Ristorni tassazione frontalieri e opere pubbliche, il Consiglio di Stato risponde alla Gestione
La “premessa” è eloquente. “Rileviamo che l’Accordo sui frontalieri non contiene disposizioni precise sulla destinazione degli importi dei ristorni”. In altre parole: non c’è alcun vincolo. La ripartizione e l’utilizzo di queste somme “sono infatti di competenza delle autorità italiane, come sancito dall’articolo 4 capoverso 2 dell’Accordo” del 1974, quello – a tutt’oggi in vigore – sull’imposizione dei lavoratori frontalieri e la compensazione finanziaria ai Comuni italiani di confine. Così scrive il Consiglio di Stato rispondendo ad alcuni quesiti postigli la scorsa settimana dalla Commissione parlamentare della gestione inerenti alla mozione con cui i deputati del Ppd Maurizio Agustoni e Giorgio Fonio propongono di chiedere all’Esecutivo cantonale di avviare trattative con l’Italia affinché questa impieghi la quota della tassazione dei frontalieri, riversatale annualmente dalla Svizzera in virtù dell’accordo concluso oltre quarant’anni fa tra i due Paesi, per finanziare infrastrutture a favore della mobilità transfrontaliera, come Park & Rail e Park & Ride. Le risposte alle domande del liberale radicale Matteo Quadranti arrivano però a lavori commissionali già chiusi. La maggioranza – Lega, Verdi, la Destra e ovviamente popolari democratici – ha sottoscritto il rapporto di Fiorenzo Dadò a sostegno della mozione. Plr e Ps hanno invece firmato quello redatto da Quadranti, che ritiene evasa la proposta Agustoni/Fonio, alla luce fra l’altro del nuovo accordo sulla fiscalità dei frontalieri al momento solo parafato (dicembre 2015). Lo scritto del Consiglio di Stato, indirizzato l’altro ieri alla Gestione, potrebbe comunque fornire ulteriori spunti di discussione in vista del dibattito in parlamento, nella seduta al via lunedì prossimo, sulla richiesta di Fonio e Agustoni. Dati il tema e le ultimissime novità, ovvero la lettera del presidente del Consiglio regionale della Lombardia ai vertici di Camera e Senato (vedi articolo a lato), il dibattito non mancherà di certo. Tornando al testo trasmesso alla Gestione, il Consiglio di Stato afferma che “è unicamente nelle premesse dell’Accordo che si rileva l’intento comune di voler devolvere le compensazioni finanziarie a copertura delle spese per opere e servizi pubblici che alcuni Comuni italiani di confine devono sostenere a causa dei frontalieri”. Questa dichiarazione d’intenti, osserva il governo, “viene declinata dall’Italia con regolari decreti di attuazione che definiscono i criteri di ripartizione e di utilizzazione delle somme”. Ad esempio “per i settori dell’edilizia abitativa e dei trasporti pubblici”.
Negli incontri bilaterali annuali, imposti dall’Accordo del 1974, la delegazione italiana – rammenta il Consiglio di Stato – informa quella svizzera, di cui fanno parte anche le autorità fiscali ticinesi, “circa le compensazioni finanziarie ricevute”. La relazione “verbale” del Ministero dell’economia italiano “evidenzia in maniera riassuntiva l’utilizzo dei fondi degli enti locali interessati”. Peraltro quando la riunione è in Italia “sono anche previste delle visite guidate presso le opere pubbliche realizzate con i fondi in questione”. A proposito di tali incontri, l’attuale Accordo – precisa il governo – contempla “unicamente un’informazione generale” da parte italiana e “non conferisce alcun diritto di sorveglianza alle autorità svizzere”.
Il Consiglio di Stato ricorda poi “che la stessa parte italiana, unilateralmente, il 22 dicembre 2015 nell’ambito del nuovo accordo sull’imposizione dei frontalieri ha dichiarato che ‘l’Italia è impegnata, nel quadro dei progressi sulle questioni fiscali relative ai lavoratori frontalieri e allo status di Campione d’Italia, a potenziare – in stretta collaborazione con la Svizzera – i collegamenti e le infrastrutture di trasporto che servono le zone di confine, per ridurre le congestioni nel traffico locale e per migliorare le condizioni complessive dei frontalieri e delle comunità locali’”. Se e quando il nuovo accordo entrerà in vigore.
Alla vigilia dell’incontro fra il Consiglio di Stato e il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana, spunta in Italia una lettera. L’ha scritta un altro esponente della Regione – il presidente del Consiglio regionale Alessandro Fermi (Forza Italia) – e l’ha indirizzata ai presidenti di Senato e Camera, Maria Elisabetta Alberti Casellati e Roberto Fico, affinché si adoperino subito per evitare la ratifica dell’Accordo, parafato nel 2015, sull’imposizione fiscale dei lavoratori frontalieri residenti in Italia. “Lo Stato italiano – scrive Fermi – deve mettere in campo ogni iniziativa utile nei confronti della Confederazione Elvetica a tutela dei nostri cittadini e dei Comuni italiani, mantenendo in vigore le condizioni contenute nell’Accordo del 1974”. Che prevede il sistema dei ristorni. Sistema che il nuovo trattato cancella. L’accordo vigente, spiega il Consiglio regionale, destina ai Comuni i ristorni dei frontalieri a titolo di compensazione delle spese sostenute dagli oltre 60mila italiani che ogni giorno vanno a lavorare in Svizzera. Risorse “fondamentali” per finanziare le opere pubbliche necessarie per il territorio e ora “messe a rischio” anche dalla proposta del presidente del governo ticinese Claudio Zali, secondo cui i ristorni dovrebbero essere vincolati al finanziamento di infrastrutture utili alla mobilità transfrontaliera. “Una posizione che viola palesemente norme e accordi sottoscritti”, dichiara Fermi.
In “linea di principio” il “finanziamento delle infrastrutture transfrontaliere” può diventare oggetto di un trattato tra Canton Ticino e autorità italiane, poiché si tratta di un “settore” di competenza cantonale. Lo stabilisce la Costituzione svizzera e lo esplicita il Consiglio federale nella recente risposta all’interpellanza di Marco Romano (Ppd), dando un’indicazione ancora più precisa: il margine per costruire un accordo che vincoli l’utilizzo dei ristorni alla realizzazione di opere per la mobilità, come chiedeva il consigliere nazionale, è dato dall’articolo 56 della ‘Magna Charta’. Nel messaggio del Consiglio federale sull’ultima revisione totale della Costituzione (fine anni Novanta) si legge che “secondo la dottrina dominante, i Cantoni possono concludere trattati internazionali su tutti gli oggetti che rientrano nella loro sfera di competenze. Questa norma si applica tuttavia soltanto nella misura in cui la Confederazione stessa non abbia concluso un trattato in questo ambito. Questa competenza dei Cantoni è quindi sussidiaria”. La “dottrina dominante” a cui ci si riferiva era stata messa nero su bianco dal governo federale nel ‘Rapporto sulla cooperazione transfrontaliera e sulla partecipazione dei Cantoni alla politica estera’ del 1994. Dove si legge tra l’altro che “la cooperazione transfrontaliera vive delle iniziative che prendono i Cantoni, i Comuni (...). Sono i Cantoni che determinano in primo luogo la configurazione delle relazioni trasfrontaliere e sta a loro utilizzare il margine di manovra di cui dispongono. Questo margine di manovra è importante nell’ambito della cooperazione ‘tradizionale’: scambio di informazioni, consultazione reciproca, realizzazione di progetti comuni come la rete di trasporti (...)”. Tant’è che in questo spirito si sono conclusi diversi accordi, intese e dichiarazioni di intenti tra canton Ticino e, in primis, Regione Lombardia soprattutto per quanto attiene a trasporti, mobilità e infrastrutture ad essa collegate. Firme non solo strategiche (pronte insomma a essere disattese), ma anche con in gioco parecchi soldi come nel caso del collegamento ferroviario Stabio-Malpensa. Evidentemente, per trovare una via condivisa entrambi i partner devono trarne vantaggio...