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Come sardine sui mezzi pubblici

Ogni mattina su alcune linee di bus e treni le persone viaggiano ammassate. Autopostale: ‘Non ci risulta’

(Ti-Press)

Risale a martedì la decisione di Berna di chiudere tutti i commerci non essenziali. Nessun provvedimento diretto invece, una costante da inizio pandemia, per quel che riguarda i mezzi pubblici.

Nel frattempo, alla stazione di Bellinzona sono da poco passate le 7.30. È l’ora di punta di una mattina come tante. Studenti e lavoratori riprendono la routine settimanale, reduci dal dolce far niente delle vacanze natalizie. La colonnina di mercurio sfiora a stento un grado centigrado e sono in pochi ad avviarsi a piedi verso le scuole e i rispettivi posti di lavoro. La stragrande maggioranza scende in fretta dai treni provenienti da tutto il cantone e si affolla a decine intorno alle fermate dei bus, fregandosi le mani per il freddo e gli occhi per il sonno.

Gli autopostali entrano ed escono da viale Stazione, diretti verso i punti più nevralgici del bellinzonese. La linea 1 verso Camorino è la prima a saltare all’occhio. Le sue fermate principali sono quelle di Viale Portone, vicino alla Scuola cantonale di commercio e al Liceo di Bellinzona, e della Scuola d’arti e mestieri. Istituti che ospitano attualmente oltre duemila allievi.

Il bus giallo vivo si ferma davanti alla piattaforma D, già gremita di gente. I posti a sedere, che per questo tipo di autobus, denominato ‘Maxibus’, variano tra i 34 e i 46 a seconda del marchio, sono già tutti occupati, e sono pochi i viaggiatori a scendere dal veicolo. Tantissimi invece quelli a salire. Come specificato sulla pagina web di Autopostale questo tipo di mezzi può ospitare, secondo le norme esplicitate sulla carta grigia, un massimo di 60 persone in piedi. Si parla quindi di un limite legale di un centinaio di persone strette in una superficie di 30 metri quadri circa. Ragazzi e ragazze sciamano dentro, come un unico corpo, cercando di accaparrarsi uno spazio vitale minimo. Stesso scenario per la linea 2 verso Giubiasco via Espocentro e per i minibus in direzione dell’Ospedale San Giovanni. Sono decine le figure in piedi, visibili dietro il vetro scuro.

Per la troppa gente si parte in ritardo

Facciamo un respiro profondo da sotto la mascherina e cerchiamo di infilarci sul bus 222 per Bellinzona Espocentro in partenza alle 7.57. L’affollamento di giovani che tentano di salire è però così importante che, nonostante la puntualità all’arrivo in stazione, finiamo per partire in ritardo. Trasportati dentro dal flusso di gente spintonante, finiamo ammassati in un angolino, la faccia schiacciata contro la felpa scura di un ragazzo sul metro e ottanta. Tanti gli occhiali appannati dalla combinazione sbalzo termico-mascherina. Si sta come sardine, incastrati in una prossimità soffocante. Una sensazione mai piacevole e a lungo lamentata, da anni routine su molte linee di trasporti pubblici ticinesi. In tanti ci avevano fatto il callo. Nell’era Covid-19 questa situazione comporta però, inevitabilmente, l’emergere di un sentimento attanagliante di ansia e disagio. Difficile credere che la mascherina possa proteggere efficacemente di fronte a tale vicinanza. Diversi i ragazzi ad averla abbassata sotto al naso. Sulla fronte di una giovane imbacuccata di tutto punto si intravede qualche goccia di sudore, asciugata via rapidamente con il bordo della manica. Qualcuno si soffia il naso.

L’autista frena alla rotonda che si affaccia su via Murate. Non è nemmeno una frenata brusca, ma con un tale ammasso di persone, piegate alla bell e meglio verso i pali di supporto, mantenere l’equilibrio si fa difficile. Ci si cade addosso, annullando distanze già pressoché inesistenti. Qualche «scusa!», qualche sbuffata, più di qualche parolaccia. La corsa dura poco più di cinque minuti, eppure il rischio a cui i ragazzi si espongono tutti i giorni prendendo questi mezzi appare lampante. E al quale, per forza di cose, vengono esposti i familiari da cui ogni sera tornano a casa. Il veicolo si arresta infine alla fermata Espocentro, le porte si aprono e veniamo catapultati nuovamente sul marciapiede, portati dalla mandria di giovani scalpitanti. Tutti sembrano tirare un sospiro di sollievo. Si sistemano infine borse e cartelle sulle spalle e si avviano in massa, come un fiume, verso le rispettive sedi. È l’inizio di una nuova giornata di scuola.

Le spiegazioni (non giunte) del Dipartimento

Un problema, quello dell’affollamento dei mezzi pubblici che non è nuovo, ma che desta preoccupazione in un periodo in cui il distanziamento fisico sembra l’unico modo per abbattere i casi di contagio da Covid–19. Consapevoli che non si possono tirare fuori dal cilindro in un secondo nuovi bus e conducenti, abbiamo provato a contattare il Dipartimento del territorio (Dt) per sapere se ci sono delle proposte di soluzioni sul tavolo. Magari il subappalto di corse supplementari alle aziende private di trasporto che in questo periodo sono senza lavoro? Un’idea che comunque necessiterebbe di fondi. Da noi più volte contattato, il consigliere Claudio Zali è però risultato irraggiungibile.

 

Ffs

A dare qualche spiegazione in più è il portavoce delle Ffs Patrick Walser: «Il piano di protezione per i trasporti pubblici è stato elaborato dall’Ufficio federale della sanità pubblica (Ufsp) in collaborazione con i leader del sistema, dunque Autopostale e Ffs». Ma è dunque possibile prendere dei provvedimenti ulteriori? «Noi ci atteniamo al piano di protezione e non ci sono indicazioni di un cambiamento delle misure». Riguardo agli orari di punta Walser dichiara: «Nonostante l’obbligatorietà del telelavoro il problema rimarrà, anche perché è noto a prescindere dal Covid. Notiamo che le persone tendono a utilizzare sempre gli stessi collegamenti, anche quando magari c’è un treno dieci minuti prima o dieci minuti dopo. Ci vuole un po’ di flessibilità». Un modo per risolvere in parte il problema c’è: «Per esempio stiamo lavorando con la Supsi di Mendrisio per posticipare le lezioni spalmando meglio l’entrata degli studenti sull’arco della giornata, – spiega Walser –. Sono cose che però bisogna pianificare con largo anticipo».

Bellinzonese

«Noi non registriamo particolari problematiche», afferma Alex Malinverno, responsabile vendita Autopostale sud, riguardo agli assembramenti da noi registrati. In ogni caso «altre misure che possono essere prese non ce ne sono», dice Malinverno, secondo il quale il problema è semplice: chi paga? Gli autisti devono percepire il salario e i mezzi hanno dei costi fissi come l’assicurazione, la manutenzione e il carburante. «Due terzi dei finanziamenti dei trasporti pubblici sono coperti dall’ente pubblico. Il Gran Consiglio ha già votato 460 milioni di franchi in più per il potenziamento delle linee e significherebbe chiedere soldi a uno Stato che sta già facendo fronte alle necessità di imprese chiuse a causa del coronavirus», ricorda Malinverno. Inoltre il responsabile vendita spiega che sono molte le alternative a disposizione degli studenti che dalla stazione di Bellinzona si recano alla Scuola cantonale di commercio o al liceo, come la linea 2 alle 8.07 o la linea 311 alle 8.01. Tutte opzioni non utilizzabili dagli studenti che devono essere in classe per le 8.15 circa.

Locarnese

Una linea molto utilizzata dagli studenti è la 311, che collega Bellinzona a Locarno. Il servizio è gestito in comune da Autopostale e Fart (Ferrovie Autolinee Regionali Ticinesi). «Le corse da noi svolte che presentano una maggiore affluenza sono già state rinforzate con l’aggiunta di un secondo bus articolato, ulteriori rinforzi non sono tecnicamente possibili», afferma Monica Brancato Gliozzi, capo ufficio marketing delle Fart. «Il numero di veicoli e di conducenti a disposizione non consente infatti di poter intervenire con un rincalzo per tutte le corse che presentano un affollamento, ritenuto tale nella situazione attuale di pandemia ma che non è critico se raffrontato al normale esercizio», prosegue Brancato Gliozzi. «Occorre infine considerare che il potenziamento dell’orario, con una frequenza di mezz’ora durante tutta la giornata, potrà contribuire significativamente a offrire una migliore distribuzione dell’utenza. L’efficacia, in questo contesto, dipende tuttavia da un cambiamento delle abitudini dell’utenza, cambiamento che richiede un po’ di tempo ma che dovrebbe garantire un miglioramento della situazione».

Mendrisiotto

«Autobus sovraffollati? Se mi chiede un parere, nel Mendrisiotto direi di no. Non viviamo una situazione simile a quella fotografata in novembre, per intenderci - rassicura Ivano Realini, direttore dell’Autolinea Mendrisiense (Amsa) -. Certo non posso dire che non ci sia un problema», ammette. Sulle strade del Distretto come altrove i momenti di punta coincidono con l’andirivieni degli studenti: alle 8 e alle 17. La missione di una impresa del trasporto pubblico, però, è chiara e all’Amsa cercano di compierla, giorno dopo giorno. Anche se la crisi sanitaria da Covid-19 rende tutto più complicato: «Siamo sempre sul chi vive».

Il punto, in effetti, è avere le risorse a disposizione. «E noi non le abbiamo. Si fa presto a dire alla Tv o sulla rete di rafforzare il servizio: non sanno di cosa parlano – tiene a dire Realini –. Gli autisti dei mezzi – all’Amsa sono 48 in tutto, ndr – non sono super eroi, sono persone; e possono ammalarsi». Vi è successo? «Tra inizio e fine novembre ci siamo trovati in grande difficoltà quando alcuni dipendenti si sono ammalati o sono finiti in quarantena. A quel punto non possiamo potenziare le linee, semmai dobbiamo ridurre le prestazioni».

E allora sta agli utenti, che, ci conferma il direttore, rispettano le regole – «è rarissimo vedere qualcuno senza mascherina» –, darsi una regolata. Approfittando, ad esempio, del fatto che sulla Chiasso-Mendrisio c’è un bus ogni 10 minuti. «Da parte nostra non tocca a noi mettere un limite. I nostri mezzi possono accogliere 86 passeggeri e così facciamo». Dovessero diminuire la capienza? «Dovrebbero dirci anche come fare a garantire il servizio. Le soluzioni non si inventano lì per lì», rilancia Realini.

C’è chi ha ventilato di rivolgersi alle aziende di trasporto private. «Le imprese pubbliche, a differenza dei privati, viaggiano su concessione – fa presente il direttore dell’Amsa –. Senza trascurare che i mezzi hanno determinati standard per facilitare l’accesso a tutti gli utenti». Come dire che trovare un’alternativa non è così semplice.

Luganese

Per evitare assembramenti e possibili contagi di Covid sui bus della Tpl Sa di Lugano, il direttore Roberto Ferroni chiarisce: «Le misure adottate da mesi sono tuttora in atto. Quali? «La disinfezione ai capolinea dei veicoli che una volta alla settimana vengono sanificati. Per la protezione degli autisti, la prima porta resta bloccata (salvo per gli utenti ipovedenti) mentre l’utenza non deve mai schiacciare il pulsante per fare aprire le porte alle fermate. Evitiamo il ricircolo d’aria interno ai mezzi, con aria che entra dal tetto e viene espulsa dalle porte a ogni fermata (in media a Lugano ogni 250-300 metri)».

Rispetto al distanziamento all’interno dei mezzi? «Tutti indossano la mascherina e assembramenti non ce ne sono, l’utenza è calata parecchio (in dicembre del 40% in meno alla Flp) perché tanti lavorano da casa o viaggiano su mezzi privati. Abbiamo messo in servizio tutti i veicoli articolati da 18 metri e aggiungiamo altri di supplemento per gli orari di punta».

I genitori

«A settembre, tra i genitori si era creata una certa preoccupazione. Al momento del rientro a scuola abbiamo ricevuto diverse segnalazioni riguardo agli assembramenti sui mezzi», ha raccontato a laRegione Pierfranco Longo, presidente della Conferenza cantonale dei genitori. «La comunità genitoriale non potrebbe che accogliere con favore un potenziamento dei trasporti pubblici nell’ambito delle misure predisposte per ridurre i contatti, in particolare di alcune linee frequentate principalmente dagli studenti. Sarebbe nell’interesse generale della popolazione e nell’interesse della scuola. Andremmo ad apportare una soluzione a un collo di bottiglia e a meglio proteggere i ragazzi e le loro famiglie».