Pietro Martinelli ricorda l'architetto e urbanista ticinese appena scomparso
Luigi Snozzi voleva fare il pittore, ma apparteneva a una famiglia numerosa che avrebbe avuto bisogno anche del suo aiuto, e allora scelse una professione più “tradizionale” di quella di pittore, ma comunque legata in modo imprescindibile al disegno, e ha fatto l’architetto. Lo ha detto lui stesso in occasione di uno dei numerosi premi ricevuti (2 premi “ BETON”, un premio “Principe di Galles” dell’Università di Harvard, un premio “Wakker” e il “gran premio svizzero d’arte” due anni fa nel 2018).
Ha studiato all’ETH negli anni Cinquanta ed è a Zurigo che io l’ho conosciuto. Lo vedevo raramente perché frequentavamo amicizie diverse, ma già allora i suoi discorsi, il suo modo di esporli mi colpivano e affascinavano. Luigi Snozzi era anche un grande affabulatore che sapeva trasmettere emozioni, calore umano, voglia di vivere e di agire.
Luigi Snozzi non mirava tanto a realizzare più opere possibili (sono poche quelle realizzate e tante quelle progettate, ma non realizzate) quanto a mantenere la coerenza tra la sua attività e il suo pensiero. Pensiero che sapeva trasmettere con efficacia affascinando con parole apparentemente semplici folle di giovani studenti come di architetti affermati a Zurigo, Losanna, Alghero e a Monte Carasso. Parole che coinvolgevano anche chi non si era mai occupato di architetture. Il suo pensiero era un pensiero radicale dove per radicalità intendeva la necessità fissare i punti essenziali di un progetto (i suoi valori) e rispettarli. Una radicalità che ha caratterizzato non solo i suoi progetti, ma anche la sua vita.
Luigi Snozzi non annoiava mai il suo pubblico e neppure i suoi interlocutori negli incontri privati. Era brillante e sintetico. L’importanza della sintesi l’ha espressa nei numerosi aforismi che ci ha lasciato in un libro. Ne cito due che mi sembrano significativi: uno per la sua professione, l’altr per il suo impegno come cittadino: “Ogni intervento presuppone una distruzione, distruggi con senno” e “Quando penso all’uomo penso allo sfruttato”
Luigi Snozzi non si è occupato solo di architetture, ma, oltre alla pesca nei fiumi, alla ricerca dei funghi nei boschi e al nuoto dove era fortissimo, si è occupato seriamente anche di politica. Lo ha fatto in un partito di contestazione, il PSA (1969-1992), nato dopo il Sessantotto. Lo fece senza mai apparire in primo piano, ma portando il contributo della sua intelligenza nei gruppi di lavoro, negli articoli su Politica Nuova, nei brevi interventi ai Congressi, nei disegni satirici su Politica Nuova. Nel libro di Pompeo Macaluso sulla storia del PSA è citato ben 24 volte: la prima relativa al 1962 come membro di un gruppo di studio che doveva “approfondire la conoscenza della realtà del paese”, poi come membro della redazione di PN (1968), come iscritto al MOP (1968), come membro di diversi gruppi di lavoro, membro dell’UP del PSA per “i rapporti internazionali” (1969), membro di CC dal 1972. Fu membro critico del PSA e lottò contro i pericoli di appiattimento su posizioni che potevano essere sospettate di opportunismo. Attaccato sui giornali ha pagato con altri a livello professionale questo suo impegno politico, ma non si è mai lamentato. Era un generoso e non l’ho mai sentito esprimere critiche nei confronti di colleghi di successo.
L’amicizia con Luigi Snozzi andava oltre la politica. Era una amicizia a livello personale e di famiglia. Con Luigi, Mario Botta e le rispettive mogli, ricordo un affascinante viaggio a Londra negli anni Sessanta e, negli anni Settanta, tre vacanze al mare: una in Corsica ancora con Mario Botta (Mario sostiene che fu l’unica vacanza della sua vita), una in Italia e una in Grecia. Durante 4 anni (68-72) affittammo assieme una casa a Molare dove i nostri figli e le sue figlie impararono a conoscersi e dove passammo assieme momenti indimenticabili. Poi, quando nel 1972 quella casa venne occupata da residenti, mi aiutò gratuitamente a progettare il mio rifugio, sempre a Molare. Tre o quattro anni fa mi invitò a incontrarci a Locarno vicino al suo studio che era traslocato dal centro storico in piazzetta Franzoni. In quella occasione mi illustrò ancora un progetto per una Esposizione nazionale che avesse come riferimento i tre fiumi Rodano, Reno, Ticino. Poco dopo venne fatto andare “obtorto collo” in una residenza per anziani, casa Rea a Minusio, dove, prima del Covid, andai a visitarlo più volte passando con lui alcune ore in un ristorante in riva a quel lago che tanto amava o in un grotto sulla Maggia che aveva contribuito a progettare. Dopo momenti di allegria sul suo volto appariva la tristezza. Era alloggiato in una stanza doppia, inizialmente con una persona ammalata di Alzheimer. Una sistemazione che avrebbe dovuto essere provvisoria, ma che si mantenne negli anni, Incredibile che una persona che aveva fatto onore al Ticino con la sua attività riconosciuta a livello nazionale e internazionale non avesse avuto la possibilità negli ultimi anni di vita di uno spazio suo, piccolo, ma privato. Ho cercato di parlarne con il direttore considerato che la camera singola oggi è la regola nelle residenze per persone anziane, ma non sono mai riuscito a incontrarlo. La sua resta comunque una vita contro (corrente), bella e coraggiosa.