Estero

Il cardinal Becciu, uno «spregiudicato» a processo

Il decano dei vaticanisti Svidercoschi: «Certe mosse di Francesco fanno venire in mente il Papa sovrano. La Chiesa deve riformare il modo in cui comunica»

Il cardinale Angelo Becciu (Keystone)
28 luglio 2021
|

L’aula di tribunale nemmeno c’era, perché processi così la Chiesa cattolica non ne faceva più. L’hanno allestita in una sala dei Musei Vaticani. Gli imputati sono dieci, tra cui spicca il cardinale Angelo Becciu, ex Prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi ed ex Sostituto per gli Affari Generali della Segreteria di Stato. Mai prima d’ora, almeno in epoca moderna, un cardinale era comparso a processo se non davanti ad altri cardinali. Gli altri nove imputati sono prelati, funzionari della Santa Sede e manager esterni. 

Il motivo è la gestione dei fondi della Segreteria di Stato vaticana, un buco nero aperto dalle indagini sull'acquisto dell’ex palazzo dei grandi magazzini Harrods in Sloane Avenue, a Londra, e allargatosi anche ad altre vicende. La lista di reati va dal peculato all'appropriazione indebita, dalla corruzione all'estorsione. Becciu stesso è accusato di peculato, abuso d’ufficio e subornazione, cioè l’offerta di denaro a un testimone per manipolarne la deposizione. Secondo l’accusa gli investimenti sospetti sarebbero stati coperti da Becciu utilizzando denaro proveniente dall’Obolo di San Pietro, l’insieme di donazioni che i fedeli affidano al Papa affinché vengano redistribuite in opere di carità. Ad attivare un processo del tribunale ordinario era stato, il 30 aprile scorso, Papa Francesco, che - con un Motu Proprio - ha stabilito che cardinali e vescovi possono essere processati da giudici laici previo assenso del pontefice.

Senza mezze misure, Gian Franco Svidercoschi - decano dei vaticanisti, presente come giornalista Ansa al Concilio Vaticano II ed ex vicedirettore dell’Osservatore Romano - parla di «ritorno del sovrano». «Giovanni Paolo I rinunciò alla mitra e alla tiara, Benedetto XVI riportò i simboli, Francesco organizza i processi». Il Papa Re, si diceva un volta. Associare quest’immagine a quella pop di Bergoglio pare una forzatura, ma Svidercoschi è convinto che sia Francesco, sia Benedetto XVI si siano trovati - non per caso - in situazioni simili, in cui per farsi capire era necessario prendere decisioni forti seppur partendo da impostazioni molto diverse. Progressista il primo, conservatore il secondo.


Papa Francesco (Keystone)

«Ratzinger fece di tutto per avvicinarsi ai Lefebvriani, ritirando anche la scomunica a quattro di loro. Poi alcune dichiarazioni incaute e inaccettabili di Richard Williamson, lefebvriano e negazionista dell’Olocausto, fecero inevitabilmente saltare il lavoro di cucitura del Papa». Lo strappo risaliva al Concilio Vaticano II, «che riformò la liturgia, ma non abbandonò mai del tutto il latino. Il vero errore fu non lasciare convivere i due riti», ricorda Svidercoschi, per cui anche l’ultima recente lettera di Papa Francesco sulla liturgia pre e post-conciliare è un messaggio interno ed esterno forte, ma comunque drammatico, che mostra crepe dentro la Chiesa e un’avventatezza nei modi che non dovrebbe appartenere alle stanze vaticane. «Francesco ha detto quel che ha detto in modo stonato. E le conseguenze di questa comunicazione le paghi. Ci sono sempre più sbattezzati, in Germania ci sono 200 mila fedeli in meno, alcuni magari non si dichiarano tali per pagare meno tasse, ma il problema resta».

Per Svidercoschi c’è «un problema enorme di comunicazione esterna, che risale dai tempi di Giovanni Paolo II ed è andato peggiorando. Ma anche un problema, soprattutto tra chi gestisce le ricchezze della Chiesa, di spregiudicatezza, in cui il fine giustifica i mezzi». Di quest’ultima cosa ne parlava, «già nel 1933 Pio XI con Domenico Tardini, colui che di lì a poco diventerà Segretario di Stato: parlano di speculazioni, si chiedono come gestire il denaro, dove investire, quanto sia giusto inseguirlo». «Negli anni, con l’aumento delle spese, questa situazione è sfuggita di mano». A questo proposito Svidercoschi ricorda un dialogo che ebbe a inizio anni Ottanta con monsignor Marcinkus, il presidente dello Ior noto anche per la frase “La Chiesa non si governa a suon di avemarie”. Marcinkus sosteneva che per avere il denaro da mandare nelle zone povere del mondo qualche compromesso andava pur fatto, Svidercoschi ribatté “lei sa che tra gli investimenti del Vaticano ci sono una fabbrica di cannoni e una di preservativi?”. Insomma, dove si trova la fine per cui il fine giustifica i mezzi?

Qui entra in ballo l’operato di Becciu, ora a processo, che «faceva indubbiamente affari spregiudicati, ma è illogico pensare che lo facesse all’oscuro di tutti. Qualcuno avrà pur dovuto avallare certe decisioni, sennò vuol dire che la struttura, che sembra molto rigida, è fuori controllo». Per Svidercoschi è tuttavia chiaro che le cose in qualche modo sono sfuggite di mano a Becciu: «Se vuoi fare in modo che il Vaticano risparmi sugli infissi in Africa può andare bene, se però gli infissi li fai fare da tuo fratello è ovvio che stai superando un limite, soprattutto se rappresenti la Chiesa».


La copertina delle Bild il giorno dell'elezione di Ratzinger (Keystone)

E così Francesco fa affondare Becciu «come affondò il cardinale Pell, accusato di pedofilia dai conservatori che non lo sopportavano. Pell uscì pulito dall’inchiesta, ma il Papa non lo rimise comunque dov’era. Bergoglio ha difficoltà a tenere la barra dritta, perché deve dare segnali inequivocabili sia ai conservatori sia a chi è più progressista di lui, su temi in cui ha fatto aperture inattese, ad esempio sugli omosessuali». Anche per questo Svidercoschi, davanti a un Francesco che appare «sempre più vecchio e stanco», pensa che «purtroppo, dopo di lui arriverà un moderato. Certo, in conclave ormai la maggioranza dei partecipanti deve qualcosa a Bergoglio, ma la fedeltà un volta al voto conta fino a un certo punto. Probabilmente tornerà un papa italiano, meno sussultorio e più attento agli equilibri interni. E non è detto che per la Chiesa sia un bene».