Tran To Nga, 78 anni, ex combattente e ora attivista, ha fatto causa a 14 multinazionali. Vuole che venga riconosciuto il reato di ecocidio
Tran To Nga è la nuova Erin Brockovich. Anche se di nuovo c’è ben poco in questa storia che va avanti da più di mezzo secolo, figlia di una guerra finita, ma mai davvero conclusa, quella del Vietnam. Una storia iniziata nel 1966, quando l’attivista americana famosa per aver costretto a un maxi-risarcimento per danni ambientali la Pacific Gas & Electric (colosso apparentemente intoccabile dell’energia Usa), era appena nata. Tra To Nga, oggi 78enne, ma all’epoca giovane donna franco-vietnamita arruolata nella Resistenza, fu sorpresa da una pioggia appiccicosa mentre percorreva il sentiero di Ho Chi Minh verso nord. Quella pioggia era un potentissimo defoliante alla diossina, nome in codice Agente Arancio, l’arma americana che continua a uccidere in Vietnam a quasi 50 anni dalla fine della guerra.
Tran To Nga, è finalmente riuscita a portare nell’aula di un tribunale coloro che - secondo lei - sono i responsabili di un disastro umano, sociale ed ecologico dalle dimensioni che a volte solo numeri troppo grandi per capire possono spiegare: 76 milioni di tonnellate di erbicida lanciate dagli statunitensi tra il 1961 e il 1971 a distruggere il 20 per cento delle foreste al confine tra Vietnam, Laos e Cambogia, un grado di tossicità 13 volte superiore a un erbicida comune al limite della soglia di tolleranza, tre milioni di persone esposte all’Agente Arancio che hanno sviluppato malattie gravi o gravissime, 6 mila bambini nati ogni anno con malformazioni congenite, livelli di diossina tossici nel latte materno. E la certezza, ormai, che non solo molti figli di quella guerra sono nati già malati, ma anche molti nipoti.
Bambini con malattie riconducibili all'Agente Arancio in un orfanotrofio (Keystone)
Tran To Nga, dopo l’incontro ravvicinato con l’Agente Arancio, ha sviluppato due diversi tipi di diabete, un’allergia rara, il cancro e - per due volte - la tubercolosi. Una delle sue figlie è morta a soli 17 mesi per una malformazione al cuore, le altre due hanno problemi cardiaci e alle ossa. Eppure lei, testarda fino ad arrivare in tribunale a quasi 80 anni per un fatto di quando ne aveva 20, ripete che è una battaglia che non fa per se stessa “ma per i miei figli, per milioni di persone innocenti e per il concetto di giustizia”.
Per questo la donna ha finalmente trovato ascolto dai giudici di Evry, in Francia, per una sentenza che avrebbe una portata storica. Al banco degli imputati ci sono 14 multinazionali, tra cui Monsanto-Bayer, Uniroyal e Dow Chemical. Produttori di un’arma e di un veleno assieme, per conto dello Zio Sam. Finora sono state due le linee di difesa: “Erano ordini dello Stato americano, poi erano loro a farne quell’uso”, “Un tribunale francese non può giudicare su questi fatti”. Tant’è che - probabilmente - lo farà.
Gli aerei statunitensi con il defoliante in volo sopra il Vietnam (Keystone)
Gli Stati Uniti hanno sempre negato una corrispondenza tra il defoliante tossico e l’alto livello di malattie in Vietnam e non hanno mai pagato, se non attraverso operazioni umanitarie che però nulla hanno a che vedere con l’ammissione dei danni di guerra. D’altra parte, sin dagli anni Novanta, l’amministrazione americana ha iniziato a indennizzare i propri soldati malati che durante la guerra del Vietnam erano stati a contatto con l’Agente Arancio. Stesse diagnosi, comportamenti molto differenti. Da una parte si nega il rapporto causa-effetto, dall’altra si mettono firme per comprovarlo. Proprio poche settimane fa, altre tre nuove malattie riscontrate sui veterani sono rientrate nel programma di aiuti: ipotiroidismo, cancro alla prostata e morbo di Parkinson. Un doppio binario che verrà usato dall’accusa per dimostrare come quei risarcimenti debbano essere considerati validi per tutti. Proprio Tran To Nga, nel suo libro “Ma terre empoisonnée” racconta “I miei figli e io stessa siamo avvelenate. L’esame della famosa lista delle malattie stabilita dagli americani mi permette di dire che soffro di cinque delle 17 patologie collegate all’Agente arancio”.
L’obiettivo è duplice, e anche per questo la donna vietnamita sta ottenendo l’appoggio di diverse Ong in tutto il mondo: assicurare risarcimenti di portata storica al Vietnam e portare un tribunale a riconoscere una volta per tutte il reato di ecocidio, un concetto giuridico di cui si discute da tempo, ma che l’Onu non ha mai voluto prendere in considerazione. Un precedente che aprirebbe la porta - innanzitutto in Francia - a decine e decine di cause di stampo ecologico e sociale, per danni intenzionalmente creati contro l’ambiente e contro le specie che lo abitano. Stiamo parlando, di fatto, di crimini contro la Terra e di conseguenza contro gli esseri umani. Un dossier apparentemente sterminato, legato a conflitti e scempi ambientali da prima pagina che tutti conoscono (dai test su agenti chimici e nucleari, raid di guerra, deforestazione a tappeto) fino a danni invisibili quando incalcolabili fatti a piccole comunità sperdute, vuoi per profitto, per negligenza o per ragion di stato, bypassando e contestando - per quanto possibile - formule come quella usate dalla Bayer per scagionarsi, per cui l’Agente arancio veniva prodotto “sotto la sola gestione del governo degli Stati Uniti per scopi esclusivamente militari”. Una svolta, epocale ripetono in coro avvocati di mezzo mondo, una porta verso il futuro paradossalmente aperta da una donna di ormai quasi 80 anni, con su scritto non solo sui documenti, ma sulla sua stessa pelle la parola "Vietnam", nome fortemente ancorato ai disastri del secolo scorso, monito perfetto per quelli del secolo in cui viviamo.