Fintanto che la Cpi si limitava a condannare leader africani, veniva considerata caposaldo dello Stato di diritto. Ora improvviso cambiamento di rotta
Fa bene il dottor Flavio Del Ponte a pubblicare nel suo libro ‘Dissonanze. Storia di un chirurgo di guerra’ (A. Dadò editore) una manciata di immagini dalla crudezza insostenibile. Istantanee (scattate in Pakistan, ma potrebbero provenire da Siria, Palestina o Ucraina) che, come scrive il chirurgo di guerra, “gridano”: bimbi dalla pelle bruciata, nera come la pece, il sangue raggrumato spiaccicato dalla deflagrazione su volti senza più occhi, ragazzini stesi su brandine a cui le mine hanno strappato gli arti, monconi maciullati e anneriti da cui spuntano brandelli di carne e tibie spezzate. Fa bene perché, come auspica l’autore, “anche solo uno sguardo fugace può generare una scintilla di bene, e un’altra il rifiuto del male”. Chissà che “questi pugni” in pancia possano raggiungere quegli anfratti insondabili scuotendo un’indifferenza che cresce con la routine. La forza delle immagini per ricordarci ad esempio che oggi a Gaza, ogni giorno, a bimbi e adulti vengono amputati gli arti senza anestesia. Mancano morfina e antidolorifici, così come manca elettricità, acqua e cibo.
Più delle parole, le immagini ci aiutano a capire il senso e l’importanza del diritto internazionale: i crimini contro l’umanità su cui poggia il mandato di cattura contro Netanyahu riguardano i massacri e gli ostacoli con i quali il premier ha impedito in modo deliberato la fornitura di cibo e farmaci ai civili palestinesi. Amnesty International e lo storico della Shoah Amos Goldberg non hanno dubbi: è genocidio. Per il crudele raid di Hamas e l’orrenda mattanza del 7 ottobre, sulla lista dei “wanted” della Corte penale internazionale (Cpi) figuravano anche tre leader di Hamas. Par condicio nella spietatezza. Tuttavia Netanyahu, con logora retorica, vede nella Cpi una quinta colonna dell’antisemitismo globale. In precedenza l’altro pilastro del diritto internazionale, la Corte internazionale di giustizia (Cig) aveva dichiarato illegale l’occupazione israeliana della Cisgiordania. Calpestato da mezzo secolo anche il diritto umanitario: la presenza dei coloni in terra palestinese vìola la quarta Convenzione di Ginevra (articolo 49).
Prima ancora la Cpi aveva emesso un mandato di cattura contro Vladimir Putin e tre altri esponenti del Cremlino. Finora nessun arresto. Anzi: il presidente russo si presenta spavaldamente in Mongolia, Paese firmatario del Trattato di Roma. Netanyahu incassa il sostegno degli Usa (che come Russia e Cina non riconoscono la Corte), Bashar Al Assad trova asilo a Mosca, a migliaia di chilometri da Sednaya, il carcere-incubo in cui autorizzava tutti gli orrori. Quanto alla Svizzera, depositaria delle Convenzioni di Ginevra, adotta un profilo conigliesco, mettendo in discussione nel momento di massima urgenza il suo contributo all’Unrwa e alle vittime del possibile genocidio: la Storia sembra non averci insegnato nulla.
Fintanto che la giustizia internazionale si limitava a condannare leader africani, l’Occidente la considerava caposaldo dello Stato di diritto e della convivenza tra i popoli. Ora che nel mirino dei giudici sono finiti gli amici, improvviso cambiamento di rotta: piovono distinguo, esitazioni e critiche. Tetro via libera alla violazione sistematica della legge che fa precipitare le relazioni internazionali nell’inquietante spietata logica dell’homo homini lupus, spalancando le porte a tutti i soprusi.