L'analisi

Una democrazia che invecchia

Se il quadro si confermerà, a disputarsi la Casa Bianca saranno il presidente in carica settantatreenne e un avversario di cinque anni più vecchio

6 marzo 2020
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Joe Biden contro Bernie Sanders. L’esito, largamente prevedibile del turno elettorale di martedì, ha ridotto a loro due la scelta del candidato democratico alle presidenziali statunitensi del prossimo novembre. Ancora una volta si ripropone il confronto tra le due principali componenti del partito, distinte – più di quanto avviene all’interno dei repubblicani – non soltanto dall’ispirazione “ideologica” ma, almeno in parte, anche dalla collocazione sulla scala sociale.
In teoria, la dialettica generata da questo confronto potrebbe arricchire la proposta democratica agli elettori; in pratica, rilevano molti osservatori, potrebbe indebolirne l’efficacia, poiché quando il nome da opporre a Donald Trump resterà uno solo, una parte importante dei delusi del campo sconfitto potrebbe disertare il voto, a tutto vantaggio del peggior presidente della storia statunitense contemporanea. Avvenne così, è stato fatto notare, già nel 2016, quando troppi sostenitori di Sanders si disinteressarono delle sorti di Hillary Clinton, considerata, con alcune buone ragioni, la candidata del “sistema”. E andò come andò.

Ma è proprio il “fattore Trump” a fare la differenza. Quattro anni fa, contro Clinton agirono principalmente la, presunta, scontatezza della sua elezione; e l’altrettanto supposta sconsideratezza della candidatura repubblicana. Al contrario, in questa occasione l’urgenza di disfarsi del presidente potrebbe avere la meglio sullo scontento e sul disincanto, riportando alle urne gli sconfitti delle primarie. Ma per ora, quanto ai democratici, è solo una speranza.
C’è comunque una situazione generale da considerare, e che conferma il logoramento in corso del sistema democratico, anche nella del tutto particolare declinazione oligarchica statunitense. Un sistema che invecchia non solo nei meccanismi di adeguamento alla mutazione in corso nella società, ma soprattutto nelle persone che ne assumono la guida. Generando (e in parte sfruttando) un evidente distacco dei giovani. Se infatti il quadro si confermerà, a disputarsi la Casa Bianca saranno il presidente in carica settantatreenne e un avversario (chiunque sia dei due) di cinque anni più vecchio.

Lontanissimi i tempi del giovane Clinton, eletto quando non aveva ancora cinquant’anni; dell’altrettanto giovane e oltretutto “nero” Obama; e persino della non giovane, ma donna Hillary Clinton. Se poi si confermerà l’evidenza che l’establishment democratico sta facendo quadrato attorno a Biden contro Sanders (accampando anche la ragione che del candidato “socialista” Trump farebbe un boccone), l’accomodamento del partito allo spirito liberista del tempo sarà confermato nel modo più evidente.

A questo proposito è illuminante l’affermazione rilasciata al corrispondente della Rsi negli States da una elettrice di Elizabeth Warren, che ha tuttavia votato Biden ritenendo che la sua preferita non avrebbe chance di battere Trump. Non senza lamentare il fatto di dover ancora una volta scegliere tra due uomini, bianchi e ultrasettantenni. Questo sì, è il “sistema” che tutela e perpetua se stesso.

Quando infatti vi fa irruzione un destabilizzatore come Trump, il riflesso difensivo è automatico. Al prezzo di mettere all’angolo le più tradizionali opposizioni democratiche. E di nascondere quanto il Trump di turno sia in definitiva funzionale al sistema stesso: eversore delle regole democratiche, ma saldo difensore del primato del capitale. Ma questo è un altro discorso.