Un nuovo 'focus' della mostra (in crescendo) sulla bellezza classica dialoga con visitatori e passanti fuori le mura. Attesa un'ultima sorpresa
Sullo spiazzo di fronte al m.a.x. museo a Chiasso sono comparse delle singolari presenze. Volti-maschere colorati che in una manciata di minuti conquistano l'attenzione di ragazzini e passanti. Cosa ci fanno qui?, sembrano interrogarsi, quanto mai stupiti. Salvo poi scoprire che quei profili classici nascondono, in realtà, una sedia avvolgente in plastica riciclata nella quale sprofondare osservando indisturbati il panorama. Questi oggetti di design, del resto, non sono capitati lì per caso. Sono il nuovo 'focus on' della mostra che da inizio marzo (e sino al 12 settembre) conduce i visitatori attraverso la reinterpretazione del classico, fra Settecento e Ottocento. Sì, perché anche le poltrone Nemo ideate dall'architetto-designer italiano Fabio Novembre - che a giugno sarà ospite nella cittadina - riprendono i tratti della bellezza classica: ed ecco il passato specchiarsi nel presente. Di sicuro una forma d'espressione democratica, questa, che quasi a insaputa dello stesso gruppo di 'esploratori' casuali attratti sul piazzale porta al filo rosso che attraversa l'esposizione, lì oltre la soglia del museo.
Una volta di più è «l'arte che esce dal m.a.x. museo», ci ricorda la direttrice Nicoletta Ossanna Cavadini, che da tempo e con tenacia persegue questa missione. Adulti e bambini conquistati dalle poltrone bianche, rosse e nere - sei per ora - faranno il salto dalla 'urban art' alle riproduzioni di Johan Joachim Winckelmann o Giovanni Battista e Francesco Piranesi? Chissà. Una cosa è certa: l'intuizione di proporre una mostra in divenire è ingegnosa. A Chiasso hanno saputo volgere le difficoltà del Covid-19 in risorsa. Del resto, un primo risultato lo si è ottenuto: si voleva dialogare con il pubblico e ci si è riusciti.
«L'intento - conferma la direttrice - è aprire al messaggio culturale». L'importante è cominciare con i piccoli (fra i 3 e i 12 anni), che domenica (dalle 15) in occasione della Giornata internazionale dei musei (a ingresso gratuito) saranno protagonisti di un laboratorio didattico che li misurerà con il decoro di una classica maschera bianca; premio una foto su una delle poltrone Nemo. Nell'attesa, tra chi, fuori sullo spiazzo, si è già impossessato degli oggetti di Fabio Novembre scatta il selfie di rito.
Sarà una bella lotta capire cosa, tra le sedie-maschere e i grandi candelabri di Piranesi, riceverà più 'mi piace'. Di certo il m.a.x. museo sa sorprendere, sempre. Dentro le mura del museo la promessa del viaggio nella reinterpretazione del classico conciliata da una musica del Settecento riserva non poche sorprese e in un attimo anche il visitatore si trasforma in un viaggiatore del Grand Tour alla scoperta delle testimonianze storiche riportate alla luce dagli scavi archeologici, delle vedute d'epoca e delle immagini della contemporaneità di Winckelmann, Piranesi, ma pure di Luigi Rossini. Le quasi duecento incisioni esposte, le stampe acquarellate, le litografie e le cromolitografie dicono molto della passione e della vita dei loro autori. Ma qui è dovuta una confessione: non sarebbe la stessa cosa senza il frutto dell'intesa fra il m.a.x. museo e il Museo archeologico nazionale di Napoli, che ha permesso di godere di alcuni tesori senza spostarsi da casa. L'incontro con i due candelabri di Piranesi figlio (datati 1784 circa) è da ricordare quanto i loro imponenti due metri 80 per 640 chili l'uno.
L'effetto sorpresa è assicurato, quanto sorprendente è la filosofia che sta dietro quello che viene definito 'pastiche'. Ed ecco che il rigore descrittivo di Winckelmann - che nulla lascia all'estro personale ma che vanta il primato nella comunicazione d'arte per immagini -, che ci guarda dalle pareti restituisce il contrasto (reale) di visioni fra i due studiosi. Per Piranesi (padre) non si poteva divulgare il patrimonio classico senza reinterpretarlo, a tal punto da 'mixare' a incastro reperti ritrovati durante gli scavi - in particolare di Villa Adriana a Tivoli (Roma) di cui restituisce una mappa «enciclopedica» - a manufatti realizzati in atelier, rivendicando una propria creatività. Così come all'epoca quei candelabri erano destinati a viaggiare - uno venne acquistato da re Gustavo III di Svezia - così oggi approdano a Chiasso grazie a un lavoro certosino.
Le peculiarità della mostra sono, però, diverse e tutte meritevoli. È il caso delle due teste, la prima d'atleta la seconda di Apollo, prestate sempre dal Museo archeologico nazionale di Napoli e al centro di altri due 'focus on' in successione. Presenze che dialogano con le vedute e le pubblicazioni (anche di souvenir), a misura per più tasche, destinate ai viaggiatori del Grand Tour, che una volta a casa potevano sfoggiarle come ricordo del loro andare per il mondo. Anche il girovagare dei visitatori del m.a.x. museo, d'altro canto, non è ancora finito. C'è una tappa - e un ultimo 'focus on' - da svelare, grazie a un'altra collaborazione, questa volta stretta con il Museo nazionale del cinema di Torino. Presto nella sala finale farà la sua apparizione un poliorama panoptico, una sorta di scatola con la quale nei primi decenni dell'Ottocento chi non poteva permettersi di viaggiare aveva la possibilità di vedere Roma attraverso delle vedute acquarellate.
Lasciamo il museo con gli occhi pieni di bellezza. Fuori ci avvicinano con una curiosità da soddisfare: «Ma sono in vendita queste sedie?». Non resta che spiegare che sono parte di una mostra. L'ultima parola se la prende una bambina che passa da una poltrona-maschera all'altra: «Sono bellissime». Conquistata.