Luganese

Mortale di Sigirino: 10 anni per omicidio intenzionale

È la prima condanna per questo reato in Ticino. Il giudice Ermani: 'L'imputato ha accettato di sacrificare una vita per un viaggio futile'

Il giudice, Mauro Ermani
(TI-PRESS)
13 ottobre 2020
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 «L'imputato ha accettato di sacrificare una vita umana per un viaggio futile». Dieci anni di carcere per omicidio intenzionale e espulsione dalla Svizzera e carcerazione di sicurezza per tre mesi. Questa la condanna - la prima per questo reato mai prima emessa in Ticino - pronunciata in serata dalle Assise criminali di Lugano per la tragedia consumata il 10 novembre di tre anni fa sull'autostrada, all'altezza di Sigirino, quando l'imputato, un 39enne italiano, dopo zig zag in auto sulla A2 e sorpassi temerari a velocità proibite, ha falciato sulla corsia di destra uno scooterista, 39enne, uccidendolo, il quale quel giorno si stava recando a casa dalla famiglia per rivedere suo figlio, nato da una settimana. L'imputato, quel giorno di novembre di tre anni fa, ha pure messo a repentaglio la vita di un altro motociclista, speronandolo.

Per la Corte, «il quadro generale è che l'imputato ha guidato in modo sconsiderato, partendo da casa fino a Sigirino a velocità folli. Fuori dall'ospedale psichiatrico cantonale di Mendrisio, non trova di meglio che andare a bere alcol. L'imputato se ne è infischiato di tutto. Più di un comportamento sulla strada è stato sconsiderato. All'imputato interessava poco quello che poteva succedere agli altri, in una strada trafficata. È un caso classico di dolo eventuale - ha detto il giudice Ermani. Il caso di uno speronamento di un altro motociclista ha configurato per la Corte la messa in pericolo della vita del conducente. Ancora il giudice: ben tre ricoveri non hanno permesso all'imputato di capire i suoi problemi e la misura di collocamento a Villa Argentina è stato fallimentare. I requisiti per una continuità non sono più dati. 

La difesa si era battuta per il reato di omicidio colposo. Non esclude il ricorso in Appello 

Il pp Respini aveva richiesto 11 anni di carcere e l'espulsione dalla Svizzera per 15 anni. La difesa, rapprentata dall'avvocato Yasar Ravi, si è battuto per l'omicidio colposo. Secondo il legale, i medici dell'ospedale cantonale psichiatrico hanno scaricato il 39enne e lo hanno dimesso perché non sussistevano motivi per trattenerlo, quando invece un altro medico aveva proposto una cura stazionaria. Il 39enne, a mente del legale, è ricaduto dopo poche ore dalla sua dimissione nell'alcol quella fatidica giornata del 10 novembre di tre anni fa. «Lui un aiuto lo ha chiesto, ma la clinica lo ha dimesso troppo presto». L'avvocato Ravi ha contestato le testimonianze, giudicandole approssimative e talora contraddittorie. Inoltre, il legale ha evidenziato come il suo cliente abbia commesso diverse infrazioni stradali. ma non un omicidio intenzionale: «non si può infatti dire che desiderasse la morte della vittima».  

Anche sulla velocità il legale ha sottolineato come quelle indicate nell'atto d'accusa non siano plausibili. Mancano elementi oggettivi certi. L'atto d'accusa parla di quattro sorpassi temerari: ma un sorpasso a destra in sé non configura un'infrazione alle norme della circolazione. E inoltre - ha proseguito la difesa nel pomeriggio - per parlare di sorpassi temerari, essi non devono essere solo azzardati, ma pure insensati e folli. Ravi si è battuto perché il suo cliente continui la cura a Villa Argentina. «La pena- ha richiesto Ravi alla Corte - deve essere sospesa per dar luogo a una misura di collocamento».  La pena - ha chiesto la difesa - va ridotta sensibilmente.  E si è opposto all'espulsione: «lavora dal 2007 in Svizzera».  Dopo aver appreso la sentenza, l'avvocato Ravi non ha escluso di ricorrere in Appello.

Le richieste di torto morale e danni avanzate dall'avvocato GIovanni Molo, in rappresentanza della famiglia della vittima, sono stati accolti dalla Corte nel principio e rinviati al foro civile per la quantificazione. L'imputato in conclusione ha detto: «il mio animo è stato quello di aiutare le persone e non di lederle. Non ero consapevole. Spero di fare qualcosa di umanamente utile per la famiglia della vittima, perché di fronte alla morte non c'è rimedio». 

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