Economia

Covid, il vaccino di Pfizer e BioNTech offre risultati promettenti

Le due società farmaceutiche hanno annunciato che richiederanno l'autorizzazione per la produzione alla statunitense Food and Drug Administration

Il vaccino anti-covid è in arrivo (Keystone)
9 novembre 2020
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Sia chiaro: un vaccino contro il coronavirus non esiste ancora, e ci vorranno almeno mesi per arrivarci; premessa doverosa, in tempi nei quali tutti attendono il siero salvifico in grado di allentare la stretta della pandemia, e si fa presto a montarsi la testa. Ciò detto, i risultati annunciati ieri da Pfizer sono alquanto incoraggianti: il vaccino che la società americana sta sviluppando insieme alla tedesca BioNTech sarebbe in grado di immunizzare il 90% di chi se l’è visto somministrare. Una percentuale notevole, se si pensa che fino a poche settimane fa a molti analisti pareva difficile arrivare oltre il 70%.

Si tratta di risultati preliminari, comunicati dalle case farmaceutiche sulla base di un’analisi affidata sì a un gruppo di esperti indipendenti, ma senza che ancora sia possibile sottoporli a una revisione ‘alla pari’ scientificamente accurata. D’altronde la ‘fase tre’ della sperimentazione, l'ultima, è ancora in corso su quasi 44mila volontari in 6 diversi paesi, ai quali vengono somministrate due dosi successive della sostanza. A oggi sono emersi 94 casi di Covid-19 nel gruppo, dei quali solo nove hanno interessato chi ha ricevuto il vaccino invece del placebo utilizzato per il test ‘cieco’: un dato certamente incoraggiante, anche se è la stessa Pfizer a voler aspettare il superamento dei 160 casi per trarre poi le giuste conclusioni. Non è invece ancora chiaro quanto il vaccino possa ridurre la contagiosità degli asintomatici, né – dati tempi brevi della sperimentazione – quanto possa durare l’immunizzazione.

Se tutto andrà per il verso giusto, la distribuzione alla popolazione potrebbe procedere rapidamente: tutte le case farmaceutiche impegnate nello sviluppo di un vaccino – l’altra in testa al gruppo è Moderna – lo stanno in realtà già producendo in massa, in modo da farsi trovare pronte al primo via libera da autorità come la Food and drug administration americana. Pfizer potrebbe fornire i primi 50 milioni di dosi entro l’anno, e sfondare il miliardo e 300 milioni nel 2021. Va detto, per mettere le cose in prospettiva, che l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ritiene necessari due miliardi di dosi solo per il personale sanitario e le persone a rischio. Ad ogni modo, il tanto vituperato ‘big pharma’ si è mosso con una rapidità senza precedenti, recuperando terreno in un settore giudicato fino all’altroieri poco redditizio. Oggi, secondo la lista stilata dall'Organizzazione Mondiale della Sanità, sono 202 le aziende che nel mondo stanno sperimentando un vaccino anti Covid-19. Di queste, 47 hanno cominciato i test sull'uomo, dieci delle quali hanno raggiunto la terza e ultima fase della sperimentazione. Corsie preferenziali, autorizzazioni più snelle e una macchina organizzativa mai vista hanno permesso di condensare in pochi mesi un processo che in condizioni normali richiede anni.  Se tutto va bene potremo avere un vaccino abbastanza diffuso entro 18 mesi dallo scoppio della pandemia, contro i quattro anni canonici. Molto dipenderà anche dal comportamento delle autorità di certificazione.

Il vaccino che Pfizer sta sviluppando non sembra dare effetti collaterali particolari: debolezza, fastidi muscolari e febbriciattole si riscontrano in maniera solo leggermente superiore a quanto visto con gli antinfluenzali. Come quello di Moderna, anche questo preparato si basa su una tecnologia ancora molto nuova: in pratica, per stimolare l’organismo a sviluppare le giuste difese si utilizza l’Rna messaggero invece di una versione depotenziata del virus. Un problema però potrebbe venire dalla logistica: il prodotto di Pfizer e BioNTech dev’essere conservato a 70 gradi sottozero, e dunque richiede di essere trasportato nel ghiaccio secco. Questo potrebbe renderne difficile la diffusione soprattutto nelle aree più periferiche e povere del mondo, dove la catena del freddo è più difficile da rispettare.

Biden crea una task force

Intanto il presidente eletto Joe Biden ha mantenuto la consueta pacatezza: “Le notizie sul vaccino danno speranza, ma la battaglia è ancora lunga, ci aspetta ancora un inverno buio col rischio di altri 200mila morti. Per questo vi invito a indossare la mascherina, che non è una dichiarazione politica”, ha detto accanto a Kamala Harris sul palco del Queen Theatre della sua Wilmington, in Delaware, dopo aver nominato la sua task force anti-Covid. Ricordando che qualsiasi vaccino richiede “un rigoroso processo di approvazione guidato dalla scienza e pienamente trasparente” e che “anche se verrà approvato, non sarà largamente disponibile per mesi”, Biden non vuole che si abbassi la guardia.

Per questo ha già nominato una squadra di 13 medici e scienziati: gli obiettivi sono “l'aumento dei test, la creazione di un sistema di tracciamento dei contagi, la definizione di linee guida chiare, la forniture di risorse a piccole aziende, scuole e asili per riaprire in sicurezza”, in attesa di un vaccino che poi verrà “distribuito gratis, partendo dalla popolazione a rischio”. La natura bipartisan della squadra contrasta con il gruppo che Trump ha messo insieme prima di esautorarlo per le sue critiche, a partire dall'immunologo Anthony Fauci, che potrebbe essere ripescato più avanti da Biden. 

L'avvicinarsi di un vaccino significa anche una speranza in più per la fine della recessione. E infatti le borse di tutto il mondo – dei cui entusiasmi abbiamo d'altronde imparato a diffidare – hanno visto salire i loro indici: Parigi del 7,6%, Francoforte del 5%, Madrid dell'8,6%, Milano del 5,4%. Ha aperto in corsa anche Wall Street, con il Dow Jones su di quasi il 6% e lo S&P 500 ai massimi storici. Le compagnie aeree, i cinema e le crociere sono i settori che più beneficiano dell'annuncio di Pfizer, nella speranza d’una ripresa del settore turismo. Più pacate le reazioni svizzere, con lo Smi zurighese in crescita 'solo' dello 0,9%. Alllo stesso tempo, una maggiore sicurezza percepita potrebbe fare calare il valore del franco come bene rifugio, agevolando l'export.