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Sei cartoline di Natale, dalle Ande ai confini del mondo

Dall’innevata Montréal alla bellezza disarmante delle isole Fiji. Dalle baraccopoli colombiane alle spiagge dell’Australia. Sei ticinesi si raccontano

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Dall’innevata Montréal alla bellezza disarmante delle isole Fiji. Dalle baraccopoli colombiane alle spiagge dell’Australia. Sei ticinesi si raccontano

24 dicembre 2021
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Natale su una spiaggia tropicale, Natale in una baraccopoli tra i ragazzi di strada, Natale in famiglia, in corsia, in quarantena, Natale... C’è chi voleva partire, ma ha disdetto all’ultimo, perché francamente Omicron complica tutto e toglie pure la voglia di provarci. C’è chi voleva rientrare a casa in Ticino e per lo stesso motivo ha rinunciato. C’è chi si accontenterebbe di un divano lontano da vetrine scintillanti e corse frenetiche all’ultimo regalo, fiaccato da quel mostrarsi tutti buoni e felici, anche se dentro ribolle ben altro. C’è chi sa trovare il suo centro, si ferma, respira e gode ogni attimo, ogni magia, ogni sorriso sulla giostra della vita.

Per tutti, sarà ancora un Natale in regime di pandemia, tra limitazioni, abbracci soffocati e desideri rimandati. Un’occasione per apprezzare quello che si ha sotto gli occhi. Un’occasione per tornare a sognare come sanno fare i bambini. Un’occasione per aprire altre finestre sul mondo. È quello che facciamo con le storie di sei ticinesi che vivono sparsi ai quattro angoli del globo. Ci raccontano il loro Natale. Ci fanno viaggiare nei loro universi aprendoci nuove e salutari prospettive. Da Santiago di Cali in Colombia, la drammaterapista Alicia ci racconta la vita nel suo ‘quartieraccio’ dove sopravvive chi impara a resistere, dove festeggiare il Natale significa celebrare la vita. Sulle montagne andine della Bolivia, troviamo Marilena, le sue lunghe giornate le spende coi ragazzi di strada, il suo obiettivo è strapparli da una vita di miseria e dare loro un futuro. Anche qui il Natale è gioia in una vita di ombre, tra una ritualità intima verso la ‘Pachamama’ e una bibbia sul comodino. Stesso continente, più a nord incontriamo l’artista di videogiochi Francesco, in una Montréal avvolta nella neve, dove nei quartieri si fa a gara per addobbare le case. Diana ci porta in Kenya tra colori sgargianti, traffico caotico e cenoni speziati. Sempre più ad ovest, raggiungiamo Stefano a Melbourne, in un’Australia che si sta risvegliando dall’incubo di un confinamento draconiano durato due anni. Sole, cricket e barbecue sono gli ingredienti della vigilia. Infine visitiamo il paradiso dei coralli alle Fiji, la nuova patria di Alessandro, che abbraccia il primo sole del mondo e ha saputo farsi voler bene dagli anziani del villaggio. Ma attenzione... anche il paradiso può avere il suo lato oscuro!

Alicia da Santiago di Cali

Festeggiare la vita è un atto di resilienza

Regista di teatro, drammaterapista, la luganese Alicia Tellez vive dal 2016 nel distretto di Aguablanca, nella città di Santiago di Cali in Colombia, qui le sue doti artistiche aiutano a salvare vite. «Era una baraccopoli, ora è un quartieraccio pericoloso, senza piazze, senza giardini, senza biblioteca pubblica: qui pochi ragazzi arrivano ai 25 anni. Molti muoiono prima, per una pallottola, per droghe da due soldi tagliate male, per lotte tra bande, basta trovarsi nel vicolo sbagliato per finire sottoterra», spiega la cooperante di Comundo, che aiuta l’associazione locale Forculvida.

Si fa teatro in spazi non convenzionali come le piazze. «L’obiettivo è toglierli dalla strada, farli sopravvivere. Qui non esistono foyer come in Ticino».

Il Natale è uno spicchio di gioia per una popolazione costantemente sotto shock. «Nei quartieri popolari tutti abbelliscono le case, noi facciamo spettacoli, ci si ritrova, si dimostra resilienza festeggiando la vita». Alicia si lascia alle spalle un anno complicato.

«La pandemia ha fatto salire i prezzi, la vita è più cara. Ancora peggio del Covid, è stata la rivolta nazionale del 28 aprile, hanno distrutto trasporti pubblici e fermate dei bus». Guarda al 2022 con un desiderio per i suoi ragazzi: «Avere un lavoro dignitoso, senza abusi e con straordinari pagati. Qui la vita è dura, se un giovane vince una borsa di studio, non può usarla perché la famiglia non riesce a pagare i trasporti». Ha dovuto congedarsi da un team teatrale di ragazzi omosessuali, ora lavora con anziani vittime di conflitti armati. «Fonderò un altro gruppo di giovani artisti», dice sorridendo. La Colombia le ha insegnato a non arrendersi.

Stefano da Melbourne

Infradito, cricket e una libertà ritrovata

Babbo Natale a Melbourne si presenta in surf, con pantaloncini corti e infradito. «L’atmosfera è diversa dal Ticino, ma c’è lo spirito del Natale. Si festeggia all’aperto, il programma è barbecue e l’immancabile cricket, le cui regole non mi sono ancora del tutto chiare», racconta il dottor Stefano Giulieri, originario di Cugnasco. Esperto in malattie infettive, laurea in medicina a Basilea, specializzazioni in Svizzera e all’estero, ora il medico vive in Australia dove lavora da 3 anni come ricercatore al ‘Peter Doherty Institute for Infection and Immunity’. È un centro di ricerca in microbiologia e genomica batterica, punto di riferimento per le autorità durante la pandemia. Alle spalle un periodo complicato. «L’Australia è una grande isola e questo permette alle autorità di controllare i confini con facilità ed efficacia. Da quasi due anni è vietata l’entrata ai turisti e per lungo tempo chi voleva uscire doveva chiedere un permesso. Per motivi familiari ho potuto visitare in estate la mia famiglia, temevo non mi facessero rientrare. Si deve fare la quarantena anche per spostarsi da uno Stato all’altro; è come andare dal Ticino ai Grigioni. Qui ci sono ancora famiglie divise», precisa. Una mentalità d’isola difficile da metabolizzare per gli europei: «Infatti molti se ne sono andati perché il confinamento lontano da famiglia e amici in Europa è stato duro». Ora chi ha la cittadinanza può muoversi più liberamente. Per il prossimo anno, due desideri nel cassetto. «Spero si trovi una via di mezzo tra libertà completa e restrizioni eccessive. Avendo rimandato il matrimonio due volte, mi auguro che le frontiere rimangano aperte, per far arrivare gli invitati».

Diana da Mombasa

In terra africana si cucina insieme

È il secondo Natale che trascorre in terra africana, a Mtwapa, una cittadina a 20 km da Mombasa. «Inizia la stagione secca, fuori ci sono quasi 30 gradi, fa strano festeggiare il Natale. Qui è sinonimo di grandi pasti in famiglia. Si vedono pochi addobbi, non c’è l’usanza di fare regali. Cenerò con amici e dopo faremo giochi di società”, racconta la luganese Diana Ombelli.

La cooperante di Comundo contribuisce a migliorare le competenze digitali dello staff accademico e degli studenti del ‘North Coast Medical Training’. Si tratta di medici, infermieri, agenti per la salute della comunità, che operano nelle zone più rurali. «Il mio compito è quello di fornire, in collaborazione con il team di e-learning, strumenti per un insegnamento di qualità. Le competenze digitali dei giovani sono carenti: metà è totalmente a digiuno, gli altri hanno qualche nozione di base. Sanno usare i social, ma solo in modo passivo».

Si lascia alle spalle un anno intenso, tante energie sono andate in piccole grandi sfide, come avere una mobilità sicura. «Non ho l’auto, mi affido ai mezzi pubblici, ma non puoi improvvisare nemmeno quando vai a fare la spesa. E comunque devi sempre essere pronta a cambiare i piani, in funzione dell’evolversi della situazione», racconta.

Nell’anno che verrà, ci sono nuovi ambiziosi traguardi: un ulteriore incremento del numero di studenti al College, nuovi contenuti da inserire nella piattaforma di insegnamento e la digitalizzazione dei processi gestionali. Ma anche più tempo da dedicare al suo hobby: la sartoria. «Sono ispirata dai coloratissimi tessuti africani e non vedo l’ora di fabbricare nuovi capi d’abbigliamento comodi, pratici e anche belli da vedere». Quello che l’ha sorpresa in Africa è come la tecnologia possa accomunare chi viene da mondi molto diversi e aiuti a progredire insieme.

Fancesco da Montréal

Babbi Natale giganti non frenano Omicron

Babbi Natale giganti, luminarie à gogo, slitte trainate dai cani e ciaspolate, in una Montréal avvolta dalla neve, l’atmosfera natalizia riscalda gli animi anche quando la temperatura scende di parecchio sotto lo zero. «Nei quartieri si fa a gara per addobbare le case, si spende parecchio, è bello da vedere quando passeggi, ma personalmente preferisco decorazioni più sobrie», ci racconta Francesco Lorenzetti, che vive da 8 anni in Canada.

Omicron è un grattacapo anche lì e gli sta scompigliando i programmi natalizi. «Dovevamo festeggiare con parenti, anche anziani, della mia ragazza ma è stato tutto annullato per precauzione. Staremo a casa per una chinoise, ma quella vera». La sua compagna infatti viene dal Paese del Sol levante e sa come farla.

Attinente di Maggia, Lorenzetti è approdato prima in Inghilterra poi a Montréal seguendo una passione che è diventata il suo lavoro. Lui è un artista dei videogiochi. «Mi danno una trama, un testo e disegno gli ambienti bidimensionali. C’è tanto lavoro, arrivano molte offerte, il Covid ha incrementato gli incassi dell’industria dei videogiochi».

Da marzo 2020 è in home office, un modo di lavorare che potrebbe diventare la nuova normalità. «Ci sono ditte cinesi pronte ad assumerti con contratti anche indeterminati e farti lavorare da casa. Prima del Covid era impensabile”. Guarda al 2022 con positività. «Auguro buona fortuna a tutti, per un periodo senza Covid, con più solidarietà e una vita più normale».

Marilena da Cochabamba

Prima la Pachamama poi la messa in Chiesa

La messa di mezzanotte, la festa, le bevande ghiacciate, in Bolivia si festeggia il Natale in estate. Marilena Bubba, di Taverne, vive da 3 anni a Cochabamba, una città andina a 2’500 metri. «I boliviani celebrano la generosità della Madre Terra, la Pachamama, e poi vanno a messa». La vita spirituale esteriore, conforme alla Bibbia, convive con un credo più intimo, fatto di rituali tradizionali animisti. «Festeggerò con amici italiani», dice la cooperante di Comundo, che si dedica ai ragazzi di strada della città, collaborando con l’organizzazione locale Estrellas en la Calle. «Molti adolescenti scappano da famiglie povere e violente, scegliendo la vita di strada: di notte dormono nei canali dei fiumi secchi o in ripari di fortuna, di giorno puliscono i vetri delle auto, chiedono l’elemosina, rubano o finiscono nel giro del microtraffico di droga, spacciando. Il nostro lavoro è migliorare le loro condizioni, fargli capire che hanno altre possibilità, trovare una sistemazione e inserirli socialmente», ci spiega.

Vivere quotidianamente sotto stress è faticoso, tra polizia e scontri tra bande rivali. Ogni giorno, l’educatrice sociale si reca al luogo di pernottamento dei ragazzi. «Per togliere la pressione, li portiamo al campo da calcio o nel bosco dove si gioca, si discute, si fa prevenzione su abusi, malattie e altro». «La Bolivia, continua la ticinese, mi insegna ad essere forte, tenace, a non mollare al primo ostacolo». «Esercito la pazienza, ogni giorno vedo problemi, so che troveremo una soluzione». Il 2022 sarà l’anno dei cambiamenti. «Mi lascio alle spalle tre anni intensi in Bolivia, sono contenta di tornare in Ticino, sono partita sola, rientro con due cani. E il resto si vedrà...».

Alessandro dalle isole Fiji

In un paradiso d’acqua ai confini del mondo

«Qui alle Fiji è un vero paradiso, si abbraccia il primo sole al mondo». Le sue giornate, Alessandro Rossi le trascorre tra boccaglio e fiocina per la pesca in apnea, coralli e la tavola da surf. Da cinque anni, vive con la famiglia nella baia di Savusavu. Sua moglie Avi è figlia di questa isola. I figli Ethan e Axel sono iscritti a una scuola internazionale a distanza. «È da due anni che la scuola locale è chiusa, ora hanno una maestra austriaca e stiamo recuperando il tempo perso». Gestiscono il resort ‘Tropical Splendor’, un cottage, due capanne tipiche fijiane, laghetti con le ninfee e una piscina a 60 metri dal mare, ma ora è chiuso. «A inizio dicembre hanno riaperto i confini, solo i resort certificati anti-Covid possono accogliere turisti e sono già pieni, speriamo non parta qualche focolaio. Qui se non sei vaccinato, non lavori. Per ora posso permettermi di tenere chiuso», racconta. La pressione è martellante. «Alla radio passano sempre il solito mantra ‘Se non ti vaccini muori’».

L’esperto liutaio di Brione sopra Minusio ama la sua nuova terra pur avendo sofferto del lungo periodo di chiusura. «Il nostro regalo di Natale è l’arrivo di mia madre. Siamo tutti davvero molto felici». Le isole sono in gran parte cristiane, si festeggia la sera del 24. «È tradizione fare il Lovo con pesce o maiale, è un modo di cucinare per le occasioni speciali, si cuoce il cibo in un forno a terra grazie al calore delle pietre».

Il ticinese sta trovando il suo posto nella comunità. La sua anima ecologica è apprezzata soprattutto dai capivillaggio: «Propago i coralli, per farli riprodurre più velocemente e rendere la barriera corallina più resistente ai cambiamenti climatici. Vorrei coinvolgere più giovani. Penso che se fai del bene sei benvenuto ovunque», conclude Alessandro.