delle più improbabili della storia del calcio, mentre Michael – si dice – se ne stava in vacanza a Riccione.
Fratelli che si ritrovano in Nazionale è un altro tema di questa storia. In alcuni casi, addirittura, gemelli. Ci sono Frank e Ronald de Boer, emanazione sul campo del calcio olandese di Van Gaal. In carriera divisero quasi tutte le maglie, dall’Ajax all’Olanda, dal Barcellona ai Glasgow Rangers. Recentemente Ronald se l’è presa con Frank per aver schierato la Nazionale con il 3-5-2: “Cruyff si rivolterebbe nella tomba” ha detto. Altri gemelli in grado di spingersi insieme fino alla Nazionale sono Philipp e David Degen. A metterli insieme si ottengono 13 campionati svizzeri (8 Philipp, 5 David), tutti col Basilea. Nel 2006 sono stati entrambi convocati da Jakob Kuhn per il Mondiale tedesco, dove la Svizzera ottenne il singolare record di essere eliminata agli ottavi senza subire gol nei 390 minuti giocati. In un’intervista condivisa prima di quella rassegna, Philipp ebbe modo di pronunciare la frase più da gemelli di tutte: “Ci capiamo a vicenda come un cieco può percepire cosa gli accade intorno pur senza vedere”. Eppure poi in campo Philipp ci andò sempre, mentre David… mai. Oggi David è il proprietario del Basilea, mentre il fratello è il direttore sportivo del club. Insieme hanno anche disegnato un orologio in edizione speciale per Hublot.
Ci sono però anche storie di fratelli divisi dalla Nazionale. È il caso di Jerome e Kevin-Prince Boateng, il primo pilastro e campione del Mondo con la Germania mentre il secondo ha scelto di vestire la maglia del Ghana (due madri diverse, due volte rivali al Mondiale). Ma anche di Thiago Alcantara e Rafinha Alcantara, figli di Mazinho: il primo ha scelto di giocare per la Spagna, il secondo per il Brasile. “È un padre, un fratello e un miglior amico”, così Rafinha racconta di Thiago, in un rapporto che sembra molto stretto. Lo stesso si può dire di Paul e Florentin Pogba, anche loro affiatatissimi, anche loro divisi dalla Nazionale (e dal talento). Se il primo non ha dovuto neanche pensarci, eletto ben presto a faro del centrocampo della Francia, il fratello Florentin, una carriera minore che oggi lo vede al Sochaux in Ligue 2, dopo un paio di presenze con la Francia U20 ha scelto di vestire la maglia della Guinea, Paese di origine della famiglia (dove ha 5 presenze anche Mathias Pogba, gemello di Florentin e terzo Pogba in ordine di talento).
Stessa sorte per Granit e Taulant Xhaka: dopo aver condiviso il percorso nelle Nazionali giovanili svizzere, Taulant, forse stanco di aspettare la chiamata della maggiore, scelse di difendere i colori dell’Albania, Paese di origine dei genitori. I due si ritrovarono da avversari nel girone dell’Europeo 2016, in un decisivo Albania-Svizzera finito 0-1. Sugli spalti la madre di Granit e Taulant indossava una t-shirt con una bandiera metà Albania e metà Svizzera, approfittando del condiviso sfondo rosso. Cuore di mamma: impossibile scegliere tra fratelli.
Del cosa significa dividere il palcoscenico con un fratello ne sa qualcosa anche l’attuale Ct di Granit Xhaka, Murat Yakin. Lui difensore, ha visto il fratello Hakan prendersi più spesso la gloria, grazie al suo ruolo offensivo e ai quasi 200 gol in carriera. La particolarità del loro rapporto di fratellanza è che – per un breve periodo – uno è stato l’allenatore dell’altro. È successo al Lucerna, dove Murat muoveva in primi passi in panchina, mentre Hakan si sparava le ultime cartucce da calciatore. Per un po’ sono stati anche colleghi: Murat allenatore dello Sciaffusa e Hakan vice.
Fratelli calciatori e poi fratelli allenatori: è stato questo il destino di Filippo e Simone Inzaghi. Ma se da calciatore Filippo è sempre stato il più forte, da allenatore Simone si è preso la rivincita. Oggi allena l’Inter prima in classifica in Serie A (mentre Filippo il Brescia secondo in B). Stessa strada tentata, senza grande successo, da Gary e Phil Neville. Fratelli, terzini (a destra uno, a sinistra l’altro), compagni al Manchester United e in Nazionale. Quando Gary lasciò lo United per l’Everton, per Phil divenne un nemico, almeno in campo (“non stringevo la mano nemmeno a mio fratello quando era capitano dell’Everton”).
A Manchester hanno addirittura visto altri due fratelli terzini (gemelli in questo caso): Rafael e Fabio. Brasiliani, riccioluti, piccolini, così identici da sembrare usciti da un cartone animato. Sempre restando in Inghilterra rimangono indimenticati i fratelli Touré, Yaya e Kolo, così vicini nella loro fratellanza da aver diviso anche un orecchiabile coro da stadio, la “Kolo Yaya Toure song”, che trovate anche su Spotify. Fratelli nel calcio inglese si trovano anche tra i pionieri del football: John e Archie Goodall compagni al Derby County negli ultimi anni dell’800. Altri fratelli? Bobby e Jack Charlton, gli unici due fratelli ad alzare una Coppa del Mondo insieme, nel 1966.
Le coppie di fratelli sono sparse per il mondo del calcio a tutti i livelli anche oggi: Lucas e Theo Hernandez, Eden e Thorgan Hazard (classico esempio di fratello minore che ha provato a emulare il maggiore rimanendo sempre un passo indietro), Romelu e Jordan Lukaku. Ci sono poi fratelli così dimenticabili da essere stati rimossi dai più: ricordate il fratello calciatore di Javier Zanetti? In Italia si è visto a Cremona e Verbania, in Svizzera a Bellinzona e Locarno. C’è anche Felix Kroos, picco della carriera una promozione con l’Union Berlin, che quando parla del fratello Toni pare camminare sulle nuvole. Cosa accomuna Higuain, Khedira, Riquelme, Socrates, Aubameyang e Luis Suarez? Hanno avuto tutti almeno un fratello calciatore, chi più, chi meno forte. Poi ci sono esempi di fratelli e sorelle: Radja Nainggolan e la sorella Riana e soprattutto Manolo e Melania Gabbiadini, una delle attaccanti italiane più forti di sempre.
Il sangue, si dice, è più denso dell’acqua. Fratelli nella vita, compagni o avversari in mezzo al campo. Il nome dietro la schiena alcune volte aiuta, altre volte è una maledizione. Una volta Raul, terzo fratello della famiglia Maradona e quindi per forza calciatore (tutti e tre insieme hanno giocato una storica amichevole con la maglia del Granada) ebbe modo di dire: “La gente voleva vedere Diego, non Lalo o Hugo”, una frase che può riassumere bene le storie di tutti questi fratelli con meno talento. Ma Diego era anche quello che nei giorni liberi andava ad Ascoli per chiedere all’allenatore Castagner come se la stava cavando il fratello. Fratelli ingombranti, insomma, ma pur sempre fratelli.