Commento

Elezioni italiane: una vittoria a orologeria

Gli appetiti e le pretese di grillini e Lega rendono difficilmente compatibili le rispettive ambizioni. Serve speciale acume politico, di cui non si vede traccia

Keystone
5 marzo 2018
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La chiarissima affermazione di una destra multiforme nelle elezioni italiane è una vittoria a orologeria per chi l'ha conseguita e per il Paese che gliel'ha assicurata. L'insieme che va dal movimento 5Stelle all'estremità destra, può toccare o largamente superare, a seconda delle eventuali combinazioni, il numero di seggi necessari a formare una maggioranza parlamentare e dunque a sostenere un governo. E tuttavia, nella forma in cui si sono proposte agli elettori, nessuna di queste forze o alleanze ha i numeri per farlo da sola.

E il primo problema è questo. Gli appetiti e le pretese generati dal 30 e più per cento toccato ai grillini e dal 18 per cento conquistato dalla Lega di Salvini (con il forte ridimensionamento di Silvio “leinonsachisonoio” Berlusconi) rendono difficilmente compatibili le rispettive ambizioni. Solo uno speciale acume politico e una adeguata spregiudicatezza potrebbero riuscirvi. Ma se della seconda ce n'è in esubero, del primo non si vede traccia. Cosicché la vittoria può scoppiare loro in mano.

La garrula affermazione di Di Battista: “adesso tutti dovranno parlare con noi”, ricorda quella del Pd del 2013. Ma con questa volta i grillini seduti dalla parte del tavolo dove allora si trovava un Bersani implorante comprensione e appoggio. E si sa com'è andata. Mentre Sparafucile Salvini, pur capace di quadruplicare il risultato della Lega (non più “Nord”, però) potrà vendere a caro prezzo le proprie virtù di sicario, ma, appunto, al soldo di qualcun altro. E dunque se ne vedranno di belle quando il povero Mattarella dovrà consultare i partiti e poi affidare un incarico.

L'altro problema, più generale e più grave della mera contabilità elettorale, investe le sorti di un Paese che per rompere con una politica che ha finito per disprezzare (come si odia uno specchio impietoso) ha scelto quella che gli propone un percorso involutivo, grondante risentimento, diffidenza, volgarità aggressiva e smemoratezza storica.

Il discorso delle forze che hanno fatto man bassa di voti è nato e ha alimentato paure e pulsioni vendicative. Noi, noi, noi, contro questo e contro quello. Avendo a modelli le “democrazie autoritarie” (pur mascherate da democrazia diretta) e gli autocrati che vanno ridisegnando la faccia dell'Europa e del mondo. Fingendo di non sapere che tutti i nazionalismi sono conflittuali, e che dal loro successo (o quale condizione del loro successo) vengono le guerre.

Vai poi a sapere di chi è la colpa, o, se preferite, quali sono i motivi sociali, ideologici di tutto ciò. Dei motivi si dovrà ragionare con maggiore accuratezza, mentre delle colpe qualcosa si può dire, vedendole scolpite nel tracollo di voti subito dal centrosinistra. È ben vero che lo spirito dei tempi è questo e non conosce confini, ma il centrosinistra italiano ci ha messo del suo, più del necessario. La nemesi che incorre al Pd non è tanto “giusta”, quanto banalmente logica. E se gli si vuol dare un nome, Renzi, glielo si dia, avendo però l'onestà di riconoscere che non solo di lui si tratta. La controprova è la triste prestazione di quelli che da lui si sono sdegnosamente staccati, soddisfatti forse di vederlo nella polvere, dalle feritoie dei loro castelli di rabbia. La sinistra che fa la destra (anche quella che all'ultimo cerca di smarcarsi) non può avere altro destino.

Ma ormai è fatta.