Ad andarsene sono i giovani, quelli che fonderanno altrove start-up. È tempo d’investire per tenerli in Ticino
‘Mio figlio è informatico e lavora a Berna perché in Ticino i salari sono da fame. Mio marito ingegnere meccanico laureato al Poli di Zurigo è stato licenziato da una ditta a Lugano perché troppo caro’. Tutta la famiglia farà le valigie, il ticinese ha trovato un posto ben retribuito sulla Limmat. Sono di questo tenore le testimonianze arrivate al giornale negli scorsi mesi. Le storie si assomigliano: giovani laureati in fuga dal Cantone (se ne vanno in 800 all’anno) perché in Ticino i salari, per i profili più elevati, stanno drammaticamente scendendo. Il bubbone sta esplodendo. I posti ci sono, ci raccontano i nostri lettori, ma quando si arriva al dunque le proposte di salario non superano i 3’500 franchi. A poco meno di due ore di treno, a Zurigo si trova un impiego equivalente pagato sui 9 mila franchi al mese. Una differenza enorme! Da sempre i salari mediani svizzeri sono più elevati rispetto al Ticino, ma siamo abituati a mille franchi di differenza. Qui stiamo parlando di manager e professionisti laureati pagati una miseria. Casi isolati oppure si sta scavando un vero e proprio abisso salariale tra Ticino e Svizzera? Dagli esperti cantonali di statistica abbiamo trovato qualche risposta. Prendiamo Ticino e Zurigo: nella fascia dei salari più elevati si riscontrano differenze di salario macroscopiche, fino a 4mila franchi. Maurizio Bigotta dell’Ustat spiega che il 25% dei salariati meglio pagati di Zurigo percepisce uno stipendio al di sopra di una soglia che è del 40% più elevata rispetto a quella ticinese. Anche se stiamo paragonando i primi (Zurigo) e gli ultimi (Ticino) della classe, la statistica ci conferma che il divario esiste ed è talmente grande da non essere giustificato dai diversi costi della vita. Questo non ci spiega però le ‘paghe da manovale’ offerte in Ticino a manager laureati.
Non c’è da meravigliarsi che molti ticinesi laureati a Zurigo preferiscano restare sulla Limmat, dove per altro, oltre ad avere salari più che dignitosi, hanno anche più chance di fare carriera. E così anno dopo anno, 800 giovani cervelli ‘emigrano’ verso i centri urbani nazionali, lasciando alle spalle un Ticino sempre più inaridito. Se questa tendenza non si invertirà, il grosso rischio è perdere in dinamismo, in innovazione, in vivacità economica, sociale, culturale. Ad andarsene sono i giovani, quelli che fonderanno altrove start-up. Davvero un gran peccato! Sarebbe il momento d’investire, ma in Ticino si parla solo di freno alla spesa pubblica mentre i bisogni sociali crescono. Accanto a l’emorragia di ‘cervelli, crescono realtà economiche (non solo di export) che sfruttano la manodopera a basso costo, come dimostra la struttura del mercato del lavoro in Ticino, dove il 30% degli occupati sono frontalieri. Rispetto alle altre regioni di frontiera elvetiche, in Ticino il divario salariale tra svizzeri e frontalieri è anomalo, è molto elevato e sta trascinando verso il basso tutti i salari. Dal panettiere di Bellinzona all’imprenditore di Lugano, ciascuno sembra ragionare solo seguendo il tornaconto personale, sostituendo quando può dipendenti residenti, formati qui, con frontalieri pagati meno (che inoltre spendono altrove in un momento di crisi la loro paga) impoverendo di fatto il contesto in cui opera. Così si rischia di tagliare il ramo dove si è seduti. Almeno negli appalti pubblici, sarebbe opportuno premiare quelle ditte che privilegiano la manodopera locale e arricchiscono il contesto dove vivono dimostrando lungimiranza.