Qualcuno crede ancora che dannando la Grecia si salva l’Europa. Ma è da quel “qualcuno” che l’Europa dovrebbe guardarsi, se vero – come ci sembra – che il rigido rapporto contabile a cui sono state piegate le relazioni tra i membri dell’Ue maschera un pregiudizio ideologico che contraddice le ragioni per cui l’Unione stessa fu concepita.
È inutile tornare sul dettaglio di negoziazioni condotte con azzardi, furbizia o goffaggine da entrambe le parti: si tratta di una schermaglia tattica tra chi si gioca tutto e chi non intende rimetterci niente. Per quel poco che riusciamo a intendere e per banale che sia dirlo così, ci pare che ammazzando il debitore si perderebbe anche quel poco che potrebbe rifondere. Tuttavia c’è chi preferisce così. Un prezzo evidentemente giudicato accettabile nel nome di una superiore ortodossia dogmatica, quella dei famosi “compiti a casa” che Angela Merkel esigeva che fossero eseguiti a dovere da tutti i partner europei per godere della solidarietà dei loro virtuosi compagni.
Sulle virtù e sulla smemoratezza di chi pretende di averne, bisognerebbe ripetere alcune cose: che la Germania poté ricostruirsi nel dopoguerra grazie al dimezzamento, nel 1954, del suo spaventoso debito; che finanziò le spese della riunificazione (1990) con i capitali stranieri attratti da tassi d’interesse mantenuti artificiosamente elevati, con ricadute recessive sulle economie dei Paesi-partner che avevano tentato di stare al suo passo; che proprio le virtuose banche tedesche sono state le più generose con i falsari al governo in Grecia, quando questi assicuravano lucrosissime rendite sui soldi ricevuti. Ma la politica, non solo quella tedesca, non vive della memoria di ieri, bensì dei voti di domani…
E tuttavia non si tratta di additare le ipocrisie o le incoerenze di governi e istituzioni (ricordando però – almeno questo – che il Fondo monetario internazionale così irremovibile nel non concedere alcunché alla Grecia è pur lo stesso che aveva candidamente ammesso il disastro generato dalle politiche di austerità imposte ai suoi cittadini). La questione è, al contrario, la coerenza di governi e istituzioni con un dettato ideologico secondo il quale le pretese del capitale sopravanzano non solo le legittime scelte democratiche dei cittadini, ma il loro elementare diritto a una vita dignitosa.
Perché dicendo Grecia è di questo che parliamo. Cioè di un Paese in cui i livelli di povertà hanno largamente superato qualsiasi soglia di allarme, mettendo alle corde una coesione sociale già pericolosamente sfibrata, sulla quale è pronta a lucrare un’estrema destra violenta. Parliamo di un Paese investito da un afflusso di migranti che concorre ulteriormente ad aggravare la sua miseria (e che l’altra Europa ricca e virtuosa rifiuta di accogliere almeno in parte). Di un Paese la cui collocazione sconsiglierebbe anche al più idiota dei capi di governo di lasciar finire in una sfera d’influenza concorrente o, peggio, antagonista. Ma solo un paraocchi ideologico può impedire di vederlo. Quando anche la stampa “autorevole” tedesca parla di vizi e colpe “dei greci” – riesumando la categoria delle colpe nazionali, pericolosamente affini a quelle “razziali” –, qualcosa di guasto si sta manifestando. L’Europa comunitaria era nata proprio per evitare che questo avvenisse. Se la Grecia fallirà non fallirà da sola.