Così il canton Vaud riesce ad arrestare chi traffica e sfrutta clandestini. In Ticino l’assistenza a queste vittime è insufficiente
Il loro destino, in Nigeria, si è incrociato con quello di ‘Madam’, che le ha ammaliate con la promessa di un buon salario in Svizzera come domestica, baby-sitter o parrucchiera. Prima di partire, tuttavia, devono promettere di obbedire a chi le porta in Europa e, una volta arrivate, viene loro comunicato l’importo del debito da rimborsare per il viaggio: dai 25 ai 60mila franchi! A tenerle legate psicologicamente al loro carnefice è soprattutto un rituale di magia nera (lo ‘juju’). Uno ‘stregone’ incide la pelle della ragazza e sulle sue ferite applica un ‘preparato’ fatto di erbe, sangue, pezzi di unghia, peli pubici della donna. Il rituale sigilla una sorta di patto con uno spirito maligno, la vittima non ha altra scelta, deve sottomettersi. Il terrore di rompere il giuramento è più forte dell’umiliazione di doversi prostituire per poche decine di franchi, in condizioni miserabili, sotto minaccia costante, cliente dopo cliente, finché non avrà rimborsato l’enorme debito. Per la polizia è difficile intervenire, di fronte al mutismo di persone terrorizzate da un’impalpabile cattiva sorte che potrebbe togliergli la vita. Grazie al lavoro d’identificazione e accompagnamento fatto dall’associazione Astrée a Losanna, queste vittime di tratta di esseri umani, in alcuni casi minorenni, hanno iniziato a collaborare con le autorità giudiziarie. Voluta e finanziata dal canton Vaud (e da FedPol) Astreé dal 2015 offre un programma di protezione alle vittime della tratta di esseri umani e dello sfruttamento.
È un esempio per tutta la Svizzera e i risultati si vedono. «All’inizio nel cantone si contavano una decina di casi l’anno, lo scorso anno le vittime assistite da Astrée erano 75. Le vittime ci sono, anche in Ticino senza dubbio, ma se non si fa nulla per identificarle, proteggerle e assisterle, questo crimine resta un fenomeno sommerso e gli autori impuniti. È come per la violenza domestica, fino a 20 anni fa si pensava fossero casi isolati» spiega Angela Oriti codirettrice di Astrée.
La tratta di esseri umani è un crimine per sua natura nascosto: per contrastarlo sono necessari un occhio esperto e la volontà politica di combatterlo. Senza l’aiuto delle vittime, queste organizzazioni mettono radici e si rafforzano indisturbate soprattutto nei cantoni dove l’assistenza alle vittime è insufficiente, come in Ticino.
Nel 2020, i 4 consultori elvetici specializzati nella lotta contro la tratta di esseri umani hanno identificato 174 nuove vittime. Verosimilmente solo la punta dell’iceberg di un fenomeno molto più diffuso che non riguarda solo l’ambito della prostituzione; stanno emergendo situazioni di sfruttamento della forza lavoro (ad esempio nell’impiego domestico e nella ristorazione) e attività illecite (accattonaggio e furti forzati) svolte sotto costrizione. Tutti reati che in Svizzera arrivano raramente a una condanna.
«L’impegno della Confederazione e dei Cantoni è decisivo affinché le vittime della tratta di esseri umani vengano riconosciute, ricevano supporto specializzato, un alloggio protetto, consulenza e assistenza professionali». La Svizzera ha firmato la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla lotta contro la tratta degli esseri umani e deve quindi applicare i diritti delle vittime. Ma non è cosi, in Ticino ad esempio manca un dispositivo per l’assistenza e la protezione delle vittime. «Il primo passo è quello di identificare le vittime. Significa formare tutti i professionisti che entrano in contatto con le potenziali vittime: polizia, ispettori del lavoro, funzionari della Sem, sindacati, magistrati, associazioni. Poi serve un servizio di consulenza alle vittime anche per capire se c’è il reato di tratta. L’antenna MayDay in Ticino ha le competenze per farlo ma per agire servono risorse adeguate, l’impegno della politica e un preciso mandato», aggiunge.
Astrée gestisce un foyer di accoglienza (9 posti letto), appartamenti di transizione per chi lascia il foyer, camere in un hotel per le vittime che devono decidere se accettare la presa a carico e posti letto in altri centri. «Abbiamo scelto di rendere noto l’indirizzo del foyer, ma allo stesso tempo garantiamo la protezione delle nostre residenti attraverso misure di sicurezza specifiche. In questo modo cerchiamo di conciliare l’esigenza di protezione con quella dell’integrazione di queste persone nel nostro tessuto sociale».
Le autorità di Losanna l’hanno capito, senza proteggere le vittime non si riesce a perseguire gli autori della tratta e il crimine mette radici. «Senza la collaborazione delle vittime è difficile arrivare a una condanna». Dietro ciascuna storia emergono retroscena inquietanti di reti criminali che sembrano tessere indisturbate le loro ragnatele nelle città elvetiche.
«La situazione più difficile è con le vittime che provengono dall’Africa francofona: arrivano in volo a Ginevra, hanno documenti falsi e vengono sequestrate in appartamenti come schiave del sesso. Alcune sono riuscite a fuggire e le abbiamo assistite. Nei saloni massaggi invece ci sono ragazze dell’Est, spesso è il compagno che le obbliga a prostituirsi. Abbiamo accolto una ragazza obbligata a lavorare fino al nono mese di gravidanza, guadagnava 500 euro al giorno in un salone massaggio, tutti soldi che finivano in tasca a chi la sfruttava», spiega. Non solo donne, anche uomini tra le vittime. «Vediamo casi di uomini indiani, obbligati a lavorare nella ristorazione senza salario o quasi per rimborsare un debito di viaggio. Sequestrano loro il passaporto e li minacciano: ‘Se vai via ti denuncio alla polizia’.
Una volta sfuggite dalle sgrinfie dei loro sfruttatori le vittime di tratta di esseri umani, spesso prive di documenti, possono ottenere un periodo di riflessione prima di decidere se collaborare con le autorità inquirenti. «A Losanna dura tre mesi ed è rinnovabile. In seguito, se decidono di denunciare, possono ottenere un permesso di soggiorno rinnovabile fino al termine della procedura penale. Grazie al coraggio di queste persone diverse inchieste di polizia sono in corso e alcuni autori sono stati assicurati alla giustizia».
Alla fine del processo che succede alla vittima? «Finita la procedura penale è possibile richiedere un permesso di soggiorno per ragioni di estrema gravità ma bisogna provare di avere un buon livello d’integrazione e di non poter rientrare nel proprio Paese. È possibile che nonostante gli sforzi della vittima per integrarsi e malgrado il sostegno ricevuto dalle istituzioni, la richiesta di permesso venga rifiutata vanificando in tal modo tutto il lavoro svolto».
Sono una ventina le persone che lo scorso anno hanno bussato alla porta dell’antenna MayDay a Lugano di SOS Ticino, che offre un servizio di consulenza a persone migranti che vivono una situazione di precarietà e perciò vulnerabili ed esposte a rischio sfruttamento. «Vediamo casi nell’ambito dell’asilo, soprattutto donne sfruttate nell’ambito sessuale e lavorativo. Il problema è che in Ticino abbiamo ben poco da offrire a queste persone in termini di protezione e accompagnamento specializzato», spiega la responsabile Monica Marcionetti.
Detto altrimenti: «Le vittime si continuano a nascondere se non vengono accolte in alloggi specializzati e purtroppo non tutti i Cantoni finanziano questo tipo di strutture». I casi emersi in Ticino, secondo la nostra interlocutrice, sarebbero solo la punta dell’iceberg di un fenomeno che resta nell’ombra. Senza la testimonianza delle vittime è difficile portare avanti un’inchiesta giudiziaria e sanzionare chi tiene le fila di questi terribili traffici di persone.
Dietro ai numeri ci sono persone, chi sfrutta e chi viene sfruttato. «Spesso il reclutamento passa attraverso conoscenti dello stesso Paese di origine, parliamo di piccole organizzazioni, in alcuni casi di reti familiari, che fanno arrivare le vittime in Ticino e approfittano della loro condizione precaria», precisa Marcionetti.
L’antenna ticinese fa parte della piattaforma svizzera contro la tratta di esseri umani che per la prima volta quest’anno ha stilato, grazie ai 4 consultori elvetici, una statistica: 174 vittime identificate nel 2020. Ci aiuta a leggere queste cifre la coordinatrice della piattaforma Anna Schmid. «La tratta di persone esiste eccome in Svizzera, quando si fa sensibilizzazione le vittime escono dalla zona grigia, come dimostra il servizio Astrée a Losanna. Quando un Cantone decide di combattere il fenomeno e finanziare centri specializzati, i casi emergono».
La maggior parte delle 174 vittime sono donne (dai 18 ai 50 anni) spesso straniere, i Paesi più rappresentati sono Romania, Ungheria, Nigeria e Camerun. Gli ambiti di sfruttamento sono prostituzione (due terzi circa) e lavorativo (un terzo circa).
Una vera schiavitù moderna come ha ribadito di recente la Corte del Tribunale penale di Ginevra condannando un imprenditore lituano a sei anni di prigione. Reclutava i lavoratori via internet, promettendo un salario orario di 10 euro. Una volta arrivati in Svizzera, però, dovevano accettare un salario orario tra 20 centesimi e 6 franchi, nessun straordinario compensato, niente pausa nel week end. Le vittime che dormivano nei cantieri, dipendevano finanziariamente dall’imprenditore e non potevano lasciare la Svizzera. «Vediamo spesso queste dinamiche, promesse di un salario che si rivelano truffaldine; un debito di viaggio da rimborsare; minacce e violenza psicologica per obbligare le persone precarie e i clandestini a fare lavori, spesso non pagati, in economie domestiche, ristoranti, studi di estetista, cantieri, prostituzione».
Raramente le vittime arrivano da sole ai consultori, considerata anche la loro diffidenza verso l’autorità, i vissuti traumatici, la paura di essere scoperti: «I punti di contatto sono ospedali, ginecologi, polizia, preti, sindacati, associazioni vicine ai migranti, anche i vicini di casa in caso di sfruttamento domestico. Solo sensibilizzazione e controlli aiutano a far venire alla luce più casi», conclude Schmid.
«Non permetterò mai più a nessuno di schiacciarmi in questo modo». Valentina ce l’ha portata Vlad a Losanna. «Un tempo era un ragazzino del vicinato, ci arrampicavano sugli alberi insieme. Ora è un bastardo». Ogni giorno in Svizzera per la donna è uguale all’altro: indossare la divisa, uscire di casa col buio, pulire 6 case, lavare e stirare, lasciarsi insultare. Rientrare tardi la sera. «Non potevo cucinare, avrei fatto troppo rumore. Vlad portava un panino». Una vita da clandestina. La fame. Niente pause. Neanche un giorno libero. In tutto 122 giorni, quattro mesi. «Non era quello che Vlad aveva promesso. Anzi, non appena arrivata in Svizzera si era dimostrato essere tutta un’altra persona. Non era più l’amico d’infanzia, ora era il capo e si comportava come tale. Sapevo che avrei dovuto fare le pulizie ma Vlad aveva descritto la bella atmosfera natalizia, il buon cioccolato, i giri in battello sul lago nelle domeniche libere, le passeggiate e naturalmente il salario: 3’000 franchi per quattro mesi di lavoro che mi avrebbero permesso di pagare ai miei figli scuola, libri, giocattoli, vestiti adeguati. Saremmo stati a posto per tutto l’anno. Questo almeno era quello che pensavo».
Invece in Svizzera ad attenderla minacce su minacce e il ritornello che Vlad ripeteva di continuo: ‘Tenete la bocca chiusa, altrimenti vi denuncio! In tal caso ve ne andrete senza vedere un centesimo e avrete sgobbato per niente! Ma non è tutto, sarete addirittura arrestate perché qui voi non potete lavorare senza un permesso di lavoro’. «Non riuscivo a sopportarlo era come se dovessimo essergli grate per tutto».
Valentina si era abituata a muoversi come un fantasma, a non fiatare, a smettere di esistere. «I vicini del piano di sotto non dovevano sapere che eravamo lì. Così ci aveva detto Vlad». Un brivido di vergogna l’attraversa ancora ricordando lo schiaffo, poi il colpo con il bastone sulla sua mano quando la padrona dove faceva le pulizia l’accusò di aver mangiato uno cioccolatino. Di averlo rubato. ‘Sporca ladra! Lo sapevo che da voi non avrei dovuto aspettarmi niente di meglio!’. Ricorda esattamente quella mattina. «Ero arrivata presto, come sempre. Sfinita avevo terminato di pulire tutto. Mi sforzavo di muovermi silenziosamente, come se non fossi affatto lì. Ero di fretta, mi aspettavano altre sei case. Proprio quando stavo per andarmene, la signora mi si era parata davanti puntandomi addosso i suoi occhi minacciosi, la sua mano rugosa dura e fredda e dolorosa sul mio viso».
Alla fine, Valentina, grazie all’aiuto di un consultorio che lotta contro la tratta di esseri umani, è rientrata al suo Paese. Senza un centesimo dopo aver sgobbato per quattro mesi come una schiava. «Nel nostro villaggio gira voce che Vlad è stato arrestato in Svizzera».
Nel 2020 in Svizzera sono spariti 269 migranti minori non accompagnati. Negli ultimi 3 anni le “partenze incontrollate” (così le definisce la Sem) sono state 944. Quando un migrante compie 18 anni le misure di protezione dei minori decadono. Il rischio di essere vittime di reti criminali aumenta rapidamente. Un tema sollevato dalla Regione e ripreso dalla deputata agli Stati Marina Carobbio nell’interpellanza ‘Scomparsa di minori migranti non accompagnati. Come intende agire il Consiglio federale?’. Per il Governo quanto fatto è sufficiente e sottolinea che la Conferenza dei direttori delle opere sociali e la Conferenza per la protezione di minori e adulti raccomandano ai Cantoni, se necessario, “di consigliare e sostenere finanziariamente i minori collocati anche dopo il raggiungimento della maggiore età e fino al conseguimento di una prima formazione o fino all’acquisizione di una vita autonoma”. Inoltre l’Ufficio federale di polizia da gennaio 2021 partecipa a un progetto di Europol per identificare i gruppi criminali che fanno entrare illegalmente in Europa minori non accompagnati dal Nord Africa e li obbligano a commettere reati.