La recente risposta del Consiglio federale del 21 novembre 2024 all’interrogazione del consigliere nazionale Paolo Pamini rafforza il valore giuridico e politico della neutralità svizzera, riconoscendola come parte del diritto consuetudinario internazionale sancito nel 1815. Questo riconoscimento sottolinea l’importanza storica della neutralità per la Svizzera, ma in un contesto geopolitico sempre più complesso emergono nuovi interrogativi sul suo futuro.
Originariamente concepita per garantire la stabilità in Europa, la neutralità svizzera è ora al centro di decisioni strategiche cruciali. Pressioni internazionali e nuove alleanze militari mettono in discussione il suo ruolo tradizionale. La Svizzera si trova di fronte a una scelta: mantenere una neutralità armata indipendente oppure orientarsi verso una difesa convenzionale con alleati, rischiando di compromettere la propria neutralità storica.
La neutralità svizzera ha le sue radici nel Congresso di Vienna del 1815, dove le potenze europee cercarono di ristabilire l’equilibrio dopo le guerre napoleoniche. Similmente, i trattati di Versailles nel 1919 e gli accordi di Potsdam e Yalta dopo la Seconda Guerra Mondiale hanno ridefinito gli assetti di pace in Europa. Tuttavia, a differenza di altri Paesi, la Svizzera ha mantenuto la sua neutralità attraverso questi sconvolgimenti, fungendo da elemento stabilizzatore nel continente. Questa continuità ha permesso alla Svizzera di evitare coinvolgimenti diretti nei conflitti e di offrire terreno neutrale per negoziati internazionali.
La partecipazione al Partnership for Peace (PfP) della Nato e altre collaborazioni militari indicano una maggiore apertura verso la cooperazione internazionale. Questo solleva dubbi sulla coerenza con l’impegno alla neutralità perpetua assunto nel 1815. Adattamenti geopolitici potrebbero compromettere la credibilità di un pilastro fondamentale della politica estera svizzera, mettendo in discussione la fiducia internazionale nella sua imparzialità.
L’inclusione della Svizzera nella lista russa dei Paesi ostili evidenzia le difficoltà nel mantenere una posizione neutrale in un mondo polarizzato. L’adesione al PfP potrebbe renderla un bersaglio strategico, esponendo le sue infrastrutture critiche – energia, trasporti e finanza – a potenziali attacchi. Questi rischi non sono facilmente mitigabili dai sistemi difensivi convenzionali, e potrebbero avere ripercussioni a livello nazionale ed europeo. A differenza di Finlandia e Svezia, che hanno abbandonato la neutralità per aderire alla Nato a causa di minacce dirette, la Svizzera rischia di perdere il suo ruolo unico di mediatore imparziale senza un chiaro beneficio in termini di sicurezza. Il riconoscimento della neutralità come diritto consuetudinario internazionale impone limiti stringenti a reinterpretazioni che potrebbero comprometterla.
Abbandonare questa tradizione non solo metterebbe a rischio la sicurezza interna, ma indebolirebbe anche un modello diplomatico che ha garantito equilibrio nel sistema internazionale per oltre due secoli. La Svizzera deve riflettere attentamente sulle implicazioni delle scelte attuali. Preservare la neutralità è essenziale per garantire la sicurezza nazionale e contribuire alla stabilità globale. Continuare a collaborare con blocchi militari potrebbe trasformare la neutralità da pilastro di sicurezza a vulnerabilità strategica. La recente posizione del Consiglio federale è un passo importante verso la tutela di questo principio, ma richiede un dibattito pubblico e trasparente per evitare compromessi irreparabili e assicurare che la neutralità rimanga un elemento centrale dell’identità svizzera.