Il CdS vincola le estensioni all'impegno a non decidere più chiusure. Intanto il Dss resta favorevole ai test ripetuti al personale sanitario non vaccinato
“L’eventuale applicazione di queste misure deve inoltre essere abbinata all’impegno del Consiglio federale a voler evitare la chiusura (lockdown) di attività”. Il Consiglio di Stato le avrà «approvate sostanzialmente» le proposte giunte da Berna sull’estensione dell’obbligo del certificato Covid agli spazi interni di bar, ristoranti, strutture culturali e per il tempo libero e alle manifestazioni al chiuso, come detto lunedì a ‘laRegione’ dal presidente del governo Manuele Bertoli. Ma ciò che emerge dalla lettura della risposta inviata al Consiglio federale dall’esecutivo ticinese è più di qualche puntino sulle i. È un dire sì al certificato Covid in queste occasioni, solo però davanti a un impegno che non ci saranno più lockdown.
Infatti, scrive il Consiglio di Stato, “a fronte di un aumento incontrollato delle ospedalizzazioni, non rimangono molte alternative: o si chiudono le attività, o si prendono queste misure con elementi insoddisfacenti, o si passa all’obbligo vaccinale per tutti”. Senza che una di queste alternative si sommi a un’altra. È un avviso con tutti i crismi quello che da Bellinzona arriva a Berna, assieme all’auspicio che “nelle prossime settimane Confederazione e Cantoni intensifichino gli sforzi di persuasione della popolazione a favore della vaccinazione, affinché il tasso di persone vaccinate cresca nel nostro Paese passando dal consenso della cittadinanza”.
In attesa di tale, auspicato, futuro c’è il presente. O meglio, il cercar di capire come confrontarsi materialmente con l’obbligo di certificato Covid e il modo in cui tale decisione, se presa, sia più incisiva. E anche qui il Consiglio di Stato prende posizione con fermezza: “Affinché l’estensione dell’impiego del certificato possa esplicare pienamente l’effetto auspicato è necessario che eventuali infrazioni possano essere controllate e sanzionate in maniera tempestiva ed efficace dal profilo dissuasivo e preventivo. È pertanto fondamentale che anche questo genere di infrazioni possa essere perseguibile con una multa disciplinare”.
Assieme a quanto già annunciato da Bertoli – vale a dire di avere un’eventuale messa in vigore del certificato Covid davanti a un peggioramento delle ospedalizzazioni e dei parametri di riferimento, non solo davanti a una possibilità, e all’estensione degli aiuti economici per i settori colpiti dal probabile calo di clientela e spettatori – al Consiglio federale arrivano anche una tirata d’orecchi e una richiesta di maggior precisione. Innanzitutto, scrive il governo ticinese, “deploriamo che i Cantoni siano consultati solo su una condivisione di principio di determinate misure senza che siano definiti parametri in base ai quali queste misure entrerebbero in vigore, su cui pure dovrebbero esprimersi”. In merito all’obbligo di certificato Covid per le manifestazioni al chiuso, invece, viene “auspicata maggior chiarezza nella codifica legislativa delle regole, esposte nel rapporto esplicativo, applicabili alle manifestazioni religiose, ai funerali, agli eventi nel quadro dell’attività delle autorità e per la formazione dell’opinione politica”. Per il Consiglio di Stato, “non risulta in maniera evidente che potrebbero svolgersi senza certificato alle stesse condizioni di tutte le altre”.
Il Dipartimento sanità e socialità non ha cambiato idea e resta favorevole all’introduzione dei test ripetuti obbligatori per gli operatori sanitari, non vaccinati e quindi senza certificato Covid, attivi in ospedali, cliniche, case per anziani e servizi di cura e assistenza a domicilio. Test raccomandati dall’Ufficio federale della sanità pubblica, con una lettera inviata in luglio ai Cantoni, per contenere il propagarsi della pandemia. «L’intenzione a livello tecnico è confermata» – annota il direttore della Divisione della salute pubblica e coordinatore del Dss Paolo Bianchi, contattato dalla ‘Regione’ –. La Confederazione ha invitato i Cantoni ad andare in questa direzione e alcuni hanno già dato seguito alla raccomandazione. Di recente è stata recepita da taluni Cantoni romandi, ovvero Ginevra e Giura, e dal Vallese, mentre a Zurigo la misura è in vigore da aprile. Al di là del rispetto delle abituali misure di protezione, il certificato Covid o la partecipazione a un programma di test ripetuti permette – evidenzia l’avvocato Bianchi – di accrescere la sicurezza in contesti a stretto contatto con persone vulnerabili». Aumentare dunque il livello di sicurezza, anche se il tasso di vaccinati tra gli operatori delle strutture sanitarie ticinesi ha raggiunto un buon livello. L’introduzione dei test ripetuti obbligatori, prosegue Bianchi, «è già stata prospettata ai referenti dei settori sanitari e sociosanitari interessati ed è condivisa nel principio, sebbene il provvedimento comporti oneri organizzativi e amministrativi di un certo rilievo, che sono ancora in corso di valutazione e discussione».
Rispetto a luglio, quando Berna ha scritto ai Cantoni, vi è un incremento dei casi positivi, cosa che rende urgente l’implementazione della misura? «Nonostante l’aumento dei contagi e dei ricoveri, le case per anziani in particolare, che vengono costantemente monitorate, non hanno conosciuto nuovi contagi, grazie anche all’elevato tasso di vaccinazione. In ogni caso – aggiunge il responsabile della Divisione della salute pubblica – abbiamo previsto di poter rendere effettiva la misura con l’inizio dell’autunno: stiamo affinando il concetto e le decisioni in questi termini». Non sarebbe meglio a questo punto introdurre l’obbligo vaccinale per gli operatori sanitari? «Vista anche la sua portata, il tema di un eventuale obbligo va semmai affrontato a livello federale – sottolinea Bianchi –. La Confederazione ha sempre escluso l’imposizione, anche solo per talune specifiche categorie professionali. Il nostro approccio è fondato sulla sensibilizzazione e l’informazione, garantendo in ultima analisi la libertà di scelta individuale a ogni cittadino e dunque anche agli operatori sanitari. Una forzatura, credo, alimenterebbe ulteriormente le divergenze, senza necessariamente portare ai risultati auspicati. Nei paesi limitrofi le restrizioni alle attività economiche e sociali sono state generalmente più marcate e per talune categorie professionali è effettivamente stato decretato l’obbligo di vaccinazione. Vi è forse una diversa concezione della responsabilità individuale ma anche la consapevolezza di limiti maggiori nelle capacità di presa a carico del settore sanitario».
Attualmente più dell’80 per cento del personale che opera tanto nelle case per anziani della rete della Città di Mendrisio che nel settore pubblico delle cure a domicilio della regione è vaccinato contro il Covid-19. A certificarlo sono le stesse direzioni dell’Ecam, l’Ente case anziani del Mendrisiotto, e dell’Acd, l’Associazione assistenza e cura a domicilio del Mendrisiotto e Basso Ceresio. A giudizio del Municipio, pensando in particolare al tasso dell’85 per cento registrato fra i collaboratori Ecam – all’Acd si parla dell’80,1 per cento –, “si tratta di una percentuale significativa”. E chi sin qui non si è immunizzato? Fatta eccezione per una “parte residuale” dei collaboratori degli istituti residenziali, esentata per motivi di salute, e ben consapevoli che non vi è un obbligo di legge di informare il datore di lavoro sull’avvenuta vaccinazione, nel Distretto si punta sull’informazione per convincere i dipendenti a recarsi in un centro vaccinale.
Di ragioni per cercare di far passare il messaggio, del resto, non ne mancano. Entrambi gli enti, in effetti, si occupano di “un’utenza fragile, per lo più anziana, malata, disabile”, come fa notare l’esecutivo rispondendo alle sollecitazioni di un’interrogazione del gruppo Lega-Udc-Udf. Ecco perché le due direzioni procedono “in modo costante con la campagna di sensibilizzazione rivolta ai collaboratori e alle collaboratrici dell’intera rete, affinché si riconosca l’importanza del vaccino”. La comunità scientifica, ricorda il Municipio ai cinque consiglieri comunali che firmano l’interrogazione, identifica la vaccinazione come la soluzione “più efficace per arginare l’ondata pandemica e proteggere i residenti delle strutture e chi lavora”.
A questo punto ciascuno ha messo in campo le sue strategie a tutela di utenti e personale. Così, sul fronte delle case per anziani, fa sapere l’autorità comunale, ogni istituto offre al personale, al di là dello ‘stato vaccinale’, la possibilità di sottoporsi a tampone rapido, così come recitano le direttive del Medico cantonale. La parola d’ordine, comunque, resta ‘sensibilizzare’. Quanto all’Acd, il coinvolgimento nella promozione dell’azione di immunizzazione è evidente: “Le infermiere – annota il Municipio – hanno attivamente partecipato alla campagna vaccinale in favore della popolazione anziana del Mendrisiotto”. Al contempo il medico del personale ha continuato a informare e aggiornare sulla situazione e i vaccini mRNA adottati dalla Confederazione. Sul versante delle cure domiciliari si è attuata, però, anche una stretta. “In previsione della potenziale terza ondata – chiarisce ancora l’esecutivo di Mendrisio –, dal 12 luglio la direzione del Servizio ha istituito i test di depistaggio del Covid-19 per i personale non vaccinato”. Non solo: più di recente, da inizio agosto, l’Acd ha reso “obbligatori i test salivari (una volta la settimana)”.
Quale sarà, quindi, l’approccio con chi ancora non ha deciso di assumere il vaccino? L’Ecam insisterà con i colloqui di sensibilizzazione tramite capistruttura e direzioni sanitarie. Il tutto supportato dalle pubblicazioni informative dell’Ufficio del medico cantonale. Mentre l’Associazione fa leva sulle consulenze individuali con il medico del personale, entrando nel vivo, spiega il Municipio, delle motivazioni personali portate dai collaboratori, il tutto in modo anonimo in base al segreto professionale medico. Da non trascurare, rende attenti in conclusione l’esecutivo, c’è poi il fatto che sul territorio cantonale, quindi anche cittadino e del Distretto, operano “trenta Servizi per l’assistenza e la cura a domicilio d’interesse privato, nonché numerose infermiere indipendenti”.