Il segretario comunale di Brissago e deputato del Centro contesta le indicazioni sui comportamenti inopportuni e il loro allargamento alle scuole comunali
“Come segretario comunale, dovendo applicare queste direttive, ho chiesto all’ispettorato scolastico di chiarire i criteri pratici e operativi utilizzati per distinguere i comportamenti effettivamente inadeguati da quelli che rientrano nella normale dialettica educativa”. Segretario comunale a Brissago, giurista di formazione (in passato ha esercitato anche la professione di avvocato), deputato del Centro al Gran Consiglio e già municipale di Locarno, Giuseppe Cotti nutre più di un dubbio di natura giuridica a proposito delle nuove Direttive sui comportamenti inadeguati in ambito scolastico che il Decs, il Dipartimento educazione cultura e sport, ha recentemente deciso di estendere alle scuole comunali. Più di un dubbio, tanto da portarlo a dire che “la cosa migliore sarebbe di cestinarle e ritornare ad applicare il buon senso”.
Osserva Cotti: “Sebbene possano inizialmente apparire come un giusto passo nella tutela dell’integrità e del benessere degli allievi, le direttive sollevano, secondo me, alcune significative perplessità giuridiche”. Il “principale” problema “è rappresentato dalla definizione ampia e non circoscritta di ‘comportamento inadeguato’”, indica Cotti. “Mentre alcune condotte, come la violenza fisica e sessuale, hanno una chiara base normativa, cioè il diritto penale, altre risultano lasciate alla discrezionalità interpretativa degli operatori scolastici o di terzi coinvolti - evidenzia il segretario comunale e parlamentare -. L’articolo 2.1, per esempio, include nella definizione ‘parole, atti, gesti, scritti capaci di arrecare offesa alla personalità, dignità o integrità degli allievi’ e, più genericamente, ‘di degradare il clima di istituto’. L’art. 2.2 estende ulteriormente la definizione a comportamenti molto generici, come il linguaggio verbale o non verbale che potrebbe essere percepito come umiliante, ampliando ulteriormente lo spettro delle interpretazioni possibili”.
Ebbene, secondo Cotti, queste formule sarebbero “eccessivamente vaghe e prive di ancoraggio a parametri oggettivi e verificabili, aprendo la strada a interpretazioni soggettive, che rendono punibile praticamente qualunque comportamento, instaurando un clima di sospetto e un incentivo alla delazione”. In ambito giuridico, ricorda il granconsigliere, il principio di certezza del diritto richiede che le norme “siano definite in modo chiaro e prevedibile”. La mancanza di chiarezza, considera Cotti, “potrebbe generare conflitti, laddove comportamenti percepiti come inadeguati da un soggetto non siano considerati tali da un altro, creando uno squilibrio nella loro applicazione”.
La giustizia, continua il giurista, “è una cosa seria, e come tutte le cose serie richiede precisione”. Limitarsi a scrivere che il Dipartimento educazione cultura e sport o il Comune “riserva a sé stesso il diritto di intervenire con chi ha un ‘comportamento inadeguato’ spalanca la porta al più totale arbitrio”. Un esempio concreto “può essere il caso di un linguaggio educativo diretto o critico, che potrebbe essere erroneamente classificato come inadeguato, causando tensioni ingiustificate tra docenti, allievi e genitori”.
C’è di più. La percezione di ciò che è adeguato o inadeguato, annota Cotti, “è fortemente influenzata da fattori culturali, personali e di contesto: questo rischia di trasformare la valutazione dei comportamenti in un giudizio etico soggettivo, dove gesti o richieste disciplinari, come un tono di voce fermo, potrebbero essere interpretati diversamente a seconda della sensibilità di chi li subisce o li osserva”.
Per l’ex municipale, a tutto ciò “si aggiunge una carenza di meccanismi chiari per garantire il diritto di essere sentito del docente o del personale scolastico”. Senza una procedura strutturata e imparziale, queste direttive, avverte, “potrebbero diventare strumento di pressione impropria, sfruttato da genitori o allievi per motivi non legati a reali comportamenti inadeguati”. Il che “rappresenta un rischio concreto per l’autorevolezza e la serenità degli operatori scolastici, già chiamati a lavorare in un contesto professionale sempre più complesso”. Da questo punto di vista, rincara Cotti, “mi lascia allibito il silenzio dei sindacati su questa Direttiva: probabilmente erano occupati in altre faccende, o stavano aspettando che ErreDiPi dettasse loro quale sia la linea d’azione da rincorrere…”
Le Direttive, prosegue il parlamentare del Centro, “sono in ogni caso perfettamente coerente con i dettami della mentalità ‘woke’ di questi tempi: lo si nota benissimo dal fatto che, per definire ciò che è ‘inadeguato’, il primato è posto non sui fatti ma sui sentimenti delle presunte vittime, creando così le condizioni per paradossi come quello del famoso concerto reggae annullato a Berna, un paio di estati fa, perché una spettatrice si sentiva ‘offesa’ dalle treccine rasta di un musicista di pelle bianca”.
La conclusione di Cotti è drastica: “Credo che la cosa migliore sia di cestinare queste Direttive e ritornare ad applicare il buon senso”. E ricorda: “Per i reati esiste il Codice penale, per il resto le procedure amministrative e la Lord funzionano più che bene”. In questo come in altri ambiti il Cantone, sostiene il segretario comunale, “si sta addentrando in una pericolosa giungla di eccessiva regolamentazione, che rischia di spingere le persone a esitare su ogni singola azione per paura di commettere errori”.