Salah Abdeslam sfida i giudici e si difende attaccando. E non siamo che all'inizio. Udienze per sei mesi
Sei anni dopo, Salah Abdeslam, unico superstite dei commando kamikaze che insanguinarono Parigi il 13 novembre 2015, ha ritrovato la parola. Finora muto nel suo isolamento del carcere di massima sicurezza, il franco-marocchino è stato protagonista fin dal primo istante di quello che i francesi hanno già definito 'il processo del secolo'. Ha provocato i giudici, poi ha sfidato la sopportazione delle vittime protestando per presunti maltrattamenti.
La tensione è stata subito alta nell'aula bunker costruita per questo processo che durerà nove mesi e che vedrà alternarsi imputati, superstiti, familiari delle vittime, inquirenti, testimoni. All'ingresso, arrivato con un corteo blindatissimo dal carcere di Fleury-Merogis, Abdeslam, 31 anni, ha attirato subito gli sguardi di tutti. Gli altri co-imputati erano vestiti con camicie bianche, lui in t-shirt nera, barba folta e nera che spuntava abbondantemente dalla mascherina anti-Covid dello stesso colore, capelli pettinati all'indietro con il gel. Quando il presidente del tribunale Jean-Louis Périès, per primo, stava per prendere la parola nella sala Grand Procès – dove possono entrare fino a 3'000 persone – per chiedergli le generalità, Salah lo ha preceduto. «È una tattica, ha deciso di fare una difesa di rottura», ha spiegato a Bfm-Tv Antoine Vey, noto avvocato specialista di terrorismo. «Ci tengo innanzitutto a testimoniare che Allah è l'unico dio e che Maometto è il suo messaggero», ha proclamato il terrorista abbassandosi la mascherina. Il presidente Périès non ha perso il sangue freddo: «Di questo parleremo dopo», gli ha risposto.
Dopo aver confermato le sue generalità, rifiutando però di fare altrettanto con quelle del padre e della madre «che non hanno nulla a che vedere qui», Abdeslam ha aggiunto di aver «abbandonato la professione per diventare un combattente dello Stato Islamico». Lo show di Salah, che in oltre 5 anni di detenzione non ha detto una parola nel quadro dell'istruttoria, è proseguito poco dopo. L'uditorio era fremente, il caldo, le mascherine, i controlli estenuanti, oltre 650 poliziotti e gendarmi per filtrare e perquisire: al colmo della tensione in aula, Farid Kharkhach, 39 anni, uno degli imputati, si è accasciato, a quanto sembra per un malore. Sospettato di aver fornito i documenti falsi ai commando di terroristi che quella notte fra lo Stade de France, il Bataclan e i bistrot uccisero 130 persone e ne ferirono altre 350, Kharkhach è stato portato via e l'udienza è stata brevemente sospesa. Al rientro, di nuovo Salah è stato protagonista: «Qui è tutto molto bello, ma bisogna vedere com'è dietro – ha detto ironico Salah guardando le mura della grande aula costruita per il maxiprocesso –. Veniamo maltrattati. Sono 6 anni che vengo maltrattato, trattato come un cane e non dico niente perché so che dopo la mia morte sarò resuscitato». Parole che hanno suscitato un forte brusio, mentre dalle ultime file, dove c'erano i pochi familiari delle vittime presenti, si è levato qualche grido di protesta, uno in particolare che ha ricordato all'imputato che lamentava maltrattamenti: «Noi abbiamo avuto 130 morti! Bastardo!».
Sui presunti abusi è poi intervenuto anche l'avvocato di Kharkhach, Albéric de Gayardon, lamentando che il suo cliente già in «stato depressivo» e «indebolito», ha dovuto subire «perquisizioni fino a rimanere completamente svestito». Non c'è quindi stato bisogno di attendere i momenti che si annunciano più crudi di questo processo che si concluderà a fine maggio, e neppure l'interrogatorio di Abdeslam, previsto a gennaio. È stata tensione, rabbia e durissimo faccia a faccia tra i jihadisti e la giustizia francese fin dal primo giorno. Con un protagonista assoluto, Salah Abdeslam, che si è difeso attaccando e sembra determinato ad andare fino in fondo con la strategia della provocazione.