La revisione del Codice civile in votazione il 26 settembre prevede un’equiparazione giuridica per la stabile convivenza delle coppie del medesimo sesso. Ma più importante tutela i diritti dei figli, adottati e nati all’interno della coppia, come per gli altri bambini. Messa in questi termini la questione sarebbe passata come una lettera alla posta e salutata come la fine di un’era di ingiustificate discriminazioni nei confronti dei 30mila membri delle famiglie arcobaleno. Invece, una delle ultime battaglie per i diritti civili in Svizzera ha assunto da qualche settimana contorni delle schermaglie tipiche di uno spin off di “Maschi contro femmine”. A trascinare il referendum lanciato contro il tema in votazione troviamo l’Unione democratica federale (Udf), un piccolo partito con sede anche in Ticino che si batte per un “ordine politico fondato sui valori biblici” (art. 2 statuti Udf), e che promuove una lettura letterale della Bibbia ampiamente citata nei loro opuscoli. Tradotta nella pratica farebbe fare al nostro Cantone un salto a ritroso di un paio di secoli, almeno.
Nocciolo del contendere è quella che gli oppositori definiscono “morte del padre”, ridotto a “macchinetta di sperma”, o a uno zombie, come raffigurato in un loro cartellone in perfetto stile trash. Una definizione della paternità figlia di una concezione tradizionale della società, a sua volta erede di un ordine divino (ben descritto in un famoso film svizzero) in cui i rapporti di forza sono dettati dai ruoli maschili. Una visione che ha anche avuto risvolti drammatici quando per decenni ha giustificato l’internamento amministrativo di piccoli innocenti nati al di fuori del matrimonio perché si riteneva la madre inadeguata a crescerli in assenza del padre biologico. Negli ultimi decenni la trasformazione della società ha fortunatamente ridefinito l’identità paterna permettendo di superare la contrapposizione tra modelli maschili e femminili di genitorialità, per avvicinarsi a una dimensione più sociale. Oggi le famiglie nascono, crescono, si dividono e si ricompongono anche con genitori dello stesso sesso, secondo una definizione di genitorialità intesa come atto di assunzione della responsabilità della vita del figlio. In tutte queste esperienze familiari il padre non si legittima, né è legittimato, sulla base del vincolo biologico, ma lo è nella sua dimensione relazionale, funzionale al riconoscimento e alla soddisfazione dei bisogni del figlio a prescindere dal legame genetico.
Per questi motivi il 26 settembre non sarà un voto pro o contro la famiglia tradizionale, ma per il superamento di una serie di stereotipi. In definitiva sarà un voto simbolico a sostegno dell’uguaglianza, intesa come accettazione di tutti i padri e di tutte le madri con pari diritti e doveri. Ma anche per la fine di un ordine divino legato a una certa concezione della paternità: solo biologica, autoritaria, discriminante e per alcuni ancora gravida di dolorose conseguenze. Se avere un figlio non è un diritto, essere felice lo è, per tutti.