Secondo il Vescovo di Lugano il divieto di benedire le coppie omosessuali può generale fraintendimenti, ma non cancella i passi avanti della Chiesa
«Un cortocircuito comunicativo, non un punto d’arresto nell’accoglienza degli omosessuali». Il Vescovo della Diocesi di Lugano, Monsignor Valerio Lazzeri, è critico nei confronti della forma scelta dalla Chiesa per impedire la benedizione delle unioni omosessuali, ma ribadisce comunque l’importanza di tenerle ben distinte dal sacramento del matrimonio.
Prima di parlare con lui, però, un po’ di contesto: la settimana scorsa un ‘responsum’ della Congregazione per la Dottrina della Fede ha raffreddato gli animi di chi spera in una Chiesa prossima all’accettazione non solo civile delle unioni omosessuali. L’organo – conosciuto fino al 1908 come Santa Inquisizione – ribadisce l’obbligo di impartire benedizioni solo nel caso in cui “ciò che viene benedetto sia oggettivamente e positivamente ordinato a ricevere ed esprimere la Grazia”. Non rientrerebbero in questa fattispecie le unioni omosessuali, in quanto ai “disegni di Dio iscritti nella Creazione e pienamente rivelati da Cristo Signore” non risponderebbero “relazioni o partenariati anche stabili, che implicano una prassi sessuale fuori dal matrimonio”.
Il timore è anche quello di svilire il sacramento matrimoniale, mentre secondo lo stesso Papa Francesco “non esiste fondamento alcuno per stabilire analogie, neppur remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia”. Per essere ancora più chiari: la Chiesa “non benedice né può benedire il peccato”; semmai “benedice l’uomo peccatore, affinché riconosca di essere parte del suo disegno d’amore e si lasci cambiare da Lui”. Una posizione controversa che ha visto alzarsi voce critiche anche dall’interno della Chiesa.
Monsignor Lazzeri, in questi giorni abbiamo sentito l’opinione di molti credenti gay che convivono stabilmente coi loro partner: la delusione è palpabile. Cosa si sente di dirgli?
Anzitutto, il ‘genere letterario’ del responsum può facilmente ingenerare dei fraintendimenti: la forma della risposta secca a una domanda – sì o no – costringe a toni che possono far presagire una chiusura definitiva e generano una comprensibile delusione. Io stesso avrei preferito forme e toni diversi, che inserissero il tema in un contesto più ampio e aperto all’ascolto.
Qui però non si tratta solo di questioni formali. Il documento riporta le parole di Francesco secondo il quale per Dio “siamo più importanti di tutti i peccati che noi possiamo fare”. In che senso l’omosessualità – e più in generale, suppongo, il sesso fuori dal matrimonio – sarebbe un peccato?
Chiaramente l’omosessualità in quanto orientamento non è un peccato, lo dice anche il Catechismo. D’altronde non coincide neppure col sesso fuori dal matrimonio: ci sono omosessuali credenti che scelgono di astenersi dai rapporti sessuali. Altri invece non fanno questa scelta: il loro è un percorso impegnativo e non privo di interrogativi. Dobbiamo accettare anche questo vissuto nella misura in cui ci si impegna a crescere nella relazione e nella fede. Chiudere il discorso parlando immediatamente di peccato rischia di interrompere il dialogo. Prima di tutto bisogna dare la possibilità a ciascuno di esprimere e far conoscere la sua esperienza di fede, dandogli la possibilità di farla crescere e maturare.
Fatto sta che proprio di peccato si parla nel responsum.
Il tema viene effettivamente evocato. Ricordiamoci però che si tratta di un documento limitato a una questione liturgico-rituale specifica. La questione implica un percorso molto più ampio. Meglio sarebbe stato, forse, motivare la risposta negativa, limitandosi a ribadire la sostanziale differenza tra il sacramento del matrimonio e le forme di convivenza omosessuale, tra la benedizione delle nozze di un uomo e di una donna e qualcosa di ben diverso. La differenziazione non dovrebbe necessariamente implicare discriminazione.
La differenza quale sarebbe?
Sull’unione di un uomo e di una donna c’è la luce della Parola di Dio rivelata. Questa non la troviamo a proposito dell’unione tra persone dello stesso sesso, di per sé non orientata alla generazione della vita. Dal punto di vista della Chiesa solo il matrimonio tra uomo e donna può essere ‘sigillato’ da un sacramento.
Nel documento si definisce l’omosessualità una “tendenza”. Cosa si intende? E perché non riconoscerla invece come una dimensione naturale e inalienabile vissuta da tanti?
Non so quale sia il termine migliore per definire l’omosessualità, se “tendenza” oppure dimensione naturale e inalienabile. La discussione a questo proposito, dal punto di vista scientifico, rimane aperta.
Proprio parlando di omosessualità, Papa Francesco pronunciò una volta parole che molti hanno visto come la cifra del suo intero pontificato: “Chi sono io per giudicare?” Possiamo considerare quello della settimana scorsa un passo indietro? Ha ‘vinto’ l’ala più conservatrice, ‘ratzingeriana’ del Vaticano?
Non penso. La spiegazione più semplice è forse che queste parole di Papa Francesco, estrapolate dal contesto, sono state lette e amplificate al di là del loro significato reale, donde la successiva delusione. ‘Chi sono io per giudicare?’ significa accogliere queste persone, accompagnarle e intraprendere con loro un cammino di fede. Questo, però, non implica che li si debba benedire come se si trattasse di un matrimonio.
Se un parroco della Sua Diocesi dovesse ‘disubbidire’ benedicendo un’unione omosessuale e Lei venisse a saperlo, come reagirebbe?
Anzitutto gli chiederei le sue motivazioni, dando per scontato che non abbia compiuto quel gesto per mania di protagonismo o per una fuga in avanti. Approverei il suo desiderio di dare sostegno e vicinanza a dei figli di Dio, ma gli ricorderei che per il momento la disciplina della Chiesa proibisce la benedizione. Restano aperte altre strade: l’amicizia, la preghiera, la condivisione della parola di Dio.
La Diocesi di San Gallo sollecita da anni una maggiore apertura e ha immediatamente contestato la risposta della Congregazione. Secondo loro nessuno può essere escluso da una benedizione ed è ingiusto definire “peccatore” un intero gruppo umano. Il vescovo di Anversa è stato ancora più duro: “Provo vergogna per la mia Chiesa”, ha detto, “si benedicono animali, automobili, edifici, rosari e medaglie. È mancanza di rispetto”. Cosa risponde?
Non si può rischiare, effettivamente, di etichettare un intero gruppo umano in quanto tale come peccatore. Però, va anche detto che il termine benedizione può creare confusione. Ed è proprio su questo che bisognerebbe fare maggiore chiarezza.
Nel responsum si precisa che “Dio ama ogni persona e così fa la Chiesa”, e si ribadisce l’invito ad “accogliere con rispetto e delicatezza le persone con inclinazione omosessuale”. Vista la negazione della benedizione, non le pare ipocrita?
Capisco che possa essere percepito così: il documento cerca di ovviare al limite della forma del responsum inserendo frasi che in effetti possono risultare retoriche. Resta però l’impegno che dovremmo davvero prenderci nel confronto e nell’ascolto di questi credenti.
Secondo alcuni osservatori la Chiesa stigmatizza non solo le unioni omosessuali, ma ogni forma di sessualità extramatrimoniale. Sintomo di una Chiesa che stenta ancora ad aprirsi al secolo?
L’immagine di una Chiesa nemica della sessualità è molto dura a morire, si sono accumulati molti fraintendimenti che certi cortocircuiti comunicativi incentivano. Ma non siamo a un punto d’arresto, credo anzi che sulla sessualità la Chiesa sia in cammino per far capire la ricchezza che il Vangelo porta anche a questa realtà. Sono stati fatti grandi passi avanti, ricordo che già Giovanni Paolo II definì la sessualità “liturgia dei corpi”.
Anche quella omosessuale è liturgia dei corpi?
Il discorso ufficiale della Chiesa chiede su questo punto una discussione più approfondita. È in gioco il significato generale della sessualità nel piano di Dio. Si può osservare, per esempio, come il matrimonio in sé stesso non basti a far scattare la capacità di vivere la sessualità come linguaggio d’amore. Qui usciamo dal discorso puramente sacramentale per affrontare una realtà enorme e in parte inafferrabile, dato che come diceva il filosofo Paul Ricoeur “l’eros è irriducibile al logos”, alla ragione. A complicare la discussione, inoltre, ci sono le diverse sensibilità culturali e sociali, che non possono essere ignorate all’interno della Chiesa universale. Basti pensare alla differenza di mentalità tra Europa, Africa o Asia.
Eppure è proprio altrove che gli omosessuali sono più perseguitati. Potrebbe essere importante la loro esplicita difesa da parte della Chiesa.
È vero, ma non possiamo neppure imporre altrove la nostra cultura europea. Dobbiamo lavorare insieme, altrimenti verremmo accusati di colonialismo e imperialismo.
L’ex direttore del ‘Giornale del popolo’ Giuseppe Zois ha scritto sul ‘Caffè’: “Una chiesa ‘ospedale da campo’, nella visione di Bergoglio, deve chinarsi come il samaritano sulle molte Gerico d’oggi. Occorre mettere vino nuovo in otri nuovi. Tradotto: cambiare le modalità di giudicare”. Cosa ne pensa?
Sono sostanzialmente d’accordo, c’è un percorso ancora da fare in un contesto che ci presenta situazioni inedite, come lo è la realtà stessa delle coppie di credenti omosessuali. In questo senso, dobbiamo ascoltarci reciprocamente e porre le giuste domande, evitando di rimanere bloccati da questioni importanti, ma allo stesso tempo parziali, come quella della possibilità di dare una benedizione alle coppie omosessuali. Non è con un gesto liturgico-rituale che si risolvono i problemi più profondi, che si pongono in questi casi.