Svizzera

Violenza sessuale, i ‘segnali sbagliati’ di una sentenza

La Corte d’appello di Basilea Città riduce la pena inflitta a uno stupratore perché la vittima ‘ha giocato col fuoco’. Domenica manifestazione di protesta.

Nell’attesa della revisione del diritto penale in materia sessuale
(Keystone)
6 agosto 2021
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«Bisogna dire che lei ha giocato col fuoco», lanciando «segnali sbagliati» a uomini. Hanno scioccato la donna che ha subito la violenza e lasciato basiti i più le parole – riportate da diversi media d’Oltralpe – che la presidente della Corte d’appello di Basilea Città ha usato venerdì scorso per giustificare la riduzione della pena inflitta a uno stupratore. Ma come: la vittima corresponsabile di uno stupro? L’inusuale comunicato stampa pubblicato dalla giustizia basilese per chiarire i “numerosi malintesi” sorti alla lettura della sentenza non ha smorzato la diffusa indignazione. La polemica divampata sui social media prosegue. E mentre accusa e vittima aspettano che le motivazioni vengano messe nero su bianco prima di decidere se ricorrere al Tribunale federale, domenica in città si terrà una manifestazione di protesta contro una sentenza che – questa sì – potrebbe lanciare un “segnale sbagliato” alle vittime di violenza sessuale, così come agli aggressori.

I fatti sono avvenuti a Basilea e risalgono al febbraio dello scorso anno. Dopo una serata in un locale notturno, una giovane donna viene aggredita e violentata davanti a casa sua da due uomini di origine portoghese, uno dei quali minorenne, che le hanno dato un passaggio. Il più anziano dei due, un 32enne, si è poi consegnato alla polizia. In prima istanza è stato condannato a 51 mesi di prigione e al divieto di soggiorno in Svizzera per otto anni. Venerdì scorso la Corte d’appello di Basilea Città ha ridotto la pena a 36 mesi, di cui 18 mesi da espiare. Avendo già trascorso un anno e mezzo dietro le sbarre, l’uomo uscirà dal carcere la prossima settimana. Il divieto di soggiorno è stato pure ridotto, da otto a sei anni.

Condanna confermata

Non capita praticamente mai che un tribunale precisi a posteriori, attraverso un comunicato stampa, le motivazioni di una sentenza. Il semplice fatto che la giustizia basilese si sia sentito in dovere di agire in questo modo, è logico che qualche perplessità la sollevi. In una nota stampa diffusa giovedì, il presidente del Tribunale d’appello sottolinea vari aspetti: il verdetto è stato emesso da una corte di tre membri, non dal solo presidente della Corte d’appello; per le pene detentive tra i 24 e i 36 mesi, l’esecuzione parziale è obbligatoria se il colpevole non ha precedenti e la prognosi di recidiva è bassa (la condanna a 18 mesi pronunciata dal tribunale è quindi “il massimo possibile” secondo la legge); e soprattutto, la condanna in primo grado per stupro, tentato stupro e aggressione sessuale è stata confermata. Nel valutare la pena, si legge ancora nel comunicato, il tribunale “deve prendere in considerazione le circostanze concrete del reato, la situazione concreta dell’autore, il suo contributo concreto al reato e gli effetti concreti sulla vittima. Quando si esamina come l’accusato ha interpretato la situazione, si tratta soltanto di misurare la colpevolezza dell’autore e non di squalificare la vittima”.

Sul piano strettamente giuridico, la sentenza potrebbe anche non fare una grinza. Attualmente, il Codice penale prevede la possibilità per un giudice di attenuare la pena se “l’autore è stato seriamente indotto in tentazione dalla condotta della vittima”. La provocazione può essere un motivo per ridurre la pena, ha commentato a radio Srf Marianne Heer. Una minigonna o una maglietta provocante però non possono certo essere considerate circostanze attenuanti, puntualizza l’esperta di diritto penale. Inoltre, l’entità della pena ridotta (36 mesi) è usuale in Svizzera in caso di stupro; così come lo è la sospensione condizionale di metà della stessa (18 mesi), se il rischio di recidiva è giudicato basso. Anche per Marcel Niggli la sentenza e le sue motivazioni non sono fuori strada. Tuttavia, ha detto al ‘Tages-Anzeiger’ il rinomato professore di diritto penale all’Università di Friburgo, “non si tratta di incolpare di alcunché la vittima. Se il tribunale lo facesse, capirei l’indignazione. Nemmeno gli atteggiamenti intimi precedenti con un altro uomo [la donna era stata vista dall’aggressore in simili atteggiamenti nelle toilettes del locale, ndr] devono giocare un ruolo. Uno stupro è e resta uno stupro”. La cosa fondamentale, dunque, è che la colpevolezza dell’aggressore sia stata confermata: “Il tribunale si è pronunciato in maniera chiara: non si può obbligare qualcuno a un contatto sessuale contro la sua volontà”.

‘Inaccettabile’

Marina Carobbio invece non nasconde il suo disappunto. La consigliera agli Stati socialista giudica «inaccettabile» che la pena in caso di stupro possa essere ridotta in funzione del comportamento della vittima. Il verdetto basilese a suo avviso dimostra «la necessità di adeguare urgentemente il Codice penale», ha dichiarato ai microfoni della Rsi.

Il Parlamento ci sta lavorando. La prossima settimana la Commissione degli affari giuridici del Consiglio degli Stati tornerà ad occuparsi della revisione del diritto penale in materia sessuale. Un progetto in consultazione fino al maggio scorso prevede tra l’altro che il rapporto sessuale non consensuale sia punito solo come ‘aggressione sessuale’ e non come ‘stupro’. Il disegno di legge non piace per nulla alle associazioni femminili e di aiuto alle vittime, alle Ong come Amnesty International, alla sinistra e ai partiti del centro: tutti chiedono una definizione più ampia del concetto di violenza carnale, con l’introduzione del principio ‘Solo sì vuol dire sì’ (in parole povere: qualsiasi atto sessuale senza consenso esplicito da parte di tutte le persone coinvolte è una violenza). L’Alleanza del Centro sottolinea dal canto suo l’importanza di non considerare il comportamento della vittima come una variabile per il tipo di condanna da infliggere all’aggressore. Altrimenti si rischia di lanciare altri “segnali sbagliati”, anziché tutelare come si deve le vittime di stupro.