In una Svizzera, con poli che attirano i talenti, e regioni che dopo averli formati, li vede partire, si dovrebbe pensare a qualche forma di compensazione
Sempre meno giovani restano in Ticino, soprattutto se hanno faticato per ottenere una formazione superiore o universitaria. In 800 ogni anno emigrano in altri cantoni per trovare buone opportunità di lavoro, salari migliori, fare esperienza, o per curiosità. In questo non c’è nulla di sbagliato. Il punto è che difficilmente questi giovani tornano a vivere in un cantone dove i salari sono tra i più bassi della Svizzera e dove non trovano un impiego che corrisponda alle specializzazioni tanto sudate. Emigrare è quasi d’obbligo. Partono e metteranno su famiglia altrove. Significa una perdita di creatività, di capacità manageriali, di contributi culturali e anche di famiglie per il nostro cantone.
Questa forte emigrazione è una delle cause, forse la più importante, dell’inverno demografico che stiamo vivendo alle nostre latitudini. Le statistiche evidenziano che i ticinesi fanno pochi figli: con una quota di 6,9 nascite ogni mille abitanti, il nostro cantone è tra i fanalini di coda a livello svizzero, dove la media si attesta al 9,3. In realtà i ticinesi fanno figli, ma non nel loro cantone d’origine. Per invertire l’attuale trend di denatalità – secondo l’esperto di statistica Elio Venturelli intervistato a pagina 4 – si dovrebbe rendere il mercato del lavoro più attrattivo per i giovani laureati. Per farli restare bisogna offrire buone opportunità professionali e salari perlomeno dignitosi. Questo è il vero nodo da sciogliere. Aiuti alle famiglie, asili nido e incentivi all’alloggio – proposti da due granconsiglieri del Centro con un poker di iniziative per rilanciare la natalità – avrebbero veramente un impatto? Aiuterebbero, ma probabilmente non invertirebbero una tendenza che mette radici altrove, in un mercato del lavoro con salari al ribasso, sempre più lavoretti su chiamata e tempi parziali, che spinge i laureati a emigrare.
Chi ha la bacchetta magica per fare tutto ciò?
In questi anni il Consiglio di Stato si è dato da fare investendo nel settore della ricerca e dell’innovazione che richiama giovani ricercatori, spesso stranieri, ma anche qualche ticinese. Anche l’università non riesce ad arginare l’emorragia di ‘cervelli’. Il punto dolente sono i salari. Secondo l’economista Angelo Rossi, intervistato di recente da questo giornale, l’esodo potrebbe fermarsi se i salari in Ticino aumentassero del 15% e se l’offerta di posti per alte qualifiche rispondesse alla domanda dei giovani ticinesi.
Questa è la via per uscire dal gelo demografico che sta attanagliando il Ticino e rischia di avere un impatto sul sistema pensionistico. L’immigrazione dall’estero negli ultimi anni ha compensato in parte le partenze. Cresce anche l’arrivo di pensionati dal resto della Svizzera. Chi era emigrato dove la vita costa meno, dopo la pandemia avrà riconsiderato i rischi sanitari, prediligendo garanzie elvetiche di assistenza medica e assicurazioni sociali. Avremo più nonni ma comunque meno genitori. Una popolazione anziana sempre più dipendente dallo Stato, con redditi inferiori alle persone attive professionalmente, rischia alla lunga di svuotare le casse dello Stato.
In una Svizzera con poli che attirano i talenti, e regioni che dopo averli formati li vede partire, si dovrebbe pensare a qualche forma di compensazione.