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I conti sbagliati del Sudafrica

L’ex presidente Zuma, pieno di guai giudiziari, prova a sottrarsi alla giustizia e alla fine si costituisce. La sua parabola tradisce gli ideali di Mandela

Zuma sorridente durante il processo (Keystone)
9 luglio 2021
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Settantanove anni, cinque mogli, 23 figli, 120 capi di bestiame in dono allo Swaziland per regalare una principessa al figlio Mxolisi, 9 anni alla presidenza del Sudafrica, 14 milioni di franchi sottratti alle casse pubbliche per ristrutturare casa, un processo con 18 diverse accuse per una serie di frodi da 650 milioni, una tangente da 300mila franchi per un affare miliardario legato all’acquisto di armi. Jacob Zuma è senza dubbio un uomo dai grandi numeri, anche se poi non riesce a leggerli.

Il video dello youtuber PewDiePie è ancora lì, con oltre 5 milioni di visualizzazioni, a dimostrare la poca dimestichezza con la lettura di semplici cifre da parte dell’uomo che ha occupato tutti i maggiori posti di potere nel Sudafrica del dopo Mandela. S’inceppa, scambia i milioni con le centinaia, le migliaia con le percentuali. Zuma, bisogna ricordarlo, ha studiato solo per pochi anni, non finendo nemmeno le scuole elementari. Accadeva spesso così nel Sudafrica dell’apartheid, un Paese in cui se eri nero la tua vita non valeva niente.

Prendersela con un uomo che – cresciuto in quelle condizioni disumane – non ha studiato non è giusto, ma se quell’uomo è arrivato a essere il più importante del suo Paese, qualche domanda bisognerà pur farsela.

Il lungo cammino verso la libertà tracciato da Nelson Mandela sembrava arrivato a compimento nel maggio del 1994, con la sua elezione a presidente, una nuova bandiera, nuove leggi e un’uguaglianza ritrovata sulla carta, sebbene mai sancita dai fatti. Zuma, che con Mandela aveva anche condiviso il luogo di prigionia – l’isola di Robben Island, al largo di Città del Capo – è il simbolo di come quel progetto sia andato a rotoli. Le colpe? Di tutti, come quasi sempre. Dei bianchi, che hanno fatto di tutto per tenere il potere economico, dei neri che hanno pensato a occupare quello politico, tralasciando le questioni sociali, enormi a quelle latitudini: l’Aids dilagante, arrivato al 19% tra la popolazione adulta, la povertà, endemica nelle township, la criminalità.


Jaco Zuma, Nelson Mandela e Thabo Mbeki nel 2008 (Keystone)

Sotto la decennale guida di Zuma, un partito controverso, ma pur sempre simbolo di libertà, come l’African National Congress (Anc) ha perso ogni credibilità e il dodici per cento dei voti dai tempi di Thabo Mbeki, l’uomo che fece Zuma suo vice per poi vedersi fare le scarpe. Resta un credito enorme, figlio delle battaglie che l’Anc, Mandela in testa, fece negli anni della clandestinità e del dominio bianco, ma in diverse elezioni locali ha già perso dove sembrava impossibile. Resta un monolite che viaggia ben oltre il 50 per cento dei consensi, ma un monolite sempre più sporcato da chi avrebbe dovuto preservarlo.

Gli anni di Mandela furono euforici, luminosi e colorati. Non poteva essere altrimenti, perché quell’esempio di stoicismo, il valore delle idee e della resistenza estrema – mite e forte – che prendono il sopravvento sui soprusi non era solo uno spot per il Sudafrica e l’Africa tutta, ma per la razza umana.

A raccontare la faccia più nobile di quella medaglia ci sono film, documentari e una bibliografia più o meno lunga, a seconda della lingua e del Paese. La polvere sotto il tappeto, però, è talmente tanta che su quel tappeto ora si fatica a camminare: i processi a Winnie Mandela, seconda moglie di Madiba, le ricchezze accumulate da alcuni dei suoi ministri, il modo clientelare e autoreferenziale dell’Anc di perpetuare sé stesso badando a replicare i privilegi e non a estenderli, sono niente rispetto alla grandezza del messaggio di Mandela, eppure oggi sono molto più tangibili. L’eredità di quello scempio è diventata a sua volta scempio al quadrato. Ammesso che Zuma capisca.

Madiba stesso ammise di avere sottovalutato la diffusione dell’Aids; le cifre sulla disuguaglianza economica, migliorate mentre lui era in vita, sono man mano crollate. Zuma, non contento di aver incarnato il ruolo quasi teatrale del politico arruffone che banchetta e lascia le briciole al proprio popolo, è rimasto invischiato in qualsiasi bassezza, compreso un contestatissimo caso di stupro. Infine ha sfidato la Giustizia, non presentandosi alle udienze, infischiandosene dell’ultima condanna a 15 mesi per oltraggio alla Corte, sentendosi sempre e comunque al di sopra della legge. Messo alle strette si è infine costituito, come in un film, appena 40 minuti prima che scadessero i termini e che la polizia potesse andare ad arrestarlo. E c’è chi giura che sia già al lavoro sottotraccia per trovare un modo per uscirne, come sempre. Con l’arroganza dei potenti, di chi non sa fare i conti nemmeno con sé stesso.