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Pure l'incesto tra le ‘cose di famiglia’?

‘Dentro, una storia vera, se volete’: dal pubblico provato al termine di uno spettacolo impegnativo, un lungo applauso alle due interpreti

Visto al Teatro di Locarno
28 novembre 2024
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Mi sto avvicinando al Teatro di Locarno, dov’è in programma la pièce ‘Dentro, una storia vera, se volete’. Su un muro, il cartellone pubblicitario di un’associazione no profit lancia uno slogan estremamente accattivante: “Ci impegniamo per migliorare lo statuto giuridico, politico e professionale delle donne”. Sono tante le iniziative lanciate di questi tempi per sconfiggere pregiudizi centenari – se non addirittura millenari – che colpiscono l’altra metà del cielo. Le convinzioni sessiste, misogine e patriarcali sono tuttavia dure a morire. La storia vera infatti resta purtroppo diversa: mentre si celebrava la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, è stato annunciato che lo scorso anno in Svizzera ben venti donne – quasi due al mese, per lo più in ambito domestico – sono state uccise; in un tribunale italiano si sta celebrando il processo a carico dell’ex fidanzato/killer di Giulia Cecchettin (ormai icona/martire dei femminicidi nel Bel Paese), nelle nostre aule penali un bel tomo si è cuccato otto anni di carcere per aver umiliato, picchiato e violentato la madre dei suoi figli per ben 13 anni. Finalmente una pena adeguata per crimini non solo orribili, ma pure ripetuti reiterati e pluriconsumati per tredici lunghi anni.

‘Dentro’, dramma scritto, diretto e interpretato da Giuliana Musso, mette poi il coltello in una piaga ancor più delicata: si parla di incesto, di violenza perpetuata e reiterata quindi tra le mura domestiche. Difficile credere che la mamma non si sia accorta di nulla. È lei la prima a chiedersi se davvero il suo maritino affettuoso, quello che senza smadonnare si alzava di notte quando la bimba doveva cambiare il pannolino abbia potuto macchiarsi di tale ignominia. Non esistono prove, si tratta di due versioni contrapposte una all’altra e dunque nessuna corte emetterebbe un verdetto di colpevolezza. Eppoi, si chiede disperata la madre, una condanna cancellerebbe il trauma subìto dalla mia bambina? Val la pena d’iniziare un iter giudiziario condotto da poliziotti e giudici maschi pronti a trasformare la vittima in un’accusatrice isterica? No, le dice il suo legale, aggiungendo cinicamente: “Si cerchi un bravo psicologo, ingoi il rospo e dimentichi!”.

In un ambiente scenografico dominato da un rosso fuoco, dialogando con l’altra sola interprete Maria Ariis (costretta in un paio di occasioni a monologhi troppo lunghi e dispersivi: non basta ripetere più volte la stessa versione dei fatti affinché si giunga alla verità), l’autrice/interprete vuole portarci dentro le relazioni di una famiglia apparentemente perfetta e poi distrutta; dentro una dinamica a catena mossa dal non detto, da bugie, da verità taciute e altre sbandierate in maniera controproducente. O forse dentro i tentativi di Freud di individuare le cause prime dei traumi?

“Quella di Giuliana Musso non è una scrittura semplificativa, accogliente, ma al contrario si rivela indagatoria, conoscitiva, complessa proprio perché vuole provare a farsi testimonianza reale, il più possibile vera e quindi inevitabilmente dolorosa” (Viviana Rafici). Infatti il pubblico locarnese ci è sembrato provato al termine di uno spettacolo senz’altro impegnativo. Non mancando però di sottolineare con un lungo applauso la sentitamente brillante performance delle due interpreti.

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