Il catalano Pablo Hasél si era barricato dentro l'Università di Lleida dopo la condanna per i suoi tweet offensivi contro la monarchia e lo Stato
Rapper non fa rima con Twitter. Almeno a giudicare quanto sta succedendo in Spagna a Pablo Hasél, nemico giurato dell'ex re Juan Carlos e di tutta la dinastia reale. Il cantante catalano, che sembra un personaggio uscito da un episodio della “Casa di Carta”, ha messo nel mirino – prima nei suoi brani e poi sui social – tutto quel che ha che fare con lo Stato spagnolo, per lui iniquo, antidemocratico e – per dirla con parole sue – fascista.
La sua battaglia personale e – via via – sempre più pubblica, si è spostata da internet alle aule di tribunale sino all'ultima trincea, non figurata, ma reale. Quella tirata su dai suoi sostenitori, con tanto di barricate, all'Università di Lleida, in Catalogna, a 150 chilometri da Barcellona. Lì sono andati ad arrestarlo. O, come sostiene lui, a sequestrarlo.
"Non ci fermeranno, non ci zittiranno mai, morte allo Stato fascista". Queste le parole che Hasél - al secolo Pablo Rivadulla Duro, 33 anni - ha rivolto agli agenti al momento dell'arresto dopo la condanna a nove mesi di carcere per “apologia di terrorismo” e “vilipendio della monarchia e delle istituzioni dello Stato”. Le autorità giudiziarie avevano emesso nei suoi confronti un ordine d'ingresso volontario in carcere valido dieci giorni, con scadenza fissata alle 20 di venerdì scorso. Ad Hasél, però, non è mai passato per la testa di obbedire e presentarsi alla porta. Consegnarsi spontaneamente avrebbe equivalso a “un'umiliazione”. Anzi, sapendo che il tempo stava stringendo, ha pubblicato un video durissimo contro l'attuale re Felipe, in cui mostra la distanza tra le parole e gli atti del monarca, definito un tiranno. I mossos d'esquadra – la polizia catalana– hanno aspettato fino a ieri prima di muoversi, sapendo del clamore mediatico della vicenda. Davanti alle barricate tirate su dal rapper non c'era però scelta. Alle 8.30 l'inevitabile sfondamento e poi l'arresto di Hasél, subito trasferito nel carcere della città catalana.
Il rapper era stato condannato dal tribunale dell'Audiencia Nacional nel 2018 per alcuni tweet e video caricati su Youtube. Tra le fasi contestate ce ne sono alcune che inneggiano a gruppi terroristi, come gli indipendentisti baschi dell'Eta, e incitano a compiere azioni violente contro membri di due storiche formazioni politiche, il Partito Popolare e il Partito Socialista, con tanto di nomi e cognomi dei bersagli da colpire. Obiettivo preferito delle sue invettive è l'ex re Juan Carlos, definito “boss mafioso”, “parassita”, “supercretino” e “tiranno ubriaco” con tanto di canzone dedicata e intitolata "Juan Carlos el Bobón” (“Juan Carlos l'imbecille"), giocando con l'assonanza con il nome della casata reale, Borbón.
Per i magistrati i suoi testi rappresentano un'azione “diretta contro l'Autorità dello Stato nelle sue diverse forme, che le disprezza e sminuisce, alludendo alla necessità di andare oltre con comportamenti violenti, senza esclusione del ricorso al terrorismo”, così almeno recita la sentenza di tre anni fa. In un primo momento la condanna prevedeva una pena di due anni e un giorno di carcere, più una multa di 24‘000 euro, alzata infine a 30 mila. Nel settembre dello stesso anno, una sala d'appello dello stesso tribunale l'ha ridotta a nove mesi, dopo aver concluso che i messaggi del rapper non comportavano “un reale rischio” per le persone.
Il caso Hasél ha incendiato in Spagna il dibattito sui limiti della libertà d'espressione. La scorsa settimana centinaia di artisti, tra cui il regista Pedro Almodóvar e l‘attore Javier Bardem, hanno firmato un manifesto in favore della sua libertà. La portavoce del governo, la socialista María Jesús Montero, ha sostenuto come la condanna mancasse totalmente di proporzionalità. E forti critiche sono arrivate anche da Podemos, l'altra formazione della coalizione di sinistra al potere in Spagna. Su Twitter, il partito ha ripreso una frase pronunciata la settimana scorsa dal suo leader Pablo Iglesias, attualmente vice presidente dell'esecutivo di Pedro Sánchez, con la quale sosteneva che nel Paese “non c'è piena normalità democratica”. Riferendosi non solo ad Hasél, ma anche ai leader indipendentisti catalani in prigione e a quelli all'estero inseguiti da ordini d'arresto firmati da Madrid: in primis l'ex presidente catalano Carles Puigdemont. Podemos ha quindi chiesto l'indulto per Hasél e ha presentato una proposta di riforma della legge sulla libertà d'espressione.
Poche ora prima, a Gaza, un altro rapper, Hussam Khalaf, è stato convocato dalla polizia di Hamas dopo aver pubblicato su Facebook un testo giudicato offensivo nei confronti delle forze dell'ordine. Secondo fonti locali al termine di un interrogatorio il cantante è stato poi rilasciato. Insomma, altre latitudini, stessa musica.