L’Olanda, piccola realtà demografica e territoriale, produce pochi campioni, ma quando lo fa, si tratta di fuoriclasse del calibro di Cruijff o Verstappen
Alzi la mano chi conosce Bep Bakhuys e Karel Godin de Beaufort. Solo gli appassionati di stretta osservanza dei mondi di calcio e motori possono averli sentiti nominare. Bakhuys fu un calciatore attivo in Olanda e Francia negli anni Trenta del secolo scorso che combatté, soccombendo, per l’introduzione del professionismo nel calcio dei Paesi Bassi, e che ancora oggi detiene il primato della miglior media-gol effettiva della Nazionale olandese: 1,12 reti a partita, frutto di 28 marcature in 23 partite. Godin de Beaufort è invece stato il primo pilota olandese a raccogliere punti in un Mondiale di Formula 1, in un’epoca – a cavallo tra la fine degli anni ’50 e i primi ’60 – dove c’era ancora spazio per i piloti privati, che si autofinanziavano e correvano con una propria scuderia. Nel suo caso la Maarsbergen, costituita da un piccolo ufficio, un garage e un carrello. Su 31 GP disputati, 4 li concluse al sesto posto.
Nei giorni che seguono la vittoria del quarto titolo iridato consecutivo di Max Verstappen, sorge spontaneo il parallelismo con l’altra grande icona dello sport olandese, Johan Cruijff, grazie alla capacità di trascendere il semplice ruolo di campione per diventare un personaggio a tutto tondo, riconosciuto e apprezzato in ogni parte del mondo. Come Cruijff, anche Verstappen è riuscito a mettere un Paese piccolo, a livello demografico e territoriale, sul mappamondo dello sport internazionale. E lo ha fatto partendo da zero, o quasi. Cos’era l’automobilismo nei Paesi Bassi prima di Max? Una nota a margine e nulla di più.
Senza tornare al lontano Godin de Beaufort, si potevano contare i due podi di Jos Verstappen e i 4 punti raccolti da Christijan Albers. Senza considerare che l’Olanda è pressoché priva di tradizione automobilistica. E sembra quasi paradossale che in un Paese dove tutti vanno in bicicletta, la Formula 1 sia diventato lo sport nazionale, con il Gran Premio casalingo di Zandvoort capace di raggiungere picchi di pubblico, già a partire alle prove libere del venerdì, solitamente appannaggio di circuiti di ben altra tradizione quali Monza o Silverstone. Basti pensare che per l’edizione 2024 si sono registrate sul sito 2 milioni di persone, quasi dieci volte il numero dei biglietti disponibili.
Il pallone Oranje prima del Calcio totale di Cruijff era la stessa cosa. Fino al 1974, l’Olanda aveva preso parte a un solo Mondiale, quarant’anni prima, uscendo alla prima partita contro la Svizzera, con Bakhuys annullato in campo dal capitano rossocrociato Severino Minelli. A poco più di cinque anni dallo scoppio della rivoluzione dei tulipani guidata da Rinus Michels e da Cruijff, sia con l’Ajax che con la nazionale arancione, l’Olanda riusciva ancora a perdere in casa contro il Lussemburgo nelle qualificazioni all’Europeo. Anche in questo caso c’era poco, pochissimo da vedere tra i confini sotto il livello del mare dei Paesi Bassi.
Quello di Cruijff è stato un impatto che ha travalicato il calcio, abbracciando la storia, la cultura e la società olandese, riversando sul campo il processo evolutivo di un Paese unico nel suo genere, costruito non da Dio ma dagli olandesi (così un famoso proverbio locale), e destinato a rimanere per decenni all’avanguardia in tema di liberalismo e filosofia progressista. Cosa che è accaduta anche nel calcio, si pensi solo alle radici del Barcellona di Guardiola, una delle squadre più amate e iconiche di tutti i tempi.
Verstappen ovviamente non possiede questa carica avanguardistica, né potrebbe averla. Troppo diverso il suo sport, troppo articolata e mutevole l’epoca in cui vive. Ma il nucleo è il medesimo. La classe, la personalità, gli attributi, la ferocia di chi è già riconosciuto come dominante e nonostante tutto non può esimersi dal ribadirlo anche con il suo gruppo, valgano come esempi il trash talking di Max contro il suo muretto e i continui rimbrotti di Cruijff che all’Ajax gli costarono la fascia di capitano, toltagli dai compagni dopo una votazione. Soprattutto, però, c’è la semplicità con la quale possono ostentare la propria appartenenza a una categoria superiore.
‘Giocare a calcio è molto semplice, ma giocare un calcio semplice è la cosa più difficile che ci sia’. È una delle più note frasi di Cruijff, perfettamente applicabile guardando una delle tre finali di Coppa dei campioni vinte consecutivamente, tra il 1971 e il 1973, dall’Ajax. E non suscita forse le stesse sensazioni osservare qualche settimana fa Verstappen nel Gran Premio del Brasile, partito diciassettesimo e finito primo sotto la pioggia, inanellando giri veloci in serie, quasi facendo levitare sull’acqua la sua Red Bull mentre gli altri annaspavano, oppure gestivano nella migliore delle ipotesi e svirgolavano la traiettoria finendo fuori pista nella peggiore? Cruijff ha trasformato l’Ajax e l’Olanda nel meglio del meglio visto sul pianeta pallonaro. Verstappen ha vinto anche guidando una monoposto non più dominante, ma addirittura retrocessa a terza forza del mondiale. Entrambi superiori anche con mezzi inferiori.
Le loro sono storie che affondando le radici nella fatica. Il ramo paterno di Verstappen arriva da Monfort, Limburgo centrale, dove il bisnonno Jef gestiva una discarica, mentre il nonno Frans era titolare di un bar e di una gelateria. I Cruijff arrivavano invece dal Jordaan, roccaforte popolare nella parte ovest di Amsterdam. Fino agli anni ’30 non esisteva nemmeno un adeguato sistema di fognatura, e infatti esisteva la mansione del raccogli-escrementi, che girava per i vicoli con il suo carretto (chiamato poeptonnekar) per garantire un minimo di pulizia.
Un degrado dal quale Manus Cruijff, commerciante di pesce, verdura e patate per conto terzi, riuscì a fuggire nel dopoguerra acquistando un negozio di frutta e verdura a Betondorp, altro quartiere di Amsterdam che, nonostante il nome poco appetibile (significa villaggio di cemento), rappresentava un discreto salto di qualità. Qui le esperienze di Cruijff e Verstappen divergono, per poi convergere nuovamente. La loro formazione, soprattutto sportiva, è stata all’insegna della disciplina e della rabbia.
Ma se nel caso di Verstappen l’insegnante è stato il padre Jos, per Cruijff la figura paterna è stata quella del suo primo allenatore, Rinus Michels, che ha in parte surrogato il padre perso in giovane età. Sia Jos Verstappen che Rinus Michels erano persone colme di rabbia. Nei confronti della mediocrità e delle occasioni che non erano state loro concesse. Michels era stato un discreto attaccante, dalla stazza fisica imponente e dal carattere guascone. Però ricordava bene le umiliazioni in campo, soprattutto quando vestiva la casacca della nazionale, che prendeva sberle in continuazione. Vedeva quell’ambiente così poco professionale, gestito con metodi retrogradi dagli allenatori, circondato da compagni di squadra a cui importava ben poco di fare vita da atleta.
Li detestava tutti. E quando da insegnante di ginnastica che lavorava con bambini disabili decise di fare il salto e diventare allenatore, giurò a sé stesso che non avrebbe permesso a nessuno di sprecare il proprio talento. Soprattutto a chi, come Cruijff, ne possedeva in quantità industriale, anche se da ragazzino aveva gambe talmente gracili da non riuscire a tirare in porta dalla bandierina del calcio d’angolo.
Jos Verstappen ha sempre pensato che avrebbe potuto ottenere di più. Non importava se accanto a lui aveva un fuoriclasse in divenire come Micheal Schumacher, il pilota al quale il figlio Max finirà con l’assomigliare di più per stile, attitudine e comportamenti controversi. In Benetton Verstappen con Schumacher ci litigava, e non solo con lui. Non gli andava giù che avessero due vetture diverse, con quella del tedesco dotata di “aiutini” elettronici illegali predisposti da Flavio Briatore. Ne aveva ingoiate tante, Jos. Siano veri o forse un poco gonfiati per alimentare la leggenda, i metodi da Full Metal Jacket utilizzati nella crescita di Max provengono da lì.
Cruijff è stato uno dei primi prototipi del calciatore-divo, la cui notorietà trascende il mero ambito sportivo. Oggi tutti gli sportivi di successo lo sono, anche loro malgrado, e nemmeno Verstappen può sottrarsi alla regola. Cruijff è diventato ricco grazie a suo suocero, Cor Coster, commerciante che iniziò la sua attività importando oro, orologi e gioielli dalla Svizzera nascondendoli nel serbatoio della sua auto. E’ stato uno dei pionieri del ruolo di procuratore, e il primo in Olanda a parlare di gestione economica dell’atleta, di sfruttamento dell’immagine e di interviste a pagamento. Una figura fondamentale per Cruijff, che disse: ‘Grazie a lui penso solo a giocare’.
Così come oggi Verstappen pensa solo a correre grazie a Raymond Vermeulen, ex pilota amatoriale di kart che proprio in quell’ambito conobbe nonno e papà Verstappen, diventando il deus ex machina della progressiva trasformazione di Max da campione a brand di successo. Già dal suo debutto a 16 anni in F1, Vermeulen allestì una squadra di 15 persone dedicate alla gestione della comunicazione e degli affari commerciali del pilota, allo scopo di consentire al ragazzo di concentrarsi esclusivamente sulla pista e togliergli quanta più pressione possibile.
Quella tra Cruijff e Verstappen è una staffetta della passione tinta di Oranje. I due si sono incontrati sul circuito di Montmelò, tre settimane prima della scomparsa del tre volte Pallone d’Oro. Verstappen, all’epoca in Toro Rosso, disse che ‘un sacco di gente viene nei box della Formula 1 per farsi vedere, mentre lui voleva capire come lavoravamo. Voleva conoscere’. Per gli amanti dei numeri e delle curiosità, quando due mesi dopo Max, passando nel frattempo al volante della Red Bull, vinse il suo primo Gran Premio, lo fece con il tempo di 1 41’ 40’’. Per due volte veniva riprodotto il numero 14 di Cruijff. Una volta un giornalista chiese a Johan: ‘Ti è mai capitato di dire a qualcuno che aveva ragione?’. ‘E a chi avrei dovuto dirlo?’, fu la replica. Scommettiamo che tra qualche anno, quando avrà chiuso con le corse, Max risponderà allo stesso modo?