La musica s’inchina all’eterno ragazzo che finì nell’oblio per ‘colpa’ dei Led Zeppelin e ne uscì studiando al Conservatorio, per diventare evergreen
Sembrava una leggenda metropolitana poi venne fuori che non lo era. Si diceva che bastasse mettere il proprio disco di autoprodotti dentro una busta con le bolle, scriverci sopra ‘Gianni Morandi’ e la località (un posto che in mezzo ci passa la via Emilia) e anche senza il mittente e il numero civico del destinatario le Poste Italiane la busta gliel’avrebbero recapitata comunque, e lui ti avrebbe chiamato. Due le accortezze: ricordarsi di scrivere il proprio numero di telefono e registrare un album (andavano di moda gli album) almeno dignitoso.
Per non finire sulla pagina Facebook ‘Io professione mitomane’, non riferiremo qui l’esito della telefonata, iniziata con un “Ciao, sono Gianni Morandi!”, come nella migliore delle imitazioni (le mani grandi chiuse in un pugno, l’oscillazione controllata del corpo e il sorriso rassicurante), da cui la risposta “sì, e io sono Elvis Presley”. Insomma, era vero, Gianni Morandi ti chiamava, sempre col numero sconosciuto ma ti chiamava. Se ancora lo faccia oggi non è dato sapere, ma potrebbe essere ancora così perché ci sono persone che non cambiano mai. Come la sua voce, che da ‘Fatti mandare dalla mamma a prendere il latte’ del 1962 a ‘Fatti rimandare dalla mamma a prendere il latte’ del 2023 (feat. Sangiovanni) è sempre quella dei vent’anni anche se adesso gli anni sono ottanta. A novembre, quella voce ha cantato ‘L’attrazione’, scritta per lui dal Jovanotti autore, e graffio più graffio meno – ammesso che le espressioni facciali emettano onde sonore – contiene ancora il suono del sorriso, una specie di superpotere.
Per festeggiare gli ottant’anni dell’eterno ragazzo c’è qualcosa di più grande dell’autoriferitissima storia di Morandi che ti chiama sul cellulare. Risale al secolo scorso. È il 5 luglio del 1971 ed Ezio Radaelli, patron di un proto-Festivalbar chiamato Cantagiro, programma nella stessa serata Bobby Solo, Milva, Lucio Dalla e Gianni Morandi, e con loro i Led Zeppelin, ospiti internazionali di quell’anno insieme ad Aznavour, Miriam Makeba, Nina Simone e tanti altri, dosati tappa per tappa. “All’annuncio del mio nome si udì un boato enorme”, ricorda Morandi nel 2017 in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera. Ma non era un’ovazione: “Salgo sul palco e mi arrivano pomodori, lattine, di tutto. Mi fanno dei gesti, io provo a sorridere e attacco ‘C’era un ragazzo’, che penso sia quella giusta in quel contesto, ma non gliene fregava niente, ce l’avevano con me”. E ancora: “Ogni tanto ci ripenso a quella sera, alla percezione che qualcosa stesse finendo, non era ancora finita però è stato il momento decisivo”.
Il “decisivo” di quella notte riguardò le sorti della musica dal vivo, con i concerti trasformati per lungo tempo in eventi politici ad alto rischio: il cosiddetto ‘Processo a De Gregori’, col cantautore preso in ostaggio al Palalido di Milano nel 1976 da alcuni militanti dell’estrema sinistra, perché accusato di scarsa sensibilità verso le tematiche del movimento operaio, e invitato a suicidarsi; le pietre contro Lou Reed a Roma nel 1975, la Molotov contro Santana di nuovo al Vigorelli nel 1977, lanciate da chi rivendicava il presunto diritto di entrare ai concerti gratis in nome del fatto che “la musica è di tutti” (Napster non era poi così lontano). L’avversione contro i cantanti e la discografia durò almeno fino all’anno del tour di ‘Banana Republic’, anno 1979, con Dalla e De Gregori a cantare di leggerezza in ‘Ma come fanno i marinai’ (accusati comunque di troppa leggerezza). Ma quando Morandi dice “decisivo” si riferisce soprattutto alla sua carriera e alle porte che a un certo punto si chiudono, ai telefoni che non suonano più e al ruolo di capro espiatorio di una notte di guerriglia, di un’esterofilia italica mai sopita e di un odio del belcanto a prescindere, che presto avrebbe visto il Punk davanti alla porta di casa, pronto a buttar giù l’intero edificio.
A un certo punto della storia, senza avere fatto del male a nessuno, Gianni Morandi viene oscurato come una frequenza abusiva, e con lui le Canzonissime, i Senza Rete, i Cantagiri; i piccoli capolavori melodici ‘Se non avessi più te’, ‘Un mondo d’amore’, ‘Scende la pioggia’, ‘Occhi di ragazza’ vanno simbolicamente al rogo insieme alle versioni cinematografiche di ‘Non son degno di te’ e ‘In ginocchio da te’, utili al massimo a riempire le mattinate di Telemilano, nel panorama televisivo ancora in cerca di un palinsesto pre-pomeridiano.
Messo all’indice per la colpa di incarnare un’Italia che non c’è più e che invece c’è sempre stata e non era certo la peggiore, anzi, Morandi non ricorre agli psicofarmaci, non si fa di eroina per quanto all’epoca ne girasse tanta, non dà la colpa alla politica né al sistema, non si vende alla disco music e nemmeno si ricicla jazzista rinnegando i musicarelli e i concorsi canori: nel 1977 si iscrive al corso di contrabbasso al Conservatorio Santa Cecilia di Roma. “Mi sono salvato studiando la musica, scelsi il contrabbasso perché c’era poca richiesta di contrabbassisti, imparai così a leggere le note, a comprendere la musica”, dice nel 2018 in una delle (poche) puntate ‘pregne’ di ‘Verissimo’. “Per entrare al Conservatorio, io che avevo la quinta elementare, avevo dovuto prima sostenere l’esame di terza media. Gli adolescenti mi guardavano in modo strano”. In quegli anni di spartiti e solfeggio, qualcuno lo nota nei panni del musicista di fila in una ‘Domenica In’; nel ‘Mixer’ di Gianni Minà, è il 1980, suona con orgoglio il suo strumento in ‘Eleanor Rigby’ dei Beatles, in trio con una violinista e una violoncellista. Poi il vento torna a cambiare direzione.
Che Gianni Morandi ai Led Zeppelin non gli avesse fatto niente lo diranno le ‘Canzoni stonate’ scritte da Mogol, cronaca dei dopocena chitarra in mano nel salotto di casa davanti agli amici, nei giorni della scemata popolarità; poi arriverà ‘Uno su mille’, le parole della rinascita pensate per lui da Franco Migliacci e poi, nel 1987, la vittoria al Festival con ‘Si può dare di più’, a risarcire da alcuni suoi Sanremi così così. Dalla profetica “vita in te ci credo”, dall’album e dal tour ‘Dalla/Morandi’ in avanti, era il 1988, quello che succede è tutto materiale da pezzo commemorativo che probabilmente non scriveremo mai, perché quando Gianni Morandi da Monghidoro, ottant’anni oggi, smetterà di cantare noi saremo già in pensione. Noi e tutti quelli che sopra un palco o sotto la doccia hanno cantato almeno per una volta nella vita, chiedendosi se siano mai stati degni di lui.