La cittadina bernese si avvia verso il canton Giura tra speranze, timori e rancori non del tutto sopiti. Nella vicina Belprahon non si esclude alcuna opzione.
«Quale votazione?» Corinne accarezza un vecchio Golden Retriever nel giardino di casa. Il trionfo degli autonomisti, tre giorni prima, sembra non averla sfiorata. Non è proprio così. «Ah sì, Moutier. Mah... Io sono neutrale. In famiglia c’è già chi sta da una parte e chi sta dall’altra». «Però se avessi potuto votare, avrei detto ‘no’». Nel Giura avranno «più tasse, più burocrazia». «Trovo un po’ stupido cambiare. Le cose hanno sempre funzionato bene». Siamo a Roches, villaggio di 200 anime lungo la strada che a Moutier si infila nelle omonime ‘Gorges’ (gole) e che in 15 minuti porta a Delémont, capitale giurassiana. Corre qui la nuova ‘frontiera’ che dal 2026 continuerà a tenere ‘lontana’ la Moutier neo-giurassiana dal cantone al quale ha scelto di appartenere. Qui buona parte degli abitanti – agricoltori, essenzialmente – non ne vuole sentir parlare di autonomismo. Roches sta bene nel canton Berna.
Anche quattro chilometri più a sud c’è chi non si lamentava. Maria do Carmen gestisce un negozio di alimentari portoghesi a Moutier, sulla Place de la Gare, di fronte alla stazione. Da pochi anni in Svizzera, non ha il passaporto. Avrebbe votato «volentieri» se avesse potuto. Lo stesso a suo dire avrebbero fatto «altre persone» straniere. Trova «un po’ strano» che abbia vinto il ‘sì’. È «molto contenta» di stare nel canton Berna, dove ci sono «molte cose buone» e «le tasse, le targhe e la cassa malati sono meno care». Ad ogni modo, dice, la vita nella futura ‘Moutier Ville jurassienne’ «non cambierà granché».
Scia pandemica
Domenica gli autonomisti/separatisti sono usciti trionfanti dalla votazione sull’appartenenza cantonale, resasi necessaria dopo l’annullamento per irregolarità di quella del 18 giugno 2017. A metà settimana, in questa tranquilla cittadina industriale di 7’400 abitanti restano i vessilli giurassiani alle finestre e ai balconi, qua e là i manifesti ‘NON Merci’ e ‘Oui – Tourner la page’ (voltare pagina), la bandiera giurassiana e lo smile sorridente con gli occhiali da sole (il marchio della campagna per il ‘no’) sugli speroni rocciosi all’imbocco delle Gorges de Moutier. Niente di che. Nella redazione locale del ‘Quotidien Jurassien’, già martedì Pascal Bourquin – euforico per aver scovato un vecchio militante autonomista che dal 1959 ha partecipato a tutte le otto votazioni sulla ‘Question jurassienne’ – scrive un articolo sui conti del Canton Berna; e nell’edizione del giorno dopo non ci sarà nulla sul voto.
A tenere banco è lo strascico sanitario dei festeggiamenti. Le autorità comunali invitano la popolazione a farsi testare contro il coronavirus prima delle festività pasquali. Domenica sera migliaia di persone – molte senza mascherina – si sono accalcate sulla Place de la Gare e poi davanti all’Hôtel de Ville per festeggiare la vittoria del ‘sì’. Si è andati avanti in piccoli gruppi fino all’alba. La polizia ha chiuso entrambi gli occhi. Il portavoce della sanità bernese dichiara di temere la formazione di un focolaio. A Moutier in questi giorni si vive col fiato sospeso. E una volta tanto non per la politica, vien da dire.
‘Fare la pace’
Anche Laurent Coste ha festeggiato fino a notte inoltrata. S’è già fatto testare una volta, lo farà una seconda. Nel segretariato del Mouvement autonomiste jurassien (Maj), sul retro dell’Hôtel de la Gare, il portavoce del comitato ‘Moutier, Ville jurassienne’ spiega a ‘laRegione’ che «non tutti coloro che hanno votato ‘no’ sono dei pro-bernesi sfegatati. Una buona parte semplicemente non vedeva la necessità di cambiare».
«Imparare a costruire assieme: questo dovremo fare», secondo il presidente del Maj e consigliere comunale Ppd. “Rispetto reciproco”, “moderazione”, “guardare avanti”, “calmare gli animi”, “lasciarsi alle spalle i fantasmi del passato”: da parte dei vincitori gli appelli alla riconciliazione si sprecano. Si tratta né più né meno di «fare la pace», dice il municipale Valentin Zuber (Partito socialista autonomo). Mica facile. Qui le ferite del passato sono ancora aperte. Pascal Bourquin ne sa qualcosa. Figlio di neocastellani emigrati per lavoro, il giornalista ricorda come suo padre nei ‘caldi’ anni Settanta sia stato minacciato per le sue preferenze politiche. «“Appiccheremo il fuoco a casa tua”, gli hanno detto. Lo vedo ancora, quella sera a casa, col fucile in mano». «Vivevamo sempre nella tensione», racconta. Poi si sfoga martellando lo slogan della campagna per il ‘sì’: «Voltare pagina! Voltare pagina! Voltare pagina!».
‘Un controsenso assoluto’
‘Voltare pagina?’ Ditelo a Marcelle Forster. È patrizia di Moutier dal 1450. Dalla terrazza di casa sua, dove una bandiera dell’iniziativa ‘per multinazionali responsabili’ ricopre un tavolo, lo sguardo spazia sulle montagne che circondano la cittadina sottostante. Due giorni dopo il voto, questa elegante signora, già municipale socialista e granconsigliera, non riesce ancora a mettersi il cuore in pace. Ammette di provare sempre «un po’ di rabbia» nei confronti di chi, «del tutto democraticamente, ha voluto «togliere Moutier dal suo entroterra», «sradicarla dal suo contesto». «Più guardo la cartina, più mi dico: come abbiamo potuto fare una cosa simile?». «Un’enclave giurassiana in territorio bernese» è un «controsenso assoluto». Visto che di mezzo c’è il villaggio di Roches, l’unica continuità territoriale con il nuovo cantone è data dal bosco, sulla ‘Montagne de Moutier’, dove tra l’altro vivono contadini perlopiù non separatisti. Ciò che l’addolora è che i comuni attorno a Moutier vengano abbandonati. Una dozzina di anni fa si erano espressi in una votazione consultiva a favore di una fusione con Moutier. Ma poi non se n’è fatto nulla. «Era il ‘mio’ progetto: fare una città di 10mila abitanti, sviluppare sinergie con il canton Giura, ma anche col resto del Giura bernese e Bienne. Poi però le autorità di Moutier si sono ritirate quando si sono rese conto che avrebbero perso la maggioranza separatista». «Moutier è sempre stata una spina nel fianco del Giura bernese: qui molti progetti si sono arenati a causa della ‘Question jurassienne’», conferma il caporedattore del ‘Journal du Jura’ Philippe Oudot. «La politica di Maxime Zuber [sindaco autonomista di Moutier dal 1995 al 2016, n.d.r.] è sempre stata quella di isolare la cittadina» dal resto del Giura bernese, gli fa eco l’altro caporedattore Pierre-Alain Brenzikofer.
Tra i pro-bernesi non tutti la prendono male. Molti sono sollevati. «Conviviamo con questa storia da talmente tanto tempo, sin dall’infanzia. Sono contenta che sia finita», dice a ‘laRegione’ Virginie Heyer. La sindaca di Perrefitte (comune limitrofo di Moutier), deputata Plr al Gran Consiglio e presidente del Consiglio del Giura bernese (Cjb), intravede prospettive interessanti: «Spesso negli ultimi anni, quando si parlava di progetti a livello regionale, si diceva ‘aspettiamo il voto di Moutier’. E così si restava un po’ in stand-by, anche se diversi progetti (la Strategia economica 2030, una fondazione per la promozione del Giura bernese, ecc.) si sono concretizzati, a testimonianza di una vera volontà di ridare slancio alla regione, di promuoverne un’immagine aperta, innovativa e non politicizzata».
«Bisogna costruire qualcosa di nuovo, col canton Giura». Dal suo studio che domina la Place de la Gare, Francis Koller (che ha «sempre risolutamente voluto evitare» di esprimersi sulla ‘Question jurassienne’) afferra un classificatore con l’etichetta ‘Moutier, transfert République et Canton du Jura’. Dentro ci sono delle «idee», messe nero su bianco negli ultimi anni. Non ne dirà di più. L’ex dirigente in pensione della Tornos, fiore all’occhiello dell’industria locale, guarda invece fuori dalla vetrata, verso Place de la Gare: «C’era una forza lì domenica... Va canalizzata verso qualcosa di positivo. Sono stati soprattutto i giovani a volere qualcosa di nuovo. Ed è giusto: perché il futuro di una città è prima di tutto affare loro. Spetta a loro adesso tirare il carro», afferma l’ex presidente della Cep (la Camera dell’economia pubblica del Giura bernese), fondatore nel 1989 del Siams, il salone della microtecnica che si tiene ogni due anni a Moutier.
Fuori ‘Question’?
L’ospedale (quasi un doppione di quello della vicina Delémont); i difficili negoziati che si prospettano tra i due cantoni sull’acquisizione del patrimonio immobiliare bernese a Moutier; quelli tra le autorità cittadine e il nuovo cantone per l’insediamento dei futuri servizi dell’amministrazione giurassiana: le sfide, anche a breve termine, non mancano. Sul piano istituzionale la via però è tracciata: elaborazione di un concordato intercantonale, approvazione da parte dei rispettivi legislativi cantonali e dagli elettori, nullaosta finale da parte delle Camere federali. Nessuno si aspetta intoppi.
Diverso il discorso per quanto riguarda la ‘Question jurassienne’. Il governo bernese la ritiene definitivamente chiusa: questa settimana ha fatto sapere che il voto di Moutier è stato l’ultimo di un comune bernese al riguardo. Marcelle Forster e altri temono tuttavia che gli autonomisti cerchino d’ora in poi di «rosicchiare i paesi» attorno a Moutier, indebolendo ulteriormente il «cruciale ruolo di ponte» che riveste il canton Berna, bilingue, tra Svizzera tedesca e Romandia. Alcuni (tra questi, il consigliere nazionale giurassiano Pierre-Alain Fridez del Ps) speculano su future votazioni nei comuni. Il presidente del Maj Laurent Coste taglia corto: ammette che la sorte di Belprahon «non è molto giusta», ma «oggi noi non abbiamo rivendicazioni territoriali».
Belprahon
Al centro dell’attenzione c’è Belprahon, appunto. Il 17 settembre 2017 gli abitanti del piccolo comune limitrofo di Moutier hanno deciso con sole sette schede di scarto (121 voti contro 114) di restare nel canton Berna. Un ricorso contro l’esito del voto è stato respinto in seguito dalla prefetta del Giura bernese. «Continuiamo a credere di non aver potuto votare nelle condizioni ideali, in piena cognizione di causa, dato che erano pendenti i ricorsi contro la votazione del giugno 2017 a Moutier, il cui risultato è stato poi annullato», dice Aude Sauvain. Se nella vicina cittadina «la ‘Question jurassienne’ è chiusa», a Belprahon «resta un punto interrogativo», fa notare Sauvain. La donna è stata eletta lo scorso novembre in municipio su una lista autonomista che ha fatto in pratica il pieno dei voti. Ritiene «legittimo» rilanciare l’ipotesi di una nuova votazione comunale. «Il comitato ‘Belprahon dit oui’ e l’esecutivo comunale autonomista sono solo all’inizio della riflessione: nessuna opzione viene esclusa, vogliamo mantenere il massimo dei legami possibili con Moutier».
Moutier e Belprahon «sono così vicini che è illogico averli in due cantoni differenti», commenta Andreas Gross. Nella sua casa di St. Ursanne (Ju), sulle rive del placido Doubs, il politologo ed ex consigliere nazionale nazionale socialista (1991-2015) indica una grande cartina appesa alla parete, vicino alla porta d’entrata. Illustra il territorio dell’antico principato vescovile di Basilea, che nel 1815 al Congresso di Vienna le potenze della ‘Santa Alleanza’ attribuirono al canton Berna: per molti, la miccia che accese la ‘Question jurassienne’. Lo zurighese è convinto che il voto di Moutier non la spegnerà definitivamente. «Anche in futuro – dice – potrebbero esserci comuni che vogliono cambiare cantone. Si potrebbe ad esempio lanciare ancora un’iniziativa popolare a livello cantonale per cambiare la costituzione di un cantone». A Moutier «si è chiuso un capitolo. Ma non è la fine della storia. In una democrazia niente è definitivo».