Le due ministre di Italia Viva lasciano l’esecutivo in piena pandemia. Regna l’incertezza
In tutta Europa un solo tema domina l’agenda politica: il coronavirus. Ma in Italia, secondo paese col tasso di mortalità più alto dopo il Belgio, neppure l’emergenza sociale e sanitaria basta a proteggere le istituzioni dal narcisismo di certi leader. Ecco allora la crisi di governo introdotta dal leader di Italia Viva (Iv) Matteo Renzi, che ieri ha ufficialmente ritirato dal governo le sue due ministre Teresa Bellanova (Agricoltura) ed Elena Bonetti (Pari opportunità). Una botta per il governo di Giuseppe Conte, che ora dovrà trovare una nuova maggioranza o ricucire questa.
La decisione è arrivata nel tardo pomeriggio, con una conferenza stampa il cui mantra è stato “senso di responsabilità”. Senso di responsabilità perché “noi non giochiamo con le istituzioni”, ha detto Renzi. Senso di responsabilità perché “se le forme non vengono rispettate, allora qualcuno deve avere il coraggio anche per gli altri di dire che il re è nudo. E se serve dimettersi, ci si dimette”.
Tre le critiche mosse al governo. La prima, nel “metodo”: si contesta lo scarso rispetto delle “forme legislative” e l’eccessivo ricorso a strumenti quali i decreti legge e le dirette tv; una centralizzazione esplicitamente accostata ai “pieni poteri” invocati a suo tempo dal boss leghista Matteo Salvini. Poi nel “merito”: l’insufficiente coordinamento del rilancio economico del paese, perché “l’emergenza non può essere l’unico argomento che tiene in piedi il governo”. Infine ci sono le contestazioni al Recovery Plan, il piano di rilancio con fondi europei che Renzi ritiene ancora insufficiente, ad esempio su giustizia e turismo.
Motivazioni piuttosto vaghe, a ben vedere: tanto più che Renzi ha detto sì alle restrizioni anti-Covid, agli indennizzi economici e allo sforamento di bilancio; astenendosi sul Recovery Plan solo perché slegato dall’accettazione del prestito Ue previsto dal Meccanismo europeo di stabilità (Mes). Un pretesto, secondo molti: le due manovre non potrebbero essere approvate insieme perché costituiscono programmi europei diversi, anche se è vero che al debito con l’Europa – a tassi più convenienti delle emissioni italiane – si registra negli ambienti grillini un’opposizione che Renzi definisce “ideologica”. Intanto però le altre richieste di Iv sono state accolte, anzitutto quella di non subordinare gli investimenti per la ripresa a una task force slegata da esecutivo e legislativo. Lo ha ammesso lo stesso Renzi, riconoscendo che anche l’approccio “meno bonus (fiscali, ndr), più investimenti” è stato infine adottato dal governo.
Adesso pare che il presidente del Consiglio Conte rimetterà l’incarico nelle mani di quello della Repubblica Sergio Mattarella, che potrebbe reincaricarlo al volo per un altro mandato (il terzo in tre anni, dopo quello Lega-Cinquestelle e quello attuale che unisce grillini, Partito democratico e Italia Viva). Lo stesso Mattarella sembra propenso a tentare questa strada pur di risolvere la crisi di corsa.
Il problema per Conte – che a quanto pare non intende dimettersi – sarà quello di trovare un rinnovato sostegno politico. Potrebbe chiedere la fiducia in Parlamento, affidandosi a deputati e senatori disposti a rompere con la linea del loro partito, Italia viva inclusa. Ma la strada della ‘resa dei conti’ – lo showdown, come hanno preso a chiamarlo i notisti romani in perfetto trasteverino — è pericolosa in sé ed espone comunque il futuro esecutivo a maggioranze incerte.
Un'altra via è quella del rimpasto: un paio di poltrone in più al vezzoso protestatario, e amici come prima. Certo, ieri Renzi ha mosso al premier critiche pesanti, non ha mai fatto mistero del fatto di ritenerlo un incapace, e forse teme che si faccia il suo partitino rubandogli voti al centro. Non ha neppure digerito la scarsa considerazione riservatagli nell’ultimo annetto, lui che all’“avvocato degli italiani” aveva offerto la pertica alla quale aggrapparsi per uscire dalla tutela di Salvini. Ma ha anche concluso, con serafica democristianità: “Possiamo stare in maggioranza se ci vogliono, o all’opposizione se non ci vogliono”. Un accenno a una soluzione gattopardesca che gli garantisca maggiore visibilità e potere.
Resta da capire se questa alternativa si possa trovare con lo stesso Conte o se si dovrà passare a un nuovo presidente del Consiglio. Una prospettiva che allungherebbe ulteriormente le tempistiche della transizione. Non è invece probabile il ricorso alle urne, che nessuno vuole in piena pandemia. Tantomeno Renzi, il cui micropartito prenderebbe tra sì e no il 3%, restando escluso dal parlamento.
A questo punto, a essere certa è solo una cosa:la debolezza istituzionale della cosiddetta Terza repubblica, che dipende ancora una volta dai voltafaccia di formazioni minuscole come Italia viva e dall’equilibrismo di certe primedonne. Incluse quelle della destra come Salvini e la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni, che hanno subito chiesto il voto. E che ancora una volta potrebbero trovare il gradimento di una nazione esacerbata.