La Corte Penale Internazionale avrebbe già predisposto il mandato d’arresto per Netanyahu e altri politici di spicco, eppure Tel Aviv se ne infischia
Wanted: manca solo l’annuncio ufficiale, ma stando a fonti autorevoli, la Corte Penale Internazionale avrebbe già predisposto il mandato d’arresto per il premier Netanyahu, il ministro della difesa Gallant, il capo di stato maggiore Halevi e per par condicio di tre leader di Hamas tra cui il numero uno Haniyeh. Come dire che dopo buona parte dell’opinione pubblica mondiale, la giustizia internazionale si appresta a porre su un piano di pari indegnità un governo e un’organizzazione considerata terroristica dalle democrazie occidentali.
In qualche mese Israele ha bruciato il capitale di empatia consegnatogli dalla strage del 7 ottobre. Ha moltiplicato per trenta i crimini degli islamisti, e le sue inenarrabili distruzioni di scuole, università, ospedali, abitazioni e gli oltre 35mila morti l’hanno travolto sotto una condanna globale senza precedenti.
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Gli avvocati di Israele alla Corte Penale Internazionale
Oggi Israele – lo ricorda il quotidiano Haaretz – rischia di diventare uno Stato paria, come lo fu il Sudafrica dell’apartheid. Le accuse di antisemitismo a chi si oppone alla sua politica sono diventate strumento così ammansito dall’abuso da suscitare spesso solo un’alzata di spalle.
L’isolamento procede a passo spedito, sembra inarrestabile. La Corte internazionale di giustizia dovrà stabilire se quanto succede a Gaza può essere considerato alla stregua di un genocidio: la relatrice speciale dell’Onu Francesca Albanese non ha dubbi e ha già calato la sua sentenza inequivocabile di condanna, e così le decine di migliaia di manifestanti negli atenei di mezzo mondo.
Le risposte delle università variano: si va dall’intransigenza condita con rudi interventi polizieschi (come all’Eth di Zurigo), a quanti come nel caso della Brown University o del Trinity College di Dublino accolgono le rivendicazioni e approntano misure di boicottaggio. Al prestigioso Massachusetts Institute of Technology (Mit) un gruppo di accademici rimanda al mittente israeliano un finanziamento di 11 milioni di dollari. Turchia e Colombia estraggono la mannaia sui rapporti con lo Stato ebraico, meno drastici ma pur sempre ostili a Netanyahu il Canada o l’Olanda.
Insorgono le Ong e le organizzazioni di categoria dei giornalisti dopo la mattanza di reporter (un centinaio di morti) mentre una presa di posizione firmata da 59 professori di giornalismo pone addirittura seri dubbi sul presunto stupro di massa che secondo Tel Aviv sarebbe stato perpetrato dagli islamisti durante il bagno di sangue del 7 ottobre.
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‘Bibi nemico della democrazia’
L’ostilità diventa globale, invade stadi e festival musicali, come l’Eurovision. Ma è soprattutto la crescente distanza dell’alleato americano a indisporre il governo israeliano: Joe Biden blocca la consegna di 3’500 ordigni, un’offensiva a Rafah farebbe di lui, agli occhi di molti elettori, il complice di massacri e violazioni del diritto internazionale. Quattro chiodi sono ormai stati piantati sulla bara della conclamata moralità che Tsahal si porta con fierezza appresso dall’eroica guerra del 1967: le immagini di Gaza sembrano il copia-incolla di quelle di Aleppo annientata dai cannoni di Assad e dai caccia russi. Israele vive una profonda solitudine intrisa di risentimento.
Bezalel Smotrich, ministro del gabinetto Netanyahu, proclama rabbiosamente la necessità di annientare Gaza e la sua popolazione. Come Sansone nel biblico Libro dei Giudici, il premier, implacabile, è ossessionato dalla distruzione del nemico, anche a costo di porre una spada di Damocle sul proprio Paese.