Berna non approva le soluzioni in materia di libera circolazione, protezione dei salari e aiuti di Stato, ma si intende proseguire la via bilaterale
Le congetture apparse negli scorsi giorni sui media si sono verificate: il Consiglio federale ha deciso oggi di non firmare la bozza di accordo istituzionale con l'Ue, nel frattempo informata di questa posizione.
Troppo grandi le divergenze tra le parti su alcuni punti dell'intesa, stando al governo, secondo cui la Confederazione ha fatto concessioni importanti a Bruxelles, trovandosi però di fronte ad ostacoli insormontabili per quanto attiene agli aspetti controversi come la protezione dei salari, gli aiuti di Stato e la direttiva sulla cittadinanza europea.
L'Esecutivo crede tuttavia che sia nell'interesse della Svizzera e dell'UE salvaguardare la collaudata via bilaterale e portare avanti con convinzione gli accordi esistenti, ha affermato davanti ai media il presidente della Confederazione Guy Parmelin, cui è toccato informare la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, della decisione odierna del Consiglio federale mediante lettera. Nonostante tutto, intendiamo avviare un dialogo politico con l'UE sul proseguimento della collaborazione.
Contemporaneamente, il Dipartimento di giustizia e polizia (DFGP) dovrà esaminare in che modo si potrebbero stabilizzare le relazioni bilaterali attraverso eventuali adeguamenti autonomi della legislazione nazionale.
Anche senza un accordo istituzionale, la Svizzera rimane comunque un partner affidabile e impegnato dell'UE, ha spiegato a sua volta il consigliere federale Ignazio Cassis. A tale riguardo, per quanto riguarda il secondo contributo elvetico al fondo di coesione europeo - 1,3 miliardi di franchi su dieci anni - il Consiglio federale si adopererà affinché il Parlamento sblocchi al più presto i fondi e si giunga rapidamente a una finalizzazione del memorandum d'intesa con l'UE.
I colloqui con Bruxelles non hanno permesso di trovare le soluzioni di cui la Svizzera aveva bisogno nei settori della direttiva sulla libera circolazione dei cittadini UE, della protezione dei salari e degli aiuti di Stato. In particolare per quanto riguarda la protezione dei salari e la citata direttiva permangono divergenze sostanziali, ha sottolineato Parmelin spalleggiato da Cassis.
Dal novembre 2018, quando l'Ue ha dichiarato chiuse le negoziazioni "unilateralmente" - ha puntualizzato Parmelin - non è stato possibile trovare un compromesso su questi tre aspetti che secondo il Consiglio federale rimanevano ancora aperti. "Aspetti che per noi hanno grande importanza", ha spiegato il ministro degli esteri ticinese.
Da parte elvetica, in ogni caso, sembra che non sia mancata la volontà di raggiungere un'intesa, per quanto l'impresa si presentasse complicata fin dall'inizio.
Le delegazioni elvetica ed europea hanno lavorato seriamente e impegno per trovare una soluzione su questi tre punti e, da parte nostra, abbiamo sempre presentato proposte concrete e risposte alle sollecitazioni di Bruxelles, ha affermato Cassis.
Tuttavia, nonostante l'impegno, alla fine abbiamo dovuto constatare che sussistono divergenze "sostanziali" soprattutto sulla libera circolazione. Stando a Cassis, l'Ue vuole estendere tale principio anche alle persone senza attività lucrativa, ciò che rischierebbe di mettere sotto pressione le nostre assicurazioni sociali.
Si tratta di un cambiamento di paradigma nella nostra politica migratoria che non piace alla maggioranza dei partiti e dei cantoni, ha aggiunto Cassis. Su questo punto Bruxelles non è pronta ad ammettere eccezioni.
Per quanto attiene alla protezione dei salari, benché la Svizzera e l'Ue siano in teoria d'accordo sul principio "a lavoro uguale salario uguale", sussistono differenze nella prassi, ha fatto notare il capo della diplomazia elvetica. Bruxelles non è disposta ad assicurare l'indipendenza della regolamentazione elvetica dagli sviluppi giuridici in seno all'Ue e dalla giurisprudenza della Corte di giustizia europea. Quanto agli aiuti di Stato, secondo Cassis si stava delineando un compromesso, vanificato tuttavia dall'impossibilità di trovare un denominatore comune sugli altri due.
Tenuto conto dei risultati delle trattative degli ultimi mesi condotte da parte elvetica dalla segretaria di Stato Livia Leu, alla fine abbiamo dovuto constatare che il margine di manovra politico era praticamente nullo, ha asserito Cassis.
E ciò benché la Svizzera, a suo dire, avesse fatto grosse concessioni all'Ue, per esempio per quanto attiene alla ripresa dinamica della legislazione europea e al ruolo della Corte di giustizia. Già il fatto di aver accolto nell'accordo istituzionale questo aspetto ha richiesto un'alta capacità al compromesso interna, che non si poteva strapazzare ulteriormente aggiungendovi anche elementi relativi alla libera circolazione o alla protezione dei salari. Qui si toccano interessi essenziali del Paese, dei partner sociali e dei Cantoni, ha spiegato il ministro degli affari esteri.
Cassis si è detto cosciente del fatto che la decisione odierna del Consiglio federale potrebbe avere anche aspetti negativi per il Paese. L'Ue ha più volte ribadito di non disposta a fare nuovi accordi per l'accesso al suo mercato interno e ad attualizzare quelli esistenti, come l'intesa sugli ostacoli al commercio per quanto attiene ai dispositivi medici.
Tuttavia, la Confederazione intende continuare a dialogare con Bruxelles affinché la Svizzera possa continuare a cooperare in ambiti come la ricerca, che non riguardano l'accesso al mercato comune. Da questo punto di vista, ha aggiunto, "vogliamo essere trattati su un piede di uguaglianza come gli altri Stati terzi".
Cassis auspica che gli attuali accordi - oltre un centinaio - continuino a venir applicati e, laddove necessario, la Svizzera farà la sua parte in ambiti di interesse comune, come la migrazione, la difesa dei diritti umani, la lotta alla povertà. "Siamo solidali e intendiamo rimanerlo", ha sottolineato il ticinese, facendo l'esempio del miliardo di coesione che si vuole sbloccare al più presto.
L'esecutivo intende mantenere e - qualora sia possibile e risponda al reciproco interesse - ampliare il partenariato con l'UE tramite i trattati bilaterali. Proporremo quindi all'UE di avviare un dialogo politico al fine di sviluppare e attuare un'agenda condivisa sulla futura collaborazione, cercando di risolvere insieme problemi specifici, garantendo così l'applicazione quanto più fluida possibile degli accordi esistenti, ha insistito Cassis.
Frattanto, il DFGP dovrà esaminare, assieme agli altri dipartimenti, la possibilità di adeguare autonomamente la legislazione nazionale allo scopo di stabilizzare le relazioni bilaterali, ha dal canto suo dichiarato Karin Keller-Sutter.
L'Ufficio federale di giustizia dovrà individuare le attuali divergenze tra il diritto dell'UE e l'ordinamento giuridico svizzero e chiarire dove l'armonizzazione potrebbe essere utile e di reciproco interesse. Si tratterà di un processo autonomo che coinvolgerà le parti sociali e i Cantoni, ha spiegato la ministra di giustizia e polizia.
"Ci rammarichiamo della decisione del governo svizzero visti i progressi compiuti negli ultimi anni per trasformare in realtà l'accordo quadro istituzionale": lo scrive la Commissione europea in una nota dopo la decisione comunicata dalla Svizzera di terminare unilateralmente i negoziati.
L'accordo, sottolinea la Commissione, era concepito come "il fondamento" per migliorare e sviluppare le relazioni Ue-Svizzera nel futuro: il suo scopo principale era "assicurare che chiunque operi nel mercato unico, cui la Svizzera ha accesso in misura significativa, affronti le medesime condizioni. È una questione di equità e di certezza giuridica.
Avere accesso privilegiato al mercato unico significa rispettare le stesse regole e i medesimi obblighi", spiega Bruxelles, ricordando che per questo, nel 2019, l'Ue ha insistito per rendere l'accordo quadro istituzionale "essenziale per la conclusione di possibili accordi futuri sull'ulteriore partecipazione della Svizzera al mercato unico". Questo accordo "avrebbe consentito un consolidamento dell'approccio bilaterale e garantito la sua sostenibilità e ulteriore sviluppo".
Ora, precisa la Commissione, "senza questo accordo, questa modernizzazione delle nostre relazioni non sarà possibile e i nostri accordi bilaterali invecchieranno inevitabilmente. Sono passati 50 anni dall'entrata in vigore dell'Accordo di libero scambio, 20 anni dagli accordi bilaterali I e II. Già oggi non sono al passo con ciò che dovrebbero e potrebbero essere le relazioni Ue e Svizzera".