Il 57enne tecnico della Nazionale rossocrociata, il più vincente di sempre, lascia la Svizzera e abbraccia la causa del Bordeaux. Lascerà un vuoto non facile da colmare
Fine della gestione Petkovic: Vlado lascia la Nazionale rossocrociata per abbracciare la causa del Bordeaux. Sette anni, una crescita graduale culminata con lo straordinario Europeo chiuso con la sconfitta ai rigori ai quarti contro la Spagna, il punto più alto raggiunto dalla Svizzera, poco avvezza ai grandi successi. C’è un po di tutto, nella scelta di Vlado di lasciare una squadra che ha saputo plasmare, motivare e compattare, fino a farne un gruppo vincente, addirittura capace di stupire.
C’è senza dubbio un fattore economico che, come è logico che sia, ha un peso rilevante in qualsivoglia trattativa; c’è la volontà da parte del Petkovic tecnico (il ruolo di commissario tecnico e selezionatore è molto diverso) di rimettersi in gioco in una squadra di club, dopo averlo fatto con discreto successo anche in passato, oltretutto in un campionato non ancora esplorato; c’è poi la consapevolezza dell’esaurimento di un ciclo giunto al suo apice con un paio di prestazioni memorabili, consegnate alla storia del calcio svizzero e mondiale.
Di tutto un po’, con l’ultima considerazione - quella legata al crepuscolo ormai prossimo del ciclo tecnico affidato alla generazione dei vari Xhaka, Shaqiri, Mehmedi e Sommer - che ha forse il peso maggiore sulla bilancia degli argomenti a favore o contro una permanenza che, a questo punto, non avrebbe giovato a nessuno. Non che questa Svizzera, la sua Svizzera, abbia esaurito gli argomenti agli Europei, tuttavia non si può non mettere in preventivo una flessione di rendimento da parte di senatori che viaggiano verso la trentina (o più), i quali tirano la carretta ormai da un decennio, con risultati che sono stati in crescendo ma che difficilmente saranno migliori di una semifinale europea sfiorata dopo aver eliminato con merito i campioni del mondo in carica.
Intelligente e, giustamente, anche calcolatore, Petkovic lascia dopo aver svolto un lavoro eccellente, all’apice di una popolarità che non è sempre stata al massimo della sua espressione, ben sapendo che non avrebbe potuto chiedere di più a una Nazionale dalla quale si separa in veste di allenatore più vincente della storia.
Insomma, un bel modo di congedarsi, sulla biga dei vincitori, con l’alloro che cinge il capo, dopo aver condotto al successo i suoi fidati compagni di lotta.
Un fulmine a ciel sereno? Da un certo punto di vista sì. Ormai, però, i tempi sono maturi e proseguire a braccetto non avrebbe avuto alcun senso. La motivazione delle parti fa la differenza. Se da un lato l’Asf avrebbe volentieri trattenuto il proprio ct, quello al quale si deve soltanto dire grazie per l’impronta che ha saputo imprimere a tutto l’ambiente rossocrociato, dall’altra parte vi era la ferma intenzione di abbracciare una nuova causa, una sfida molto diversa di quella rappresentata da una selezione nazionale.
Aspirazione legittima, per un allenatore scafato ma ancora lontano dalla pensione, nonché comprensibile, per un tecnico che ama il lavoro quotidiano a stretto contatto con i giocatori, consapevole di aver chiuso un cerchio aperto sette anni or sono.
Un interregno lungo il quale non sono mancate le noti dolenti (ricordiamo l’avvio stentato della campagna europea nel 2014, le difficoltà del 2019 a cavallo tra la primavera e l’estate), cancellate però da quattro ottimi motivi per i quali il suo addio è doloroso: la straordinaria media punti, 1,79 a partita, nettamente la migliore di sempre per ct con all’attivo almeno venti incontri internazionali; i tre grandi tornei di fila ai quali ha qualificato la Nazionale, la serie più lunga di sempre; la semifinale europea sfiorata, con l’agognato obiettivo dei quarti finalmente centrato e onorato al meglio; le 155 reti realizzate dalla svizzera in 78 partite, quasi 2 a partita, in un esercizio, quello della finalizzazione, tradizionalmente ostico, per i rossocrociati.
Scorrendo la lista dei suoi predecessori sulla panchina della “Nati”, spiccano nomi quali Roy Hodgson, Köbi Kuhn, Ottmar Hitzfeld, tecnici di successo che hanno segnato la storia dell’ultimo quarto di secolo abbondante della Svizzera, con picchi alternati però a bruschi ridimensionamenti che hanno poi portato alla loro sostituzione. Nessuno, cifre, risultati e statistiche alla mano, ha però ottenuto quanto Vladimir Petkovic, il quale, contrariamente ai colleghi citati, lascia sulla cresta dell’onda, forte di un consenso popolare senza precedenti e di una considerazione a livello internazionale che gli è servita da trampolino di lancio verso una nuova sfida professionale. Non particolarmente affascinante, forse, se la analizziamo con gli occhi di chi considera il Bordeaux, per quanto società di grande tradizione in Francia, non esattamente di prima fascia. Ma diversa, questa sì. E nuova, con quanto ne consegue a livello di motivazioni e ambizioni. Oltre che, inutile nasconderselo, interessante sul piano economico.
La palla, ora, passa all’Asf, chiamata a raccogliere la grande sfida lanciatagli da un tecnico che ne ha fatto le recenti fortune, salvo chiamarsi fuori un po’ a sorpresa, a ridosso della ripresa dell’attività (in settembre l’amichevole contro la Grecia, poi la campagna mondiale verso Qatar 2022). Una patata bollente, in mano al direttore Pierluigi Tami, l’amico e confidente chiamato ad accettare l’interruzione di un rapporto che aveva funzionato molto bene, già al lavoro per individuare il tecnico sulle spalle del quale caricare il fardello di un’eredità molto pesante, proprio per effetto del peso che Vlado aveva all’interno del gruppo dei rossocrociati e dei risultati (storici) ai quali ha contribuito.
A prescindere da chi sarà incaricato (la prima scelta era Lucien Favre, ma il vodese ha già declinato l’invito, spuntano i nomi di Marcel Koller. Urs Fischer e Raphaël Wicky), il compito che si prospetta al successore di un tecnico apprezzato e vincente è giocoforza improbo. Dovrà entrare in tempi brevi in sintonia con la Svizzera “di Petkovic”, in quanto le prime verifiche sono già alla porta. Dopodiché, dovrà entrare nei cuori del popolo rossocrociato. Vlado, nonostante qualche passaggio a vuoto, ce l’ha fatta. La sua partenza, per quanto legittima e, alla luce di quanto detto prima, opportuna, lascia un vuoto che non sarà facile colmare. Grazie di tutto, Vladimir Petkovic, in bocca al lupo. Avanti il prossimo, coraggio e buona fortuna. Ne avrà bisogno.