Intervista ad Anestis Azas, regista con Prodromos Tsinikoris di ‘Clean City’, domani al Lac per il Fit festival
C’è chi vuole ripulire la società dalle impurezze straniere; e chi, straniero, si ritrova a pulire i cessi. Ma alla base di ‘Clean City’ – spettacolo dei greci Anestis Azas e Prodromos Tsinikoris al Lac di domenica sera per il Fit festival – non c’è solo l’idea di smontare, raccontando la semplice realtà degli immigrati, la retorica neofascista di Alba dorata e degli altri partiti e movimenti più o meno esplicitamente neofascisti.
«Tutto è iniziato con uno spettacolo, realizzato a Berlino insieme a Shermin Langhoff e Jens Hillje, sugli immigrati greci in Germania» ci racconta Anestis Azas. È in quell’occasione che è nata l’idea «di un teatro postimmigrazione: raccontare storie sulla Germania dalla prospettiva degli altri, di chi non è originario di quel Paese ma vi vive». Un approccio che i due hanno deciso di replicare una volta tornati in Grecia che, prosegue Azas, «può essere un Paese molto accogliente, ad esempio per i turisti che hanno soldi, ma anche molto chiuso, tradizionalista e razzista».
Smontare i discorsi sulla purezza razziale è quindi un’idea successiva?
Nel 2015, quando siamo tornati in Grecia, la retorica di destra era molto presente: il tema della pulizia del Paese dagli “altri”, dagli stranieri, dai drogati, dai corrotti… E, quasi per gioco, ci siamo chiesti chi letteralmente pulisce il Paese, perché sono lavori che i greci non fanno più. È qui che l’idea si è sviluppata: raccontare la Grecia dal punto di vista degli addetti alle pulizie, che sono stranieri. Abbiamo così iniziato un lungo lavoro di ricerca, con molte interviste.
Sul palco abbiamo vere donne delle pulizie, non attrici. Perché questa scelta?
Ovviamente lavoriamo anche con attori professionisti ma in questo caso dovevamo avere in scena le autentiche protagoniste. Perché non è solo uno spettacolo teatrale, ma è anche un atto politico: quanto spesso queste persone, di origine straniera, hanno la possibilità di parlare in pubblico? Questo è un problema, in Grecia: vasta parte della popolazione ha un passato di immigrazione, ma raramente trovi stranieri diventare giornalisti, politici… sono esclusi dal discorso pubblico ed era quindi importante, per questo progetto, portare sul palco le vere donne delle pulizie.
Una voce ai senza voce.
Non immaginavamo che questo spettacolo avrebbe avuto una “carriera internazionale” e, pensando alle rappresentazioni qui in Grecia, ci piaceva l’idea del confronto tra il pubblico della classe media e le vere donne delle pulizie.
E ha funzionato? Questo spettacolo ha cambiato qualcosa nella percezione degli stranieri?
In generale, non lo posso dire. Per alcune persone che erano tra il pubblico, decisamente sì, ed è lo scopo di questo tipo di teatro, del teatro documentario. Sono convinto che questo spettacolo sia un’esperienza importante sia per i nostri protagonisti, sia per il pubblico.
E questo è accaduto anche negli altri Paesi dove è stato rappresentato lo spettacolo?
La situazione è simile un po’ ovunque in Europa. Inoltre il nostro spettacolo ha un messaggio ottimistico, e con un certo umorismo: è uno spettacolo su come sopravvivere, non su come essere vittime, perché per dare voce alle persone non bisogna ridurle a vittime.