l’intervista

Chi è Francesco Sottobosco? Lo chiediamo a lui

Intervista all’ineffabile protagonista della satira ticinese (o di quel che ne resta). ‘È un bisogno simile a quello di urlare addosso al telegiornale’

(Netflix)
6 ottobre 2021
|

I ticinesi che frequentano i social e si interessano di politica lo conoscono quasi tutti, gli altri un po’ meno. Francesco Sottobosco prende il nome da Frank Underwood, il feroce politico americano interpretato da Kevin Spacey nella serie tv ‘House of Cards’. Sulla sua pagina si descrive come “sputasentenze presso Facebook, Gran maestro presso Loggia Massonica Foca e Liberazione, politico quantistico presso Palazzo delle Orsoline”. Dal 2015 Sottobosco fa una cosa che in questo cantone si vede sempre meno: la satira. E la fa proprio sui social. Se ad esempio Berna introduce il buono da 50 franchi per chi fa vaccinare un amico, sulla sua bacheca commenta: “E per chi porta tutta la famiglia un set di pentole in acciaio inox e una mountain bike con cambio Shimano”. Sul calo demografico annuncia: “Per evitare lo spopolamento del cantone senza salari e opportunità, d’ora in avanti si potrà lasciare il Ticino solo se si è trovato un subentrante”. Dopo il sì al matrimonio per tutti finge di telefonare ai liberali: “Plr, adesso che hai dato una mano a permettere alle coppie omosessuali di sposarsi, ci sarebbe da metterle nelle condizioni economiche per farlo, anche in Ticino. Plr...? Plr…? Ha riattaccato”.

C’è chi lo ritiene un genio e chi lo liquida come ‘fake’ (confondendo un profilo pseudonimo con quelli di chi clona l’identità altrui). I politici e i giornalisti lo seguono, alcuni lo temono, molti pagherebbero per sapere chi è. Si è lasciato intervistare su Facebook: fa un po’ Hal 9000 e un po’ Wargames, ma pazienza.

Cominciamo dalle basi: sei un uomo, una donna o un’intelligenza artificiale?

Questa è facile. La prima che hai detto. Ma la migliore che ho sentito è che sarei un collettivo.

C’è chi giura che sei un politico oppure un colletto bianco dell’amministrazione pubblica. Altri pensano a un giornalista della Rsi o perfino della Regione.

No e no. Non sono politico, non sono giornalista, non sono ben inserito in certi ambienti e nemmeno uno che sa cose che altri non sanno. Sono uno che legge quello che i giornalisti scrivono e ascolta quello che i politici dicono.

Per quello hai deciso di inventarti il profilo satirico? Dovevi sfogarti?

Credo sia un bisogno simile a quello di urlare addosso al telegiornale. Tu che sei del mestiere, non noti una discrepanza tra le cose che succedono qui e le reazioni a questi accadimenti? Ne succede una al mese, eppure non cambia mai nulla.

Vabbé, però dietro non c’è solo l’incazzatura: hai anche studiato comunicazione. Per diventare influencer?

Ho fatto scienze delle merendine all’Usi. Potessi tornare indietro però sceglierei un’università laica. Quella di influencer non è una professione (con buona pace della Città dei mestieri). Al massimo sono uno che fa ridere, e nemmeno tutti.

Mi pare di capire che coi social non ci campi.

Coi social non ci campano nemmeno i portalini. Figurarsi io.

Ti viene rimproverato di non ‘metterci la faccia’. È un problema?

No. Arrivo da quando internet non era ancora un fenomeno così di massa. Avere uno pseudonimo era la cosa più normale del mondo. Nessuno scriveva con il suo nome e cognome. Semplicemente si usava così. E poi sono bello, ma proprio “bello bello bello in modo assurdo”, e se vedono che sei troppo bello nessuno ti prende sul serio per quello che dici (la citazione è dal film ‘Zoolander’, ndr).

Modesto. Quante ore dedichi al tuo profilo?

Sono anche stato azzurro di sci. Ore, troppe. Per fortuna ho una stanza piena di frontalieri pagati una cialata che mi danno una mano. Ma è comunque troppo: l’ideale sarebbe un contratto collettivo dove loro pagano me per poter lavorare, devo contattare TiSin.

Da internet prendi anche lo ‘stile’. Se dovessi spiegarlo a tua nonna, come faresti?

Con una tavola Ouija, di quelle che si usano nelle sedute spiritiche.

Oddio, condoglianze. Riproviamo: come descriveresti il tuo stile?

Volutamente volgare, per nascondere il fatto che non so scrivere. C’è qualcun altro che lo usa come sistema per fingere familiarità e vicinanza col popolo. Ci fa un milione a legislatura, evidentemente è più bravo di me.

I tuoi post sono pieni di riferimenti pop.

Le associazioni con la cultura nazionalpopolare, prima ancora di lanciare un messaggio, fanno ridere. Certe volte è bello anche solo far ridere, senza voler essere quello che spiega agli altri come pensare dall’alto di niente.

Spesso rimandi all’immaginario degli anni Ottanta e Novanta. Domanda da intellettuale: quali sono i tuoi riferimenti culturali?

Enzo Biagi, Daniele Luttazzi e il pupazzo Uan di Bim Bum Bam. Ma quanto a Uan, mi dissocio dalle sue idee politiche.

Ma allora sei un badino?

Peggio. Ho la doppia cittadinanza. Sono un traditore della patria a giorni alterni. Di solito i martedì e i giovedì.

Veniamo alla politica. Qual è la tua ‘ispirazione’?

Sarei radicale, se i radicali esistessero ancora. D’altronde non è colpa mia se adesso le cose che portavano avanti i liberali anni fa vengono etichettate come ‘di estrema sinistra’.

Una tua fissazione sono i ‘trent’anni perduti’, che fai iniziare idealmente dalla pubblicazione del ‘Libro Bianco’ e da Marina Masoni. Ma davvero è tutta colpa del neoliberismo?

Sì. Altre domande?

Dai…

Assolutismi a parte, devi ammettere che è stato un bel cambio di paradigma, che ci portiamo addosso ancora oggi. Mi stupisce sempre questo buio sul ventennio 1990-2010. Da lì arriva quel che vediamo ancora adesso. Eppure non c’è voglia di andare a guardare, di approfondire. Salvo per recenti amarcord Rsi sulla Lega con il ‘figlio di’ (Boris Bignasca, ndr). Apologie stile Mediaset. Te la ricordi Ambra Angiolini a ‘Non è la rai’: “Il padreterno sta con Berlusconi il diavolo con Occhetto”? Stessa cosa: propaganda spacciata per intrattenimento.

Immagina una serie tv su quegli anni.

Intanto, il cast: per il Nano Bignasca prendiamo Teco Celio, fisso. Per Giorgio Giudici, Flavio Sala. Per Marina Masoni, direi Barbara Buracchio. Sergio Morisoli invece può farlo solo Morisoli, secondo me gli viene anche bene. I temi non mancherebbero: la Thermoselect, la nascita della Lega, l’ascesa della Masoni, gli scandali, tutto… Lo so, lo so: sono monotematico.

Un’altra fissa: i media. Li attacchi di continuo, perché?

Perché li vedo spesso fare marketing e avere un’agenda politica invece di informare, ovviamente con i dovuti distinguo. Per questo trovo che sia fondamentale il metagiornalismo: informare è anche dire “guardate che quell’articolo contiene cose non vere”. Ma chi lo fa? Succede una cosa e nella maggior parte dei media una persona può leggere solo la versione ufficiale. L’oste ha detto che il vino è buono, andate in pace.

C’è anche chi approfondisce.

Chi vuole approfondire, chi fa la seconda domanda, chi dal politico vuole risposte viene visto come un maleducato se non proprio schierato. Qui i politici sono abituati troppo bene. Poi ci sono le connivenze. Biagi diceva: “Dalla politica bisogna farsi dare del lei”. Qui abbiamo i giornalisti che fanno le agiografie.

Il risultato è quello che definisci il ‘Photoshop’ del cantone, una versione abbellita artificialmente della realtà?

Sì, lo sai anche tu come funziona: l’isola felice, il Ticino del miracolo economico, stiamo tutti bene… Tipiche tattiche funzionali all’agenda conservatrice: se hai un paradiso devi proteggerlo da tutto quello che è esterno, unico portatore di problemi. Il quadro si aggrava quando questa visione, da ipotesi di una parte politica, diventa fenomeno di costume accettato da tutti.

Ultimamente però quell’acquerello è stato macchiato da una serie di scandali. Non pensi che avranno delle conseguenze?

Dici? Io vedo sempre più arroganza, mi paiono sicuri di farla sempre franca. Vige il mantra del ‘mandato degli elettori’, come se un’elezione fosse un’investitura divina che permette di stare al di sopra delle leggi. E non si vede una vera risposta politica e delle istituzioni a questo continuo spostare il paletto di cosa si può e non si può fare.

Tipo?

Tipo andare in televisione a dire che le leggi le interpreti come ti pare “per precisa scelta politica”. Tipo inventarsi un sindacato fasullo per fottere la legge sul salario minimo. Tipo buttare giù in piena notte un edificio non bonificato dall’amianto. Tipo Argo1, Gucci… vado avanti?

No, sennò poi passi per qualunquista.

Sembrano lamenti qualunquisti, ma uno si chiede davvero come siano i processi di selezione della classe dirigente. Guarda anche cos’è successo durante la pandemia. Siamo partiti con “Berna non ci prende sul serio” – e in quel momento mi son sentito ben rappresentato da un governo che pensava alla salute di tutti –, e siamo arrivati ad avere i No Vax in governo e Gran Consiglio.

Secondo te come funziona, la selezione della classe dirigente? (Proviamo a evitare una denuncia, se non ti spiace.)

Ci sono le commissioni cerca che fanno liste per non disturbare il manovratore. Poi si passa per le esposizioni mediatiche studiate a tavolino. Mi pare valga di più la fedeltà alla linea che le capacità. Alla fine li vedi in tivù e ti ritrovi a pensare “ma quello come ha fatto ad arrivare fin lì?”

Ti sei speso per il ‘sì’ al matrimonio per tutti. E hai festeggiato con un cubitale ‘sperma’. Spiegacelo.

È nato dal numero di volte in cui Marco Romano ha pronunciato la parola nel corso dei dibattiti, sempre con una smorfia disgustata. Mi sembrava una semplice lotta per un diritto civile e invece si è finiti a parlare di tutt’altro. Alla fine però ha vinto lo sperma.

Il progressismo invece perde sempre sul fronte del lavoro e dei diritti sociali.

Sui diritti sociali si alzano ben altre barricate, le forze in campo cambiano completamente e partono quei tormentoni all’americana che spacciano subito ogni riforma per un’espressione di invidia sociale. Pensa alla demonizzazione della parola ‘tasse’, che ormai fa presa su qualsiasi ceto. Quando invece una riforma è gratis – come nel caso del matrimonio per tutti – sul carrozzone progressista salgono volentieri in molti.

Domani si sceglie il vicesindaco di Lugano. Fai il tuo endorsement.

Karin Valenzano Rossi. Lo dico da bellinzonese.

Cattivo.

Prima però bonificherei il municipio per vedere se c’è amianto.

Perché te la prendi sempre col Sottoceneri?

Perché il Sopraceneri è un paradiso che va protetto dagli sbroja invasori, che non si sanno integrare e non rispettano la nostra cultura. Comunque si è sempre il Sottoceneri di qualcun altro.

Non hai mai il dubbio di esagerare i toni dei tuoi interventi?

Costantemente. A volte sono troppo impulsivo. Ma i giullari non la toccano mai piano con re e imperatori.

Chiudiamola in cultura: consigliaci un libro, una canzone e un film.

Nell’ordine: ‘Terra’ di Stefano Benni, il ‘Pipppero’ di Elio e le Storie Tese e ‘Brian di Nazareth’ dei Monty Python.