Consiglio federale in bambola, sostenitori latitanti: campo libero per i fautori del ‘no’. Ma le loro tesi non reggono. E di alternative non se ne vedono
Bisogna «guardare la realtà in faccia», ha detto il cancelliere austriaco Alexander Schallenberg. Il suo governo lo ha fatto. Ha decretato un lockdown generale: da lunedì 20 giorni di confinamento per tutti, poi solo per i non vaccinati. E dal 1o febbraio 2022 vaccino obbligatorio.
In Svizzera a numeri siamo messi meglio. Ma la quota di adulti vaccinati è la stessa dell’Austria (65% circa). E se mai dovesse crescere ancora (come inesorabilmente fanno da settimane contagi e ricoveri), la sostanza non cambierebbe granché. “Anche quando l’80% circa della popolazione adulta sarà già vaccinata, oltre un milione di persone potranno continuare a essere contagiate, col rischio di una grave malattia. Un sovraccarico del sistema sanitario è perciò assolutamente realistico. Non siamo ancora fuori dalla zona di pericolo”, ha dichiarato alla ‘Nzz’ l’epidemiologo Christian Althaus.
Guardare la realtà in faccia? «Speriamo di poter controllare l’evoluzione della situazione con le misure attuali», si è limitato a dire il ministro della sanità Alain Berset. Troppo poco. Anche perché ci troviamo nel pieno di una rognosa campagna sulla legge Covid. Un Consiglio federale imbambolato, titubante, forse timoroso di urtare la suscettibilità degli indecisi; sostenitori con pochi soldi e ancora meno voglia di esporsi: il risultato è che i fautori del ‘no’ hanno campo libero. E senza solidi argini retorici a contenere gli eccessi dei più sfegatati, quelli che confondono la libertà con l’egoismo, assistiamo a una subdola deriva, che assume persino tratti negazionisti. «La pandemia non è mai esistita», ci è toccato sentire a una recente manifestazione di no-vax a Berna.
Chi non nega l’evidenza (le oltre 11mila persone decedute per Covid-19 in Svizzera; l’efficacia dei vaccini), e parliamo di buona parte dei contrari alla legge Covid, qualche argomento a sostegno del ‘no’ lo porta. Ma la fondatezza delle loro tesi è vicina allo zero. Il Consiglio federale non potrà “decidere arbitrariamente” su restrizioni e allentamenti: non gli vengono attribuite competenze che già non ha sulla base della legge sulle epidemie. La “sorveglianza digitale di massa”, esercitata attraverso l’estensione del tracciamento dei contatti o il controllo del ‘pass’ sanitario? Non è altro che uno spauracchio: i dati restano protetti, più al sicuro di quando – ogni giorno, incuranti dei pericoli – lasciamo le nostre tracce su internet o sui social network.
E poi c’è l’odiato certificato Covid, assurto a simbolo di una gestione bollata come “discriminatoria” della pandemia. A chi piace, francamente? Però permette di andare allo stadio o di bere qualcosa al bar con una certa tranquillità. Il ‘pass’, misura temporanea, più blanda di altre restrizioni e chiusure, è il minore dei mali. Chi lo denigra (come l’Udc) dovrebbe almeno indicare un’alternativa sensata e concreta, non limitarsi alla generica richiesta di una “strategia chiara di uscita dalla pandemia” o a chiedere un aumento delle capacità ospedaliere, peraltro impossibile da realizzare a breve termine.
L’inverno sarà rigido anche in Svizzera, sul piano epidemiologico. Non arriveremo a copiare dall’Austria il lockdown duro e l’obbligo vaccinale. Ma nuove restrizioni e chiusure sono verosimili. Il Consiglio federale le potrà decretare sulla base della legge sulle epidemie, anche senza le modifiche alla legge Covid in votazione il 28. E in caso di ‘no’, il pass non scomparirebbe subito. Ma la situazione è già di per sé difficile, le prospettive tutt’altro che rassicuranti. Chi ce lo fa fare di complicarci la vita, affossando una legge che un minimo la semplifica?