Inflitti 4 anni di carcere all'imprenditore e 3 anni e 4 mesi al medico-dentista più espulsione dalla Svizzera per il raggiro milionario allo Stato
Ha iniziato l'imprenditore, riuscendo ad incassare indebitamene mezzo milione di franchi. Poi, fatto l'inganno, «egli ha istruito e persino consigliato il medico dentista». Il primo è stato condannato a 4 anni di carcere e il secondo a 3 anni e 4 mesi di detenzione. Per entrambi è stata pronunciata l'espulsione dalla Svizzera. È questa la sentenza pronunciata dalla Corte delle assise criminali di Lugano per la più grande truffa perpetrata nell'ambito della richiesta di crediti previsti dalla Confederazione per la pandemia. I due protagonisti, cittadini italiani, sono riusciti insieme ad ingannare lo Stato, incassando attraverso le loro società, ben 1 milione e mezzo di franchi.
Il giudice Amos Pagnamenta, presidente della Corte delle assise criminali, ha spiegato, in diritto, che la dottrina richiede che anche solo poche operazioni di inganno sono sufficienti a corroborare il reato di truffa. Soggettivamente i due imputati, a mente della Corte, sapevano di ingannare e attraverso documenti di autocertificazione hanno gonfiato le cifre d'affari delle loro società, riuscendo nel loro intento truffaldino. Per entrambi gli imputati i giudici hanno confermato il reato di truffa ripetuta e falsità in documenti.
La colpa è stata ritenuta gravissima dalla Corte: oltre 1 milione e mezzo l'entità del raggiro compiuto in tandem e di mezzo milione franchi ad opera del solo 'imprenditore. Biasimato, in particolare, il medico dentista che non aveva certo bisogno di denaro, dal momento che guadagnava per sua stessa ammissione più di 350 mila franchi all'anno - ha sottolineato il giudice Pagnamenta - nonché possedeva una Ferrari in leasing e una Porche in Italia che s'è guardato bene dal vendere per restituire parte del maltolto. «Gli imputati hanno agito per lucro, hanno minato gli aiuti predisposti dalla Confederazione, che non sono infiniti, sottraendoli a persone realmente bisognose. Con il loro comportamento, hanno minato la fiducia tra Stato e cittadino».
Gli imputati hanno allestito contabilità, compiuto incontri in banca, falsificato documenti: sull'arco di soli 8 mesi hanno compiuto ripetute truffe a sei zeri. «Hanno agito in periodo di crisi, approfittando di un ammortizzatore sociale destinato a chi davvero ne aveva bisogno».
Per la Corte la colpa più grave è dell'imprenditore: «il primo a commettere la truffa, inoltre su di lui pesa un precedente penale italiano che non ha sortito nessun effetto. Inoltre, ha dichiarato il presidente della Corte, «desta perplessità la gestione di una sua società utilizzata per le truffe al limite della legalità, che permetteva di evadere l'Iva».
Dal canto suo, «l medico-dentista si è adeguato al modo di agire truffaldino del correo, nei confronti del quale ha cercato di scaricare le responsabilità. Aveva una vita agiata, eppure non ha predisposto risarcimenti».
La truffa Covid - ha evidenziato la Corte - è pari a una truffa sulle assicurazioni sociali. Entrambi gli imputati dovranno risarcire lo Stato per le somme sottratte. Ognuno secondo le responsabilità. Interessi inclusi.
Ieri il procuratore pubblico, Daniele Galliano, aveva chiesto per i due imputati: 5 anni di carcere, a quella che è stata definita la «mente del raggiro», l'imprenditore 61enne del Mendrisiotto, e 4 anni per il medico-dentista, più l'espulsione, per entrambi i cittadini italiani, dal territorio svizzero. Gli avvocati di difesa, Costantino Castelli, in difesa del più giovane dei due imputati, si era battuto per una pena massima di 8 mesi sospesi con la condizionale, chiedendo il proscioglimento da tutti i reati contenuti nell'atto d'accusa; mentre l'avvocato Michele Rusca, per il principale accusato aveva chiesto una pena di 30 mesi, di cui 20 sospesi, per complicità in truffa.
Intanto, al Ministero pubblico quello approdato in aula nelle ultime ore non è l'unico caso di abuso nella richiesta di crediti Covid in piena pandemia. Di recente il procuratore generale aggiunto, Andrea Maria Balerna, ha riferito di più di 50 incarti aperti dalla Procura e dalla polizia cantonale. L'entità complessiva delle presunte truffe e dell'ipotetico danno allo Stato è dell'ordine di 10 milioni di franchi. Una parte del maltolto, circa il 30%, è stato recuperato grazie ai sequestri effettuati dagli inquirenti e a restituzioni alle banche. Le indagini hanno riguardato oltre 90 persone, delle quali 13 sono finite in carcerazione preventiva. Gli inquirenti lavorano a più ipotesi di reato: dalle false indicazioni per le istanze di credito, all'uso delle somme per obiettivi estranei a quelli delle misure di sostegno. Resta il fatto che quella approdata martedì davanti alla Corte delle assise criminali di Lugano, rappresenta la più grande truffa sui crediti Covid.